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Piano sanitario nazionale 2003 - 2005
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visto l'art. 1, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502, e successive modificazioni, che demanda al Governo la
predisposizione e l'adozione del Piano sanitario nazionale, sentite
le Commissioni parlamentari competenti per materia e le
Confederazioni sindacali maggiormente rappresentative, d'intesa con
la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281;
Visto l'art. 8 del citato decreto legislativo n. 281 del 1997;
Vista la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in
data 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla
Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2002, recante individuazione
dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'art. 1, comma 6, del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive
modificazioni;
Viste le osservazioni delle Regioni formulate dalla Conferenza
dei presidenti delle regioni e delle Province autonome nella seduta
della Conferenza Stato-Regioni del 20 giugno 2002;
Acquisito il parere delle Confederazioni sindacali maggiormente
rappresentative;
Acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
Preso atto dell'intesa intervenuta nell'ambito della Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome di Trento e di Bolzano, unificata con la Conferenza
Stato-citta' ed autonomie locali nella seduta del 15 aprile 2003;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella
riunione del 18 aprile 2003;
Sulla proposta del Ministro della salute, di concerto con i
Ministri per gli affari regionali e dell'economia e delle finanze;
Decreta:
Art. 1.
1. E' approvato il Piano sanitario nazionale 2003-2005 nel testo
risultante dall'atto di intesa tra Stato e Conferenza unificata, di
cui all'allegato.
Il presente decreto, previa registrazione da parte della Corte
dei conti, sara' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana.
Dato a Roma, addi' 23 maggio 2003
CIAMPI
Berlusconi, Presidente del Consiglio
dei Ministri
Sirchia, Ministro della salute
La Loggia, Ministro per gli affari
regionali
Tremonti, Ministro dell'economia e
delle finanze
Visto, il Guardasigilli: Castelli
Registrato alla Corte dei conti il 13 giugno 2003
Ufficio di controllo preventivo sui Ministeri dei servizi alla
persona e dei beni culturali, registro n. 4, foglio n. 113
PIANO SANITARIO NAZIONALE 2003-2005
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I N D I C E
il quadro di riferimento
|I nuovi scenari e i fondamenti del Servizio sanitario
1. |nazionale
---------------------------------------------------------------------
1.1. |Il primo Piano sanitario nazionale dopo il cambiamento
---------------------------------------------------------------------
1.1.1.|L'etica del sistema
---------------------------------------------------------------------
|Dalla sanita' alla salute: la nuova visione ed i principi
1.2. |fondamentali
Parte Prima: I dieci progetti per la strategia del cambiamento
2. |I dieci progetti per la strategia del cambiamento
---------------------------------------------------------------------
|Attuare, monitorare e aggiornare l'accordo sui livelli
|essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste
2.1. |di attesa
---------------------------------------------------------------------
|Promuovere una rete integrata di servizi sanitari e sociali
|per l'assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai
2.2. |disabili
---------------------------------------------------------------------
|La cronicita', la vecchiaia, la disabilita': una realta'
|della societa' italiana che va affrontata con nuovi mezzi e
2.2.1. |strategie
---------------------------------------------------------------------
2.2.2. |Le sfide per il Servizio sanitario nazionale
---------------------------------------------------------------------
|Garantire e monitorare la qualita' dell'assistenza sanitaria
2.3. |e delle tecnologie biomediche
---------------------------------------------------------------------
|Potenziare i fattori di sviluppo (o {capitali}) della
2.4. |sanita'
---------------------------------------------------------------------
|Realizzare una formazione permanente di alto livello in
2.5. |medicina e sanita'
---------------------------------------------------------------------
|Promuovere l'eccellenza e riqualificare le strutture
2.6. |ospedaliere
---------------------------------------------------------------------
|Promuovere il territorio quale primaria sede di assistenza e
2.7. |di governo dei percorsi sanitari e socio-sanitari
---------------------------------------------------------------------
2.7-bis.|Potenziare i Servizi di urgenza ed emergenza
---------------------------------------------------------------------
|Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella
2.8. |sui servizi sanitari
---------------------------------------------------------------------
|Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la
2.9. |comunicazione pubblica sulla salute
---------------------------------------------------------------------
|Promuovere un corretto impiego dei farmaci e la
2.10. |farmacovigilanza
Parte Seconda: Gli obiettivi generali
3. |La promozione della salute
