Orario di lavoro per i conducenti di veicoli di emergenza

Interrogazione parlamentare europea

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    INTERROGAZIONE SCRITTA n. 67/99 dell'on. Esko SEPPÄNEN Direttiva UE sull'orario di lavoro

    Gazzetta ufficiale n. C 341 del 29/11/1999 pag. 0044

    INTERROGAZIONE SCRITTA E-0067/99

    di Esko Seppänen (GUE/NGL) alla Commissione

    (27 gennaio 1999)

    Oggetto: Direttiva UE sull'orario di lavoro


    Secondo quanto riferito in Finlandia, la direttiva sull'orario di lavoro adottata dall'Unione europea autorizza, per i conducenti di veicoli di emergenza, un orario di lavoro superiore alle dieci ore ininterrotte, il che, ovviamente, esclude i conducenti di tali veicoli dal campo di applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Può la Commissione pertanto far sapere se intende elaborare disposizioni atte a tutelare anche questa categoria di lavoratori da sforzi ininterrotti eccessivi?

    Risposta data dal sig. Kinnock a nome della Commissione

    (9 aprile 1999)

    La direttiva 93/104/CE(1) del Consiglio, del 23 novembre 1993, fissa i criteri minimi di sicurezza e sanità per l'organizzazione dell'orario di lavoro e si applica ai lavoratori che utilizzano veicoli di emergenza, ad esempio mezzi antincendio e ambulanze, nella misura in cui le caratteristiche specifiche di tali attività non entrano in conflitto con la legislazione in vigore. L'articolo 6 della direttiva stipula la durata media dell'orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non deve superare le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario. L'articolo 3 fissa un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive. In base alla direttiva è dunque possibile lavorare più di 10 ore al giorno, a condizione che la durata media settimanale dell'orario di lavoro non superi le 48 ore. L'articolo 4 della direttiva indica che ogni lavoratore ha diritto a una pausa se l'orario di lavoro giornaliero supera le 6 ore.

    L'articolo 17, sezione 2.1, paragrafo c, capoverso iii, permette un'ulteriore flessibilità perché prevede - , a condizione che vengano concessi ai lavoratori interessati equivalenti periodi di riposo compensativo - deroghe per via legislativa, amministrativa o mediante contratti collettivi e accordi conclusi fra le parti sociali agli standard minimi nel caso di servizi di ambulanza, di vigili del fuoco o di protezione civile. All'interno del quadro di riferimento per la protezione sociale, la direttiva offre dunque una certa flessibilità.

    (1) GU L 307 del 13.12.1993.


    http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriSer...99E0067:IT:HTML
     
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    16 NOVEMBRE 2010
    Corte di giustizia, durata massima dell’orario settimanale di lavoro, contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali a livello nazionale o regionale , deroghe relative al riposo settimanale differito e al riposo compensativo . Effetto diretto e interpretazione conforme

    12
    SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

    21 ottobre 2010 (*)

    «Politica sociale – Tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori – Organizzazione dell’orario di lavoro – Agenti di polizia municipale – Direttiva 93/104/CE – Direttiva 93/104/CE come modificata dalla direttiva 2000/34/CE – Direttiva 2003/88/CE – Artt. 5, 17 e 18 – Durata massima dell’orario settimanale di lavoro – Contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali a livello nazionale o regionale – Deroghe relative al riposo settimanale differito e al riposo compensativo – Effetto diretto – Interpretazione conforme»

    Nel procedimento C‑227/09,

    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale ordinario di Torino, Sezione Lavoro, con decisione 3 giugno 2009, pervenuta in cancelleria il 22 giugno 2009, nella causa

