Auto di servizio per scopi personali: P.U./incaricato pubblico servizio risponde di peculato d'u

Cassazione penale, sez. IV, sentenza 03/04/2015 n° 14040

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    Auto di servizio per scopi personali: pubblico ufficiale risponde di peculato d'uso

    Cassazione penale, sez. IV, sentenza 03/04/2015 n° 14040

    Di Marcella Ferrari

    La sentenza in commento qualifica come peculato d’uso la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, il quale utilizzi a scopo personale l’auto di servizio.

    In materia di utilizzo, per fini privati, di autovetture da parte di chi ne ha la disponibilità per ragioni d’ufficio si sono registrati indirizzi interpretativi contrastanti.

    Un primo orientamento[1] ravvisa nell’uso reiterato del mezzo da parte del soggetto qualificato un’ipotesi ordinaria di peculato (art. 314 c. 1 c.p.).

    Il secondo e prevalente indirizzo giurisprudenziale ritiene, invece, che l’impiego dell’auto aziendale per fini privati rientri nel peculato d’uso (art. 314 c. 2 c.p.)[2]. Sul punto, la Corte richiama il proprio orientamento in tema di indebito utilizzo del telefono d'ufficio[3]. Ciò che rileva è che l’uso della res non integri mai un'appropriazione, ma si esaurisca nel «distogliere temporaneamente la cosa dalla sua originaria destinazione, per piegarla a scopi personali».

    Il peculato d’uso (art. 314 c. 2 c.p.) rappresenta un’ipotesi di reato punita meno gravemente rispetto al peculato tout court, avente natura autonoma e non già circostanziale. È stato introdotto con la riforma del 1990[4], anteriormente ad essa, le condotte di peculato d'uso venivano ricomprese nel concetto di “distrazione”, escludendo la punibilità dell'agente ogni qual volta la sua azione non integrasse una condotta distrattiva[5].

    Il peculato d’uso rappresenta il pendant del furto d’uso nei reati contro la pubblica amministrazione (art. 626, n. 1 c.p.). In ambedue i delitti, la condotta deve avere ad oggetto un uso momentaneo e non sistematico del bene, inoltre l’azione deve svolgersi in un arco di tempo ristretto. Si parla, infatti, di mera utilizzazione e non già di appropriazione[6]. In particolare, affinché sia ravvisato il furto d’uso è necessario che alla semplice intenzione di restituire il bene faccia seguito un’effettiva restituzione dello stesso.

    Sul punto è intervenuta con la pronuncia n. 1085/1988 la Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato l’art. 626, n. 1 costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non estende la disciplina (più mite) del furto d’uso ai casi in cui la mancata restituzione del bene dipenda da causa non imputabile al reo (caso fortuito o forza maggiore). Il reato, infatti, nasce come furto d’uso e non si qualifica tale solo in seguito alla restituzione del bene. Il legislatore del 1990, nell’introdurre il 314 c. 2 c.p., non ha tenuto conto della citata sentenza e non ha allineato la disciplina del peculato d’uso a quella del furto. Pertanto, a meno che non se ne faccia un’interpretazione costituzionalmente orientata, in caso di mancata restituzione del bene, anche per causa non imputabile al reo, si avrà peculato tout court.

    Tornando al caso di specie, al soggetto agente veniva contestato di avere sfruttato il suo ruolo all'interno dell’azienda di trasporti, facendosi rimborsare spese mai sostenute ed utilizzando per fini strettamente personali un'autovettura di servizio ed il relativo telepass, ad essa collegato. In particolare, il telepass aziendale, era stato separato dal veicolo a cui accedeva ed installato sull’auto privata del reo, il quale traeva vantaggio dal mancato pagamento degli oneri autostradali che rimanevano a carico dell'azienda.

    La Suprema Corte, nel suo percorso argomentativo, ricorda come la ratio della figura delittuosa del peculato d’uso sia da rinvernirsi nel tentativo di «arginare eventuali arbitrii interpretativi, temperando il trattamento sanzionatorio in relazione alle ipotesi di minor disvalore del fatto». Alla norma deve darsi una lettura costituzionalmente orientata, avendo riguardo all’effettiva offensività della condotta[7]. Deve, pertanto, ravvisarsi peculato d’uso solo allorché l'impiego della cosa ne abbia compromesso in modo apprezzabile l'utilizzazione da parte del proprietario ed escluderlo quando l'agente restituisca immediatamente il bene senza provocare un significativo danno patrimoniale. I giudici di Piazza Cavour, nella sentenza in commento, sottolineano come l’uso momentaneo richiesto nella condotta non significhi “istantaneo”, al contrario faccia riferimento ad un’utilizzazione temporanea, vale a dire ad un arco di tempo limitato, che determina una sottrazione della cosa alla sua destinazione tale da non compromettere il funzionamento della pubblica amministrazione[8].

    La Corte di Cassazione, dopo aver precisato che il consumo dell’olio e del carburante non rilevano autonomamente ma partecipano a determinare l’entità del danno, così conclude: «è evidente che l'utilizzo per fini personali da parte del pubblico agente di un'autovettura nella sua disponibilità, o comunque assegnatagli per le esigenze dell'ufficio, vi diviene pienamente sussumibile [nel peculato d’uso], pur a fronte di ripetuti episodi di indebito utilizzo temporaneo. Con tale condotta, infatti, il soggetto distoglie il bene fisico, di cui è in possesso per ragioni d'ufficio, dalla sua destinazione pubblicistica, piegandolo a fini personali per tutto il tempo del relativo uso, per poi restituirlo, alla cessazione di questo, alla destinazione originaria.» La Corte precisa, infine, che in presenza dei prefati requisiti, la reiterazione delle condotte integra una pluralità di reati di peculato d’uso legati dal vincolo della continuazione e non comporta il mutamento della qualificazione giuridica del fatto in peculato ordinario.

    http://www.altalex.com/documents/news/2015...-peculato-d-uso
     
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