---------------------------------------------------------------------
3.1. |Vivere a lungo, vivere bene
---------------------------------------------------------------------
3.2. |Combattere le malattie
---------------------------------------------------------------------
3.2.1. |Le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari
---------------------------------------------------------------------
3.2.2. |I tumori
---------------------------------------------------------------------
3.2.3. |Le cure palliative
---------------------------------------------------------------------
3.2.4. |Il diabete, le malattie metaboliche
---------------------------------------------------------------------
3.2.5. |I disturbi del comportamento alimentare
---------------------------------------------------------------------
3.2.6. |Le malattie respiratorie e allergiche
---------------------------------------------------------------------
3.2.7. |Le malattie reumatiche ed osteoarticolari
---------------------------------------------------------------------
3.2.8. |Le malattie rare
---------------------------------------------------------------------
3.2.9. |Le malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione
---------------------------------------------------------------------
|La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e le
3.2.10.|malattie a trasmissione sessuale
---------------------------------------------------------------------
3.3. |Ridurre gli incidenti e le invalidita'
---------------------------------------------------------------------
3.4. |Sviluppare la riabilitazione
---------------------------------------------------------------------
3.5. |Migliorare la medicina trasfusionale
---------------------------------------------------------------------
3.6. |Promuovere i trapianti di organo
---------------------------------------------------------------------
4. |L'ambiente e la salute
---------------------------------------------------------------------
4.1. |I cambiamenti climatici e le radiazioni ultraviolette
---------------------------------------------------------------------
4.2. |L'inquinamento atmosferico
---------------------------------------------------------------------
4.2.1. |L'amianto
---------------------------------------------------------------------
4.2.2. |Il benzene
---------------------------------------------------------------------
4.3. |La carenza dell'acqua potabile e l'inquinamento
---------------------------------------------------------------------
4.4. |Le acque di balneazione
---------------------------------------------------------------------
4.5. |L'inquinamento acustico
---------------------------------------------------------------------
4.6. |I campi elettromagnetici
---------------------------------------------------------------------
4.7. |Lo smaltimento dei rifiuti
---------------------------------------------------------------------
|Pianificazione e risposta sanitaria in caso di eventi
4.8. |terroristici ed emergenze di altra natura
---------------------------------------------------------------------
4.9 |Salute e sicurezza nell'ambiente di lavoro
---------------------------------------------------------------------
5. |La sicurezza alimentare e la sanita' veterinaria
---------------------------------------------------------------------
6. |La salute e il sociale
---------------------------------------------------------------------
6.1. |Le fasce di poverta' e di emarginazione
---------------------------------------------------------------------
6.2. |La salute del neonato, del bambino e dell'adolescente
---------------------------------------------------------------------
6.3. |La salute mentale
---------------------------------------------------------------------
6.4. |Le tossicodipendenze
---------------------------------------------------------------------
6.5. |La sanita' penitenziaria
---------------------------------------------------------------------
6.6. |La salute degli immigrati
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IL QUADRO DI RIFERIMENTO
1. I nuovi scenari e i fondamenti del Servizio sanitario nazionale
1.1. Il primo Piano sanitario nazionale dopo il cambiamento
Il Piano 2003-2005 e' il primo ad essere varato in uno scenario
sociale e politico radicalmente cambiato.
La missione del Ministero della salute si e' significativamente
modificata da «pianificazione e governo della sanita» a «garanzia
della salute» per ogni cittadino. Il Servizio sanitario nazionale e'
un importante strumento di salute, ma non e' l'unico: infatti il
benessere psico-fisico si mantiene se si pone attenzione agli stili
di vita, evitando quelli che possono risultare nocivi.
Per quanto riguarda lo scenario politico-istituzionale, il
recente decentramento dei poteri dallo Stato alle Regioni sta
assumendo l'aspetto di una reale devoluzione. Il decentramento fa
parte da tempo degli obiettivi della sanita' italiana ed era gia'
presente fra le linee ispiratrici della legge 23 dicembre 1978, n.
833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, come del riordino
degli anni '90, nell'ambito del quale veniva riconosciuto alla
Regione un ruolo fondamentale nella programmazione, organizzazione e
gestione dei servizi sanitari.