    Antonino Accardo,

    Viola Acella,

    Antonio Acuto,

    Domenico Ambrisi,

    Paolo Battaglino,

    Riccardo Bevilacqua,

    Fabrizio Bolla,

    Daniela Bottazzi,

    Roberto Brossa,

    Luigi Calabro,

    Roberto Cammardella,

    Michelangelo Capaldi,

    Giorgio Castellaro,

    Davide Cauda,

    Tatiana Chiampo,

    Alessia Ciaravino,

    Alessandro Cicero,

    Paolo Curtabbi,

    Paolo Dabbene,

    Mauro D’Angelo,

    Giancarlo Destefanis,

    Mario Di Brita,

    Bianca Di Capua,

    Michele Di Chio,

    Marina Ferrero,

    Gino Forlani,

    Giovanni Galvagno,

    Sonia Genisio,

    Laura Dora Genovese,

    Sonia Gili,

    Maria Gualtieri,

    Gaetano La Spina,

    Maurizio Loggia,

    Giovanni Lucchetta,

    Sandra Magoga,

    Manuela Manfredi,

    Fabrizio Maschio,

    Sonia Mignone,

    Daniela Minissale,

    Domenico Mondello,

    Veronnica Mossa,

    Plinio Paduano,

    Barbaro Pallavidino,

    Monica Palumbo,

    Michele Paschetto,

    Frederica Peinetti,

    Nadia Pizzimenti,

    Gianluca Ponzo,

    Enrico Pozzato,

    Gaetano Puccio,

    Danilo Ranzani,

    Pergianni Risso,

    Luisa Rossi,

    Paola Sabia,

    Renzo Sangiano,

    Davide Scagno,

    Paola Settia,

    Raffaella Sottoriva,

    Rossana Trancuccio,

    Fulvia Varotto,

    Giampiero Zucca,

    Fabrizio Lacognata,

    Guido Mandia,

    Luigi Rigon,

    Daniele Sgavetti

    contro

    Comune di Torino,

    LA CORTE (Seconda Sezione),

    composta dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, presidente di sezione, dai sigg. A. Arabadjiev, U. Lõhmus, A. Ó Caoimh (relatore) e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,

    avvocato generale: sig. P. Cruz Villalón

    cancelliere: sig. M.‑A. Gaudissart, capo unità

    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 24 giugno 2010,

    considerate le osservazioni presentate:

    – per i sigg. Accardo e altri, dall’avv. R. Lamacchia;

    – per i sigg. Lacognata e altri, dall’avv. A. Grespan;

    – per il Comune di Torino, dagli avv.ti M. Li Volti, S. Tuccari e A. Melidoro;

    – per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dalla sig.ra W. Ferrante e dal sig. L. Ventrella, avvocati dello Stato;

    – per il governo ceco, dai sigg. M. Smolek e D. Hadrouška, in qualità di agenti;

    – per la Commissione europea, dal sig. M. van Beek e dalla sig.ra C. Cattabriga, in qualità di agenti,

    vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 5, 17 e 18 della direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU L 307, pag. 18).

    2 La domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia che oppone i sigg. Accardo e altri, nonché i sigg. Lacognata e altri, al Comune di Torino, in merito ad una domanda di risarcimento del danno che avrebbero subìto, negli anni 1998‑2007, a causa del mancato rispetto dei periodi di riposo settimanale di cui avrebbero dovuto beneficiare gli agenti di polizia municipale del Comune di Torino.

    Contesto normativo

    La normativa dell’Unione

    3 La direttiva del Consiglio 12 giugno 1989, 89/391/CEE, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (GU L 183, pag. 1), è la direttiva quadro che fissa i principi generali in materia di sicurezza e di salute dei lavoratori. Tali principi sono stati successivamente sviluppati da una serie di direttive. Tra queste figurano, in particolare, la direttiva 93/104, la direttiva 93/104 come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 2000, 2000/34/CE (GU L 195, pag. 41; in prosieguo: la «direttiva 93/104 modificata»), e la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 novembre 2003, 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU L 299, pag. 9) (in prosieguo, congiuntamente: le «direttive “orario di lavoro”»).

    4 L’art. 2 della direttiva 89/391 ne definisce l’ambito di applicazione come segue:

    «1. La presente direttiva concerne tutti i settori d’attività privati o pubblici (attività industriali, agricole, commerciali, amministrative, di servizi, educative, culturali, ricreative, ecc.).

    2. La presente direttiva non è applicabile quando particolarità inerenti ad alcune attività specifiche nel pubblico impiego, per esempio nelle forze armate o nella polizia, o ad alcune attività specifiche nei servizi di protezione civile vi si oppongono in modo imperativo.

    In questo caso, si deve vigilare affinché la sicurezza e la salute dei lavoratori siano, per quanto possibile, assicurate, tenendo conto degli obiettivi della presente direttiva».

    5 La direttiva 93/104 è stata modificata in un primo tempo con la direttiva 2000/34. La direttiva 2003/88 ha poi abrogato e sostituito codificandola, a decorrere dal 2 agosto 2004, la direttiva 93/104 modificata.

    6 Ai sensi dell’art. 1 delle direttive «orario di lavoro», rubricato «Oggetto e campo di applicazione»:

    «1. La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro.

    2. La presente direttiva si applica:

    a) ai periodi minimi di riposo giornaliero, riposo settimanale e ferie annuali nonché alla pausa ed alla durata massima settimanale del lavoro;

    e

    b) a taluni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro.

    3. La presente direttiva si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 89/391/CEE, fermi restando (...)

    (…)

    4. Le disposizioni della direttiva 89/391/CEE si applicano pienamente alle materie contemplate al paragrafo 2, fatte salve le disposizioni più vincolanti e/o specifiche contenute nella presente direttiva».

    7 Sotto il titolo «Definizioni», l’art. 2 delle direttive «orario di lavoro» dispone quanto segue:

    «Ai sensi della presente direttiva si intende per:

    1) “orario di lavoro”: qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali;

    2) “periodo di riposo”: qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro;

    (…)».

    8 Gli artt. 3‑7 delle direttive «orario di lavoro» stabiliscono i provvedimenti che gli Stati membri sono tenuti ad emanare affinché ogni lavoratore fruisca di periodi minimi di riposo giornaliero, di riposo settimanale nonché di ferie annuali retribuite. Essi disciplinano altresì le pause e la durata massima settimanale del lavoro.

    9 Ai sensi dell’art. 3 delle direttive «orario di lavoro», intitolato «Riposo giornaliero», «[g]li Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive».

    10 Per quanto attiene al riposo settimanale, l’art. 5, primo comma, delle direttive «orario di lavoro» dispone che gli Stati membri «prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, per ogni periodo di 7 giorni, di un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore a cui si sommano le 11 ore di riposo giornaliero previste all’articolo 3». Dal citato art. 5 emerge altresì che se condizioni oggettive, tecniche o di organizzazione del lavoro lo giustificano, può essere fissato un periodo minimo di riposo di ventiquattro ore.

    11 L’art. 16 delle direttive «orario di lavoro» fissa, per l’applicazione dell’art. 5 delle medesime direttive, un periodo di riferimento non superiore a quattordici giorni.

    12 Le direttive «orario di lavoro» elencano una serie di deroghe a numerose regole di base da esse stabilite, tenendo conto delle particolarità di talune attività e con la riserva che ricorrano determinate condizioni.

    13 A questo proposito, l’art. 17 della direttiva 93/104 e della direttiva 93/104 modificata così dispone:

    «(...)

    2. Si può derogare per via legislativa, regolamentare o amministrativa o mediante contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali, a condizione che vengano concessi ai lavoratori interessati equivalenti periodi di riposo compensativo oppure, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per ragioni oggettive, a condizione che venga loro concessa una protezione appropriata:

    2.1 agli articoli 3, 4, 5, 8 e 16:

    (...)

    b) per le attività di guardia, sorveglianza e permanenza caratterizzate dalla necessità di assicurare la protezione dei beni e delle persone, in particolare, quando si tratta di guardiani o portinai o di imprese di sorveglianza;

    c) per le attività caratterizzate dalla necessità di assicurare la continuità del servizio o della produzione, in particolare, quando si tratta:

    (...)

    iii) (...) di servizi di ambulanza, di vigili del fuoco o di protezione civile;

    (...)

    3. Si può derogare agli articoli 3, 4, 5, 8 e 16 mediante contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali a livello nazionale o regionale o, conformemente alle regole fissate da dette parti sociali, mediante contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali ad un livello inferiore.

    Gli Stati membri in cui, giuridicamente, non esiste un sistema che garantisca la conclusione di contratti collettivi o di accordi tra le parti sociali a livello nazionale o regionale, per i settori contemplati dalla presente direttiva, o gli Stati membri in cui esiste un quadro legislativo specifico a tal fine, e nei limiti di tale quadro, possono, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, consentire deroghe agli articoli 3, 4, 5, 8 e 16 mediante contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali ad un livello collettivo adeguato.

    Le deroghe previste al primo e secondo comma sono ammesse soltanto a condizione che ai lavoratori interessati siano accordati periodi equivalenti di riposo compensativo o, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per motivi oggettivi, a condizione che ai lavoratori interessati sia accordata una protezione appropriata.

    Gli Stati membri possono prevedere norme:

    – affinché il presente paragrafo sia applicato dalle parti sociali,

    e

    – affinché le disposizioni dei contratti collettivi o accordi conclusi in conformità del presente paragrafo siano estese ad altri lavoratori, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.

    (...)».

    14 Ai sensi dell’art. 18, n. 1, lett. a), della direttiva 93/104 e della direttiva 93/104 modificata, gli Stati membri dovevano mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi ad essa entro il 23 novembre 1996 o provvedere affinché, al più tardi entro tale data, le parti sociali applicassero consensualmente le disposizioni necessarie, fermo restando che gli Stati membri dovevano prendere tutte le misure necessarie per poter garantire in qualsiasi momento i risultati imposti da detta direttiva.

    15 Come risulta al punto 5 della presente sentenza, la direttiva 93/104 modificata è stata abrogata e sostituita, a far data dal 2 agosto 2004, dalla direttiva 2003/88. Dal dettato del primo ‘considerando’ della direttiva 2003/88 risulta che essa è volta, per motivi di chiarezza, a codificare le disposizioni della direttiva 93/104 modificata. Infatti, il contenuto e la numerazione, segnatamente, degli artt. 1‑3, 5 e 16 sono riprodotti in modo identico nella direttiva 2003/88. I punti 2.1 e 2.2 del n. 2 dell’art. 17, della direttiva 93/104 modificata sono attualmente suddivisi tra i nn. 2 e 3 dell’art. 17 della direttiva 2003/88. Il n. 3 dell’art. 17 della direttiva 93/104 modificata è ripreso all’art. 18 della direttiva 2003/88.

    La normativa nazionale

    16 Dall’ordinanza di rinvio emerge che il periodo controverso nella causa principale, tra il 1998 e il 2007, è composto da tre fasi distinte per quanto riguarda la normativa nazionale applicabile.