La fase attuale rappresenta un ulteriore passaggio dal
decentramento dei poteri ad una graduale ma reale devoluzione,
improntata alla sussidiarieta', intesa come partecipazione di diversi
soggetti alla gestione dei servizi, partendo da quelli piu' vicini ai
cittadini.
Significativi passi in avanti sono stati realizzati con la
modifica del titolo V della Costituzione e, nella seconda meta' del
2001, con l'Accordo tra Stato e Regioni (8 agosto 2001), alcuni punti
del quale sono stati recepiti con il successivo decreto attuativo,
convertito in legge (decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, e legge
16 novembre 2001, n. 405).
La legge costituzionale recante «Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione», varata dal Parlamento l'8 marzo
2001 e approvata in sede di referendum confermativo il 7 ottobre
2001, ha introdotto i principi della potesta' di legislazione
concorrente dello Stato e delle Regioni e della potesta'
regolamentare delle Regioni in materia di sanita'.
Rientra nella competenza esclusiva dello Stato la «determinazione
dei Livelli Essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale» (art. 117), definiti secondo quanto stabilito nel novembre
2001 a stralcio del Piano sanitario nazionale con le procedure
previste dal decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito poi
nella legge 16 novembre 2001, n. 405, ferma restando la tutela della
salute che la Repubblica garantisce ai sensi dell'art. 32 della
Costituzione. In altri termini lo Stato formula i principi
fondamentali, ma non interviene sul come questi principi ed obiettivi
saranno attuati, perche' cio' diviene competenza esclusiva delle
Regioni.
Il ruolo dello Stato in materia di sanita' si trasforma, quindi,
da una funzione preminente di organizzatore e gestore di servizi a
quella di garante dell'equita' sul territorio nazionale.
In tale contesto i compiti del Ministero della salute saranno
quelli di:
garantire a tutti l'equita' del sistema, la qualita',
l'efficienza e la trasparenza anche con la comunicazione corretta ed
adeguata;
evidenziare le disuguaglianze e le iniquita' e promuovere le
azioni correttive e migliorative;
collaborare con le Regioni a valutare le realta' sanitarie e a
migliorarle;
tracciare le linee dell'innovazione e del cambiamento e
fronteggiare i grandi pericoli che minacciano la salute pubblica.
Nonostante i risultati raggiunti negli ultimi decenni siano
apprezzabili in termini di maggiore aspettativa di vita e di minore
prevalenza delle patologie piu' gravi, ulteriori e piu' avanzati
traguardi e miglioramenti vanno perseguiti nella qualificazione
dell'assistenza, nell'utilizzo piu' razionale ed equo delle risorse,
nell'omogeneita' dei livelli di prestazione e nella capacita' di
interpretare meglio la domanda e i bisogni sanitari.
Inoltre, non va dimenticato che la popolazione anziana nel nostro
Paese e' cresciuta e cresce di numero piu' che in altri Paesi europei
e che e' aumentato il peso delle risorse private investite nella
salute, sia da parte delle famiglie che del terzo settore e di altri
soggetti privati.
Al Piano sanitario nazionale e' affidato il compito di delineare
gli obiettivi da raggiungere per attuare la garanzia costituzionale
del diritto alla salute e degli altri diritti sociali e civili in
ambito sanitario. Tali obiettivi si intendono conseguibili nel
rispetto dell'Accordo dell'8 agosto 2001, come integrato dalle leggi
finanziarie per gli anni 2002 e 2003 e nei limiti e in coerenza dei
programmati Livelli Essenziali di Assistenza di cui al decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 e successive
integrazioni.
Cio' avviene, peraltro, in coerenza con l'Unione europea e le
altre Organizzazioni internazionali, quali l'Organizzazione Mondiale
della Sanita' (OMS) e il Consiglio d'Europa, che elaborano in modo
sistematico gli obiettivi di salute e le relative strategie.
La competenza dell'Unione europea, in materia sanitaria, e' stata
ulteriormente rafforzata dal Trattato di Amsterdam del 1997, entrato
in vigore nel 1999, secondo il quale il Consiglio dell'Unione
europea, deliberando con la procedura di co-decisione, puo' adottare
provvedimenti per fissare i livelli di qualita' e sicurezza per
organi e sostanze di origine umana, sangue ed emoderivati nonche',
nei settori veterinario e fitosanitario, misure il cui obiettivo
primario sia la protezione della sanita' pubblica.
Nel mese di settembre 2002 e' entrato in vigore il nuovo
Programma di Azione Comunitario nel settore della sanita' pubblica
2003-2008, che individua tra le aree orizzontali di azione
comunitaria:
la lotta contro i grandi flagelli dell'umanita', le malattie
trasmissibili, quelle rare e quelle legate all'inquinamento;
la riduzione della mortalita' e della morbilita' correlate alle
condizioni di vita e agli stili di vita;
l'incoraggiamento ad una maggiore equita' nella sanita'
dell'Unione europea (U.E.), da perseguire attraverso la raccolta,
analisi e distribuzione delle informazioni;
la reazione rapida a pericoli che minacciano la salute
pubblica;
la prevenzione sanitaria e la promozione della salute.
Anche in questo campo, con i commi secondo e quarto dell'art. 117
del novellato titolo V della Costituzione, alle Regioni sono state
affidate nuove competenze in materia comunitaria, sia nella fase
ascendente di formazione degli atti normativi comunitari sia
nell'attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli
atti dell'Unione europea.
Il ruolo del PSN e' significativo in questa prospettiva, tenuto
conto anche della recente elaborazione della «strategia sociale»
comunitaria avviata dal Consiglio Europeo di Lisbona, proseguita con
quello di Nizza ed esplicitata dalla decisione n. 50/2002/CE del
Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 dicembre 2001, che
istituisce un programma d'azione comunitaria per incoraggiare la
cooperazione tra gli Stati membri al fine di combattere
l'emarginazione sociale e, con la piu' ampia accezione, di garantire
la coesione sociale in Europa.
Il Piano sanitario nazionale 2003-2005 tiene conto degli
obiettivi comunitari in tema di salute e del necessario coordinamento
con i programmi dell'Unione europea.
Per rispondere alle esigenze del nuovo scenario il PSN si
articola in due parti:
la prima specifica gli obiettivi strategici di salute;
la seconda individua le linee di sviluppo per gli altri
obiettivi generali di salute.
L'efficacia del Piano dipende dall'attuazione di una produttiva
cooperazione fra i diversi livelli di responsabilita', e per quanto
di competenza, comuni e province, chiamati a:
trasformare gli obiettivi in progetti specifici e ad attuarli;
investire nella qualificazione delle risorse umane;
adottare soluzioni organizzative e gestionali innovative ed
efficaci;
adeguare gli standard quantitativi e qualitativi;
garantire i Livelli Essenziali di Assistenza su tutto il
territorio nazionale.
In questo senso e' necessaria una impostazione intersettoriale
delle politiche per la tutela della salute, che contempli anche le
politiche sociali, ambientali ed energetiche, quelle del lavoro,
della scuola e dell'istruzione, delle politiche agricole e di quelle
produttive: la tutela della salute, pertanto, si persegue attraverso
una strategia coordinata di interventi delle diverse istituzioni per
rispondere pienamente ed in maniera specifica ai nuovi bisogni di
salute dei cittadini.
In sintesi, alla luce dei cambiamenti politici e giuridici
avvenuti e di quelli tuttora in corso, il presente Piano sanitario
nazionale 2003-2005 si configura come un documento di indirizzo e di
linea culturale, piu' che come un progetto che stabilisce tempi e
metodi per il conseguimento degli obiettivi, in quanto questi aspetti
operativi rientrano nei poteri specifici delle Regioni, cui il
presente Piano e' diretto e con le quali e' stato costruito.
1.1.1. L'etica del sistema.
La necessita' di garantire ai cittadini un sistema sanitario equo
diviene sempre piu' urgente per il nostro Paese. L'equita' dovrebbe
guidare le politiche sanitarie, ma nel dibattito e' stata finora
sottovalutata, uscendo spesso perdente nel conflitto con
l'efficienza. Si sono create cosi' diverse iniquita' di sistema che
vanno dalle differenze quali-quantitative nei servizi erogati in
varie aree del Paese, alle disuniformi e lunghe liste d'attesa anche
per patologie che non possono aspettare, allo scarso rispetto per il
malato, agli sprechi e all'inappropriatezza delle richieste e delle
prestazioni, al condizionamento delle liberta' di scelta dei malati,
alla insufficiente attenzione posta al finanziamento e all'erogazione
dei servizi per cronici ed anziani. Iniquita' genera iniquita' e le
lunghe liste di attesa innescano talvolta il sistema perverso della
raccomandazione, per cui il servizio puo' risultare ottimo o
accettabile per una parte dei cittadini, ma non altrettanto buono per
altri.