    17 Anzitutto, sino al 29 aprile 2003, il diritto del lavoratore al riposo settimanale si fondava, da un lato, sull’art. 36, terzo comma, della Costituzione, a norma del quale «il lavoratore ha diritto al riposo settimanale (...) e non può rinunziarvi» e, dall’altro, sull’art. 2109, primo comma, del codice civile, in forza del quale «[i]l prestatore di lavoro ha diritto ad un giorno di riposo ogni settimana, di regola in coincidenza con la domenica». Dalle osservazioni scritte presentate alla Corte dai sigg. Accardo e altri emerge che queste due disposizioni sono state promulgate ben prima dell’adozione della direttiva 93/104.

    18 In seguito, dal 29 aprile 2003, data dell’entrata in vigore del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, recante attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (Supplemento ordinario alla GURI n. 87 del 14 aprile 2003; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 66/2003»), la disciplina generale del riposo settimanale si impernia sull’art. 9, n. 1, di detto decreto, che sancisce il diritto del lavoratore di fruire, ogni sette giorni, di un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero di cui all’art. 7 del medesimo decreto. In forza dell’art. 9, n. 2, punto b), e dell’art. 17, n. 4, dello stesso decreto è possibile derogare a tale diritto mediante contratti collettivi, a condizione che siano assicurati periodi equivalenti di riposo compensativo.

    19 Infine, dal 1° settembre 2004, in conseguenza di una modifica disposta dall’art. 1, n. 1, lett. b), del decreto legislativo 19 luglio 2004, n. 213, recante modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, in materia di apparato sanzionatorio dell’orario di lavoro (GURI n. 192 del 17 agosto 2004; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 213/2004»), le disposizioni del decreto legislativo n. 66/2003 non sono più applicabili agli addetti al servizio di polizia municipale.

    20 Tanto prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 66/2003 quanto dopo l’adozione del decreto legislativo n. 213/2004, deroghe alla disciplina ordinaria del riposo settimanale, applicabili agli agenti di polizia municipale, erano previste in tre «contratti collettivi nazionali di lavoro» del comparto enti locali, i quali sono stati stipulati rispettivamente nel 1987, nel 2000 e nel 2001 (in prosieguo, congiuntamente: i «contratti collettivi di cui alla causa principale»). Ciascuno di essi prevedeva segnatamente, per il «dipendente che, per particolari esigenze di servizio», non usufruiva del riposo settimanale, un «diritto al riposo compensativo da fruire di regola entro quindici giorni e comunque non oltre il bimestre successivo». Inoltre, il contratto collettivo sottoscritto nel corso del 1987 prevedeva per tali dipendenti una maggiorazione del 20% della loro retribuzione giornaliera ordinaria, mentre la corrispondente maggiorazione disposta dai contratti collettivi del 2000 e del 2001 era del 50%.

    21 Emerge dall’ordinanza di rinvio che i ricorrenti nella causa principale invocano gli artt. 1418 e 1419 del codice civile, i quali sanzionano con la nullità le clausole negoziali «contrari[e] a norme imperative», stabilendo nel contempo che tali clausole «sono sostituite di diritto [da] norme imperative».

    Causa principale e questioni pregiudiziali

    22 I ricorrenti nella causa principale sono agenti di polizia municipale del Comune di Torino, con un contratto di lavoro di 35 ore settimanali. Tra il 1998 e il 2007, erano adibiti a servizi organizzati su turni di lavoro che, una volta ogni cinque settimane, prevedevano lo svolgimento di sette giorni di lavoro consecutivi, seguiti, secondo la decisione di rinvio, da un periodo di riposo compensativo con la conseguenza che il periodo di riposo non sarebbe soppresso, ma solo differito.

    23 Tale sistema di turnazione ed il relativo differimento del riposo del settimo giorno della quinta settimana erano frutto di un accordo sindacale concluso il 2 luglio 1986 tra l’amministrazione comunale e i rappresentanti in sede territoriale delle maggiori organizzazioni sindacali italiane (in prosieguo: l’«accordo del 1986»).

    24 Con ricorso proposto davanti al giudice a quo, i ricorrenti nella causa principale convenivano in giudizio il Comune di Torino chiedendone la condanna al risarcimento del danno da usura psicofisica ad essi asseritamene procurato dal mancato rispetto del riposo settimanale, pur previsto dal diritto interno, dal momento che avrebbero lavorato per sette giorni consecutivi e beneficiato successivamente di un unico giorno di risposo in forma di riposo compensativo. A sostegno del loro ricorso affermano che, essendo l’art. 36, terzo comma, della Costituzione e l’art. 2109, primo comma, del codice civile imperativi, occorrerebbe considerare che, in mancanza di adeguate disposizioni di legge, le clausole pertinenti contenute nell’accordo del 1986 e nei contratti collettivi di cui alla causa principale sono illegittime.