Nel 1999 un gruppo di esperti anglosassoni, il cosiddetto Gruppo
di Tavistock, ha sviluppato alcuni principi etici di massima che si
rivolgono a tutti coloro che hanno a che fare con la sanita' e la
salute e che, non essendo settoriali, si distinguono dai codici etici
elaborati dalle singole componenti del sistema (medici, enti).
Nel 2000 i cosiddetti 7 principi di Tavistock di seguito
riportati sono stati aggiornati e offerti alla considerazione
internazionale.
1) Diritti. I cittadini hanno diritto alla salute e alle azioni
conseguenti per la sua tutela.
2) Equilibrio. La cura del singolo paziente e' centrale, ma anche
la salute e gli interessi della collettivita' vanno tutelati. In
altri termini non si puo' evitare il conflitto tra interesse dei
singoli e interesse della collettivita'. Ad esempio, la
somministrazione di antibiotici per infezioni minori puo' giovare al
singolo paziente, ma nuoce alla collettivita' perche' aumenta la
resistenza dei batteri agli antibiotici.
3) Visione olistica del paziente, che significa prendersi cura
di tutti i suoi problemi e assicurargli continuita' di assistenza
(dobbiamo sforzarci continuamente di essere ad un tempo specialisti e
generalisti).
4) Collaborazione degli operatori della sanita' tra loro e con il
paziente, con il quale e' indispensabile stabilire un rapporto di
partenariato: «Nulla che mi riguardi senza di me» e' il motto del
paziente che dobbiamo rispettare (Maureen Bisognano, Institute of
Health Care Improvement, Boston).
5) Miglioramento. Non e' sufficiente fare bene, dobbiamo fare
meglio, accettando il nuovo e incoraggiando i cambiamenti
migliorativi. Vi e' ampio spazio per migliorare, giacche' tutti i
sistemi sanitari soffrono di «overuse, underuse, misuse» delle
prestazioni (uso eccessivo, uso insufficiente, uso improprio).
6) Sicurezza. Il principio moderno di «Primum non nocere»
significa lavorare quotidianamente per massimizzare i benefici delle
prestazioni, minimizzarne i danni, ridurre gli errori in medicina.
7) Onesta', trasparenza, affidabilita', rispetto della dignita'
personale sono essenziali a qualunque sistema sanitario e a qualunque
rapporto tra medico e paziente.
Altri due principi che alcuni propongono di aggiungere ai 7
sopraelencati sono la responsabilizzazione di chi opera in sanita' e
la libera scelta del paziente.
A questi principi il Piano sanitario nazionale intende ispirarsi,
proponendo azioni concrete e progressive per la loro attuazione, dal
momento che e' compito dello Stato garantire ai cittadini i diritti
fondamentali sanciti dalla Costituzione.
1.2. Dalla sanita' alla salute: la nuova visione ed i principi
fondamentali
La nuova visione della transizione dalla «sanita» alla «salute»
e' fondata, in particolare, sui seguenti principi essenziali per il
Servizio sanitario nazionale, che rappresentano altresi' i punti di
riferimento per l'evoluzione prospettata:
il diritto alla salute;
l'equita' all'interno del sistema;
la responsabilizzazione dei soggetti coinvolti;
la dignita' ed il coinvolgimento «di tutti i cittadini»;
la qualita' delle prestazioni;
l'integrazione socio-sanitaria;
lo sviluppo della conoscenza e della ricerca;
la sicurezza sanitaria dei cittadini.
Il diritto alla salute e alle cure, indipendentemente dal
reddito, costituisce da tempo parte integrante dei principi che
costituiscono l'ossatura del patto sociale, ma non ha trovato fino ad
oggi attuazione sufficiente. Nella nuova visione, esso costituisce un
obiettivo prioritario. Pertanto e' indispensabile, garantire i
Livelli Essenziali di Assistenza, concordati fra Stato e Regioni,
assicurare un'efficace prevenzione sanitaria e diffondere la cultura
della promozione della salute.
L'equita' negli accessi ai servizi, nell'appropriatezza e nella
qualita' delle cure e' un fondamentale diritto da garantire. Troppo
spesso accade che, a parita' di gravita' ed urgenza, l'assistenza
erogata sia diversificata a seconda del territorio, delle
circostanze, delle carenze strutturali e organizzative e di altri
fattori. In particolare, e' necessario ridurre al minimo la mobilita'
dei pazienti derivante dalla carenza nel territorio di residenza di
strutture sanitarie idonee a fornire le prestazioni di qualita'
richieste.
La responsabilizzazione piena dei soggetti e delle istituzioni
incaricati di organizzare ed erogare le prestazioni di cura e'
fondamentale per promuovere concreti percorsi di salvaguardia delle
garanzie. In questo senso va sviluppata la piena consapevolezza di
tutti, in relazione alla complessita' dei bisogni, agli obblighi che
discendono dal patto costituzionale, alla sempre maggiore ampiezza
delle possibili risposte in termini professionali e tecnologici e
alla necessita' di modulare gli interventi sulla base delle linee di
indirizzo comuni e degli obiettivi prioritari del sistema, nel
rispetto rigoroso delle compatibilita' economiche.
La dignita' e la partecipazione di tutti coloro che entrano in
contatto con i servizi e di tutti i cittadini costituisce nella nuova
visione della salute un principio imprescindibile, che comprende il
rispetto della vita e della persona umana, della famiglia e dei
nuclei di convivenza, il diritto alla tutela delle relazioni e degli
affetti, la considerazione e l'attenzione per la sofferenza, la
vigilanza per una partecipazione quanto piu' piena possibile alla
vita sociale da parte degli ammalati e la cura delle relazioni umane
tra operatori ed utenti. Il cittadino e la sua salute devono essere
al centro del sistema, unitamente al rispetto dei principi etici e
bioetici per la tutela della vita, che sono alla base della
convivenza sociale.
La qualita' delle prestazioni deve essere perseguita per il
raggiungimento di elevati livelli di efficienza ed efficacia
nell'erogazione dell'assistenza e nella promozione della salute. E',
inoltre, necessario garantire l'equilibrio fra la complessita' ed
urgenza delle prestazioni ed i tempi di erogazione delle stesse,
riducendo la lunghezza delle liste di attesa. La crescita e la
valorizzazione professionale degli operatori sanitari e' un requisito
essenziale che deve essere assicurato tramite la formazione
permanente ed altri meccanismi di promozione.
L'integrazione tra i servizi sanitari e quelli sociali a livello
locale e' indispensabile cosi' come la collaborazione tra Istituzioni
e pazienti e la disponibilita' delle cure specialistiche e
riabilitative domiciliari per i pazienti cronici, i malati terminali,
i soggetti deboli e coloro che non sono totalmente autosufficienti;
inoltre, e' molto rilevante, sotto il profilo sociale, concorrere
allo sviluppo di forme di supporto ai familiari dei pazienti.
Lo sviluppo della conoscenza nel settore della salute, attraverso
la ricerca biomedica e sanitaria, e' fondamentale per vincere le
nuove sfide derivanti, in particolare, dalle malattie attualmente non
guaribili, attraverso nuove procedure diagnostiche e terapie
efficaci.
La sicurezza sanitaria dei cittadini e' stata messa in evidenza
in tutta la sua importanza anche dai recenti drammatici avvenimenti
connessi al terrorismo. La sanita' di questi anni non puo' quindi
prescindere dal comprendere tra gli elementi costitutivi della nuova
visione quello dello sviluppo di strategie e strumenti di gestione
dei rischi, di precauzione rispetto alle minacce, di difesa e
prevenzione, nonche' ovviamente di cura degli eventuali danni.
Il raggiungimento di tutti i suddetti obiettivi necessita della
misurazione e della valutazione comparativa dei risultati ottenuti,
sul versante sia quantitativo sia qualitativo. Non e' infatti
possibile assicurare pari dignita' e pari trattamento a tutti gli
utenti senza disporre di strumenti per la verifica del lavoro fatto e
della qualita' raggiunta nelle varie realta'. La soddisfazione degli
utenti e la loro corretta informazione, la qualita' delle
prestazioni, i risultati ottenuti in termini clinici e sociali,
nonche' il rapporto tra costi e risultati devono costituire una parte
significativa degli obiettivi da raggiungere e delle misurazioni e
valutazioni da effettuare in modo comparativo fra le diverse realta'
territoriali.