    25 Il Comune di Torino ha replicato che, conformemente all’art. 17, n. 3, della direttiva 93/104, le deroghe al riposo settimanale di cui all’art. 5 della direttiva 93/104 possono essere introdotte da contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali a livello nazionale o regionale a condizione che siano accordati periodi equivalenti di riposo compensativo ai lavoratori di cui trattasi.

    26 I ricorrenti nella causa principale contestano tuttavia sia l’effetto diretto dell’art. 17 della direttiva 93/104 prima dell’adozione del decreto legislativo n. 66/2003, sia l’applicabilità stessa del n. 3 di tale articolo agli agenti di polizia municipale. Tale settore non sarebbe infatti espressamente indicato nell’elenco contenuto all’art. 17, n. 2, punto 2.1, della direttiva 93/104 e quindi neppure beneficerebbe della facoltà di deroga prevista dal n. 3 della stessa disposizione. Quest’ultima facoltà sarebbe da considerarsi non come oggetto di una norma autonoma, ma come una semplice specificazione del citato art. 17, n. 2.

    27 Peraltro, secondo i ricorrenti nella causa principale, a seguito della modifica introdotta dal decreto legislativo n. 213/2004, il decreto legislativo n. 66/2003 nel suo complesso non sarebbe comunque più applicabile alla polizia municipale, il che comporterebbe l’inapplicabilità nei loro confronti dell’art. 17 della direttiva 93/104 e la rinnovata applicabilità degli artt. 36 della Costituzione e 2109 del codice civile.

    28 Il Tribunale ordinario di Torino, Sezione Lavoro, ha pertanto deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1) Se [gli artt. 5, 17 e 18 della direttiva 93/104] vadano interpretati nel senso della loro idoneità ad essere applicati direttamente nell’ordinamento [giuridico di uno] Stato [membro], indipendentemente dalla formale recezione ovvero a prescindere da norme interne che ne restringono l’applicabilità a determinate categorie professionali, in una controversia in cui [le parti sociali hanno firmato contratti collettivi conformi] a tale direttiva.

    2) Se sia comunque obbligo del giudice dello Stato membro, indipendentemente da tale incidenza diretta, utilizzare una direttiva non ancora recepita [nell’ordinamento giuridico nazionale] o, dopo il recepimento, la cui operatività pare esclusa da norme interne, quale parametro interpretativo del diritto interno e cioè quale riferimento per sciogliere possibili dubbi esegetici.

    3) Se sia inibito al giudice dello Stato membro adottare una pronuncia di illegittimità di una condotta, con conseguente riconoscimento di risarcimento danni da fatto ingiusto ed illecito, quando tale condotta appaia autorizzata dalle parti sociali e tale autorizzazione sia coerente con il diritto comunitario, anche nella forma [di una] direttiva non [ancora] recepita [nel diritto nazionale].

    4) Se [l’art. 17, n. 3,] della direttiva [93/104] vada interpretato nel senso di consentire autonomamente e cioè in modo del tutto svincolato dal [n.] 2 e dall’elenco di attività e professioni ivi indicato, l’intervento delle parti sociali e l’introduzione da parte delle stesse di regole derogatorie in tema di riposo settimanale».

    Sulle questioni pregiudiziali

    29 A titolo preliminare, occorre ricordare che, se è vero che la decisione di rinvio riguarda esplicitamente solo la versione originale della direttiva 93/104, risulta tuttavia dal fascicolo che, durante il periodo considerato nella causa principale, le direttive «orario di lavoro» sono entrate successivamente in vigore. Pertanto, ai fini della risoluzione delle questioni pregiudiziali occorre eventualmente tener conto di tale circostanza.

    Sulla quarta questione

    30 Con la quarta questione, che va esaminata per prima, il giudice a quo intende in sostanza accertare se l’art. 17, n. 3, della direttiva 93/104 sia autonomo rispetto al n. 2 dello stesso articolo, con la conseguenza che la circostanza che una professione non sia menzionata in detto n. 2 non impedirebbe che possa rientrare nella deroga prevista dall’art. 17, n. 3, della direttiva 93/104.

    31 Come emerge in particolare dal punto 26 della presente sentenza, tale questione nasce dall’argomentazione dei ricorrenti nella causa principale secondo cui l’art. 17, n. 3, della direttiva 93/104 non può essere letto o applicato separatamente dal n. 2 del medesimo articolo. Secondo questi ultimi, non è possibile interpretare l’art. 17, n. 3, della direttiva 93/104 nel senso che esso consente deroghe più estese di quelle previste al n. 2 del medesimo articolo e, in tal modo, nel senso che stabilisce un sistema derogatorio autonomo e distinto.

    32 Tuttavia, un’argomentazione di siffatto tenore non può essere accolta.

    33 Infatti, come sostengono, in sostanza, il Comune di Torino, i governi italiano e ceco, nonché la Commissione europea, la struttura e il testo dell’art. 17 della direttiva 93/104 e della direttiva 93/104 modificata non contengono alcun elemento che induca a ritenere che l’ambito di applicazione del suo n. 3 sia condizionato da quello del suo n. 2.

    34 Inoltre, come rileva la Commissione, da un lato, questi ultimi numeri non operano alcun rinvio tra loro e, dall’altro lato, per ciascuna categoria di deroghe consentite, tali numeri ribadiscono le condizioni identiche alle quali è in ogni caso subordinata la possibilità di rinviare il riposo settimanale.

    35 Inoltre, come emerge dal punto 15 della presente sentenza, all’atto della codificazione effettuata mediante la direttiva 2003/88, il dettato dell’art. 17, n. 3, delle direttive 93/104 e 93/104 modificata è stato riprodotto in modo identico nel nuovo art. 18, mentre il contenuto dell’art. 17, n. 2, delle direttive 93/104 e 93/104 modificata è stato suddiviso tra i nn. 2 e 3 dell’art. 17 della direttiva 2003/88. Ne consegue che il legislatore dell’Unione ha considerato che i nn. 2 e 3 dell’art. 17 delle direttive 93/104 e 93/104 modificata potevano, o addirittura dovevano, essere letti in maniera distinta, permettendo in tal modo la loro separazione al momento dell’operazione di codificazione.

    36 Pertanto la quarta questione dev’essere risolta nel senso che l’art. 17, n. 3, delle direttive 93/104 e 93/104 modificata ha una portata autonoma rispetto al n. 2 di questo stesso articolo, cosicché la circostanza che una professione non sia menzionata in detto n. 2 non impedirebbe che essa possa rientrare nella deroga prevista all’art. 17, n. 3, delle direttive 93/104 e 93/104 modificata.

    Sulle prime tre questioni

    37 Come si ricava in particolare dall’ordinanza di rinvio, nella causa principale risulta pacifico che, per il periodo compreso tra il 29 aprile 2003 e il 29 agosto 2004, il decreto legislativo n. 66/2003 permetteva in linea di principio, in conformità con l’art. 17 delle direttive 93/104 e 93/104 modificata, di derogare, attraverso il contratto collettivo firmato nel corso del 2001, agli obblighi concernenti il periodo di riposo settimanale di cui agli artt. 36, terzo comma, della Costituzione e 2109, primo comma, del codice civile.

    38 Tuttavia, emerge altresì dall’ordinanza di rinvio che, al di fuori di quest’ultimo periodo, tali disposizioni della Costituzione e del codice civile possono ostare, trattandosi del diritto interno, a che il Comune di Torino possa validamente fondarsi per la sua difesa sui contratti collettivi di cui alla causa principale al fine di legittimare il sistema di lavoro per turni di cui alla causa principale che, in conformità dell’accordo del 1986, prevede segnatamente che venga differito il riposo del settimo giorno della quinta settimana.

    39 Come la Commissione ha rilevato nelle sue osservazioni scritte, le attività dei servizi di polizia municipale svolte in condizioni normali rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 89/391 e, attraverso il rinvio all’art. 2 di tale direttiva contenuto nell’art. 1, n. 3, delle direttive «orario di lavoro», nell’ambito di applicazione di queste ultime (v. per analogia, segnatamente, ordinanza 14 luglio 2005, causa C‑52/04, Personalrat der Feuerwehr Hamburg, Racc. pag. I‑7111, punti 51‑61 e giurisprudenza ivi citata).

    40 Dal fascicolo presentato alla Corte sembra risultare che gli artt. 36, terzo comma, della Costituzione e 2109, primo comma, del codice civile siano a priori idonei, purché applicati in particolare tenendo conto dei requisiti degli artt. 3 e 16 della direttiva 93/104, a costituire la trasposizione, nell’ordinamento giuridico italiano, dell’art. 5 delle direttive «orario di lavoro»; circostanza che deve essere, se necessario, accertata dal giudice del rinvio. In ogni caso, non è stato ipotizzato dinanzi alla Corte che tali disposizioni nazionali violino i requisiti di detto art. 5.

    41 Al contrario, se, nella decisione di rinvio, il giudice nazionale parte dalla premessa che il sistema di riposo settimanale previsto dall’accordo del 1986 è, in linea di principio, consentito dalle deroghe facoltative previste all’art. 17 delle direttive 93/104 e 93/104 modificata, oppure agli artt. 17 e 18 della direttiva 2003/88 (in prosieguo, congiuntamente: le «disposizioni derogatorie di cui è causa») – circostanza che detto giudice dovrà verificare – quest’ultimo si chiede se tale accordo nonché i contratti collettivi di cui alla causa principale possano derogare agli artt. 36, terzo comma, della Costituzione e 2109, primo comma, del codice civile.

    42 Pertanto, egli si interroga essenzialmente sulla possibilità di ricorrere, direttamente o indirettamente, alle disposizioni derogatorie di cui trattasi per superare eventuali ostacoli derivanti dal diritto interno all’applicazione dei contratti collettivi di cui alla causa principale.

    43 Pertanto, occorre intendere le prime tre questioni, che possono essere trattate congiuntamente, come dirette, in sostanza, a stabilire se le disposizioni derogatorie in questione siano tali da essere applicate direttamente a fatti come quelli di cui alla causa principale o se, in mancanza di siffatto effetto diretto, il giudice nazionale debba o possa interpretare le disposizioni di diritto interno di cui alla causa principale in modo da permettere una deroga al periodo di riposo settimanale previsto agli artt. 36, terzo comma, della Costituzione e 2109, primo comma, del codice civile.

    Sulla possibilità di un’applicazione diretta delle disposizioni derogatorie di cui trattasi

    44 Se è vero che la prima questione posta dal giudice del rinvio riguarda segnatamente l’art. 5 delle direttive «orario di lavoro», occorre rilevare che, come risulta in particolare dal punto 42 della presente sentenza, con tale questione, il giudice del rinvio intende anzitutto stabilire se il convenuto nella causa principale possa invocare le disposizioni derogatorie in esame direttamente contro i ricorrenti nella causa principale, per respingere i reclami che hanno dato origine a quest’ultima.

    45 Orbene, va ricordato in proposito che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti (v., in particolare, sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall, Racc. pag. 723, punto 48; 14 luglio 1994, causa C‑91/92, Faccini Dori, Racc. pag. I‑3325, punto 20; 7 gennaio 2004, causa C‑201/02, Wells, Racc. pag. I‑723, punto 56; 5 ottobre 2004, cause riunite da C‑397/01 a C‑403/01, Pfeiffer e a., Racc. pag. I‑8835, punto 108, nonché 19 gennaio 2010, causa C‑555/07, Kücükdeveci, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 46).

    46 Così, se le disposizioni derogatorie in esame non fossero validamente trasposte – circostanza che deve essere verificata dal giudice del rinvio - le autorità di uno Stato membro che non si avvale di tale facoltà non possono invocare l’omissione attuata da tale Stato per rifiutare a singoli, come i ricorrenti nella causa principale, il beneficio di un periodo di riposo settimanale che fosse, in linea di principio, con riserva delle verifiche che il giudice del rinvio deve effettuare a tale proposito, conforme ai requisiti dell’art. 5 delle direttive «orario di lavoro» (v., per analogia, sentenza 17 luglio 2008, causa C‑226/07, Flughafen Köln/Bonn, Racc. pag. I‑5999, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

    47 Ne consegue che, in circostanze come quelle di cui alla causa principale, le disposizioni derogatorie di cui trattasi non possono essere invocate direttamente nei confronti dei singoli, quali i ricorrenti nella causa principale.

    Sull’obbligo o sulla facoltà di un’interpretazione conforme del diritto interno

    48 Come emerge dall’ordinanza di rinvio, con la seconda e la terza questione il Tribunale ordinario di Torino, Sezione Lavoro, si chiede se non occorra cionondimeno interpretare il diritto interno alla luce delle disposizioni derogatorie in esame, per stabilire se il Comune di Torino potrebbe validamente avvalersi dei contratti collettivi di cui alla causa principale per derogare ai requisiti degli artt. 36, terzo comma, della Costituzione e 2109, primo comma, del codice civile.

    49 A questo proposito, è vero che l’obbligo per gli Stati membri, derivante da una direttiva, di raggiungere il risultato previsto da quest’ultima, e il loro dovere di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi di detti Stati, ivi compresi, nell’ambito della loro competenza, quelli giurisdizionali (v., in particolare, sentenze 10 aprile 1984, causa 14/83, von Colson et Kamann, Racc. pag. 1891, punto 26, nonché Kücükdeveci, cit., punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

    50 Tuttavia, l’esistenza di un obbligo derivante dalle direttive «orario di lavoro» di interpretare il diritto interno al fine di privilegiare l’applicazione dei contratti collettivi che derogano alle norme che hanno trasposto l’art. 5 di tale direttiva deve essere esclusa.

    51 Infatti, poiché le deroghe previste dalle disposizioni derogatorie di cui trattasi sono facoltative, il diritto dell’Unione non impone agli Stati membri di attuarle nel diritto nazionale. Per poter beneficiare della facoltà prevista da tali disposizioni di derogare, in talune circostanze, ai requisiti, in particolare, dell’art. 5 delle direttive «orario di lavoro», gli Stati membri sono tenuti ad operare la scelta di avvalersene (v., per analogia, sentenza 4 giugno 2009, causa C‑102/08, SALIX Grundstücks-Vermietungsgesellschaft, Racc. pag. I‑4629, punti 51, 52 e 55).

    52 A tale proposito, compete agli Stati membri optare per la tecnica normativa che reputino più appropriata (v., per analogia, sentenza SALIX Grundstücks-Vermietungsgesellschaft, cit., punto 56), tenendo presente che, secondo il disposto delle disposizioni derogatorie di cui trattasi, siffatte deroghe possono essere effettuate in particolare attraverso contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali.

    53 Le direttive «orario di lavoro» in quanto tali non possono essere interpretate nel senso che ostano all’applicabilità di contratti collettivi del tipo di quelli di cui alla causa principale, o al contrario nel senso che impongono, nonostante altre disposizioni pertinenti di diritto interno, una tale applicabilità.

    54 In tali condizioni, la questione se il Comune di Torino possa validamente fondarsi, nella causa principale, sull’accordo del 1986 nonché sui contratti collettivi di cui alla causa principale diventa anzitutto una questione che il giudice del rinvio deve risolvere conformemente alle regole del diritto interno (v., per analogia, sentenza 3 ottobre 2000, causa C‑303/98, Simap, Racc. pag. I‑7963, punti 55‑57).

    55 Occorre tuttavia rilevare che, quando il diritto dell’Unione lascia agli Stati membri la facoltà di derogare a talune disposizioni di una direttiva, questi sono tenuti ad esercitare il proprio potere discrezionale nel rispetto dei principi generali del diritto dell’Unione, tra cui va annoverato il principio della certezza del diritto. A tal fine le disposizioni che consentono deroghe facoltative ai principi posti da una direttiva devono essere attuate con la precisione e la chiarezza necessarie per poter soddisfare i requisiti derivanti da detto principio.

    56 In tale contesto, il giudice del rinvio sarà confrontato a due alternative: o i contratti collettivi di cui alla causa principale non rispondono al principio generale di certezza del diritto e ai requisiti posti dal diritto interno per attuare validamente le disposizioni derogatorie di cui trattasi, o tali contratti collettivi costituiscono l’attuazione, in conformità del diritto italiano e nel rispetto del principio generale della certezza del diritto, delle deroghe ammesse a tali disposizioni dell’Unione.

    57 Nella prima ipotesi, come ha sostenuto il governo ceco e come risulta dalla giurisprudenza menzionata al punto 45 della presente sentenza, se il diritto interno italiano osta all’applicazione dell’accordo del 1986 e dei contratti collettivi di cui trattasi nella causa principale, le direttive «orario di lavoro» non possono, da sole, essere invocate nei confronti dei singoli al fine di assicurare tale applicazione (v. altresì, per analogia, sentenze 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di Salò/X, Racc. pag. 2545, punti 19 e 20; 3 maggio 2005, cause riunite C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, Berlusconi e a., Racc. pag. I‑3565, punti 73 e 74, nonché 5 luglio 2007, causa C‑321/05, Kofoed, Racc. pag. I‑5795, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

    58 Nella seconda delle ipotesi evocate al punto 56 della presente sentenza, le direttive «orario di lavoro» non osterebbero neppure, sotto questo aspetto, ad un’interpretazione del diritto interno che consenta il ricorso da parte del Comune di Torino ai contratti collettivi di cui alla causa principale, purché le disposizioni pertinenti di tali contratti rispettino pienamente le condizioni poste alle disposizioni derogatorie in esame, elemento quest’ultimo che dovrà essere accertato dal giudice del rinvio. A tale proposito occorre rammentare che, in quanto eccezioni al sistema comunitario in materia di organizzazione dell’orario di lavoro attuato dalla direttiva 93/104, le disposizioni derogatorie di cui è causa devono essere interpretate in modo che la loro portata sia limitata a quanto strettamente necessario alla tutela degli interessi che tali deroghe permettono di proteggere (v. sentenza 9 settembre 2003, causa C‑151/02, Jaeger, Racc. pag. I‑8389, punto 89).

    59 In considerazione di quanto precede, occorre risolvere le prime tre questioni dichiarando che, in circostanze come quelle di cui alla causa principale, le disposizioni derogatorie di cui trattasi non possono essere invocate contro singoli come i ricorrenti nella causa principale. Inoltre, tali disposizioni non possono essere interpretate nel senso che consentono oppure vietano di applicare contratti collettivi come quelli di cui alla causa principale, poiché l’applicazione di questi ultimi dipende dal diritto interno.

    Sulle spese

    60 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

    Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

    1) L’art. 17, n. 3, della direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, tanto nella versione originale quanto in quella modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 2000, 2000/34/CE, ha una portata autonoma rispetto al n. 2 di questo stesso articolo, cosicché la circostanza che una professione non sia menzionata in detto n. 2 non impedirebbe che essa possa rientrare nella deroga prevista all’art. 17, n. 3, della direttiva 93/104, nelle due versioni summenzionate.

    2) In circostanze come quelle di cui alla causa principale, le deroghe facoltative previste dall’art. 17 delle direttive 93/104 e 93/104 come modificata dalla direttiva 2000/34 nonché, eventualmente, dagli artt. 17 e/o 18 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 novembre 2003, 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, non possono essere invocate contro singoli come i ricorrenti nella causa principale. Inoltre, tali disposizioni non possono essere interpretate nel senso che consentono oppure vietano di applicare contratti collettivi come quelli di cui alla causa principale, poiché l’applicazione di questi ultimi dipende dal diritto interno.

    www.costituzionalismo.it/notizie/523/
     
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