A seguire, in questa Parte prima, si descrivono le linee di
pensiero e di azione per l'attuazione dei progetti per la strategia
del cambiamento, mentre gli obiettivi generali del Servizio sanitario
nazionale sono trattati nella Parte seconda.
Parte Prima
I DIECI PROGETTI
PER LA STRATEGIA DEL CAMBIAMENTO
2. I dieci progetti per la strategia del cambiamento
2.1. Attuare, monitorare ed aggiornare l'accordo sui livelli
essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste di attesa
Il primo frutto concreto dell'Accordo stipulato tra il Governo e
le Regioni in materia sanitaria l'8 agosto 2001 e' costituito dalla
definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza, da assicurare e
garantire su tutto il territorio nazionale.
Tale definizione e' costruita sui seguenti fondamentali principi:
il livello dell'assistenza erogata, per essere garantita, deve
poter essere misurabile tramite opportuni indicatori;
le prestazioni, che fanno parte dell'assistenza erogata, non
possono essere considerate essenziali se non sono appropriate;
l'appropriatezza delle prestazioni e' collegata al loro
corretto utilizzo e non alla tipologia della singola prestazione,
fatte salve quelle poche considerate non strettamente necessarie;
gli indicatori di appropriatezza vengono calcolati ai diversi
livelli di erogazione del servizio (territorio, Ospedale, ambiente di
lavoro) e verificano la correttezza dell'utilizzo delle risorse
impiegate in termini di bilanciamento qualita-costi.
L'introduzione dei Livelli Essenziali di Assistenza costituisce
l'avvio di una nuova fase per la tutela sanitaria, in quanto per la
prima volta si da' seguito all'esigenza, emersa da anni, di garantire
ai cittadini un servizio sanitario omogeneo in termini di quantita' e
qualita' delle prestazioni erogate e di individuare il corretto
livello di erogazione dei servizi resi.
La definizione dei LEA, prima con l'Accordo del 22 novembre 2001
poi con l'adozione degli stessi con il decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001, in attuazione dell'art.
6 della legge n. 405/2001 ha definito i confini a carico del SSN
utilizzando due concetti principali:
a) quello di servizi «essenziali», intesi come accettabili sul
piano sociale nonche' tecnicamente appropriati ed efficaci, in quanto
fondati sulle prove di evidenza ed erogati nei modi economicamente
piu' efficienti;
b) quello delle «liste negative» consistente nell'individuare
precisamente cio' che non deve piu' essere erogato con finanziamenti
a carico del SSN.
Il significato innovativo dell'introduzione dei LEA e' consistito
nell'aver definito i diritti sanitari dei cittadini in modo
complessivo e non in termini residuali (anche per questo i LEA non
possono esser definiti come livelli minimi) e nell'aver introdotto
uno strumento per il governo dell'evoluzione del SSN e non un
semplice modo per ridimensionare la spesa.
La messa a punto di tale strumento tuttavia ha portato alla luce
alcune aree di complessita' tra le quali si ritiene opportuno
segnalare le seguenti:
i) appropriatezza clinico-assistenziale e organizzativa che
richiede un processo continuo che va sostenuto sistematicamente da
parte del livello centrale, regionale, aziendale e professionale del
SSN per gli aspetti di relativa competenza, per migliorare l'impiego
delle risorse e la qualita' dei servizi, anche in rapporto alla
introduzione di nuove tecnologie;
ii) integrazione socio-sanitaria che richiede di individuare
ulteriori fonti di finanziamento per le prestazioni che sono state
escluse totalmente o parzialmente dai LEA.
La definizione dei livelli di assistenza e' un primo importante
passo di un percorso che richiede la verifica, sul territorio,
dell'effettiva erogazione degli stessi e dei relativi costi, a
garanzia dell'equita' della tutela della salute sul territorio e
dell'efficienza del sistema.
In attuazione dell'accordo in materia di spesa sanitaria, sancito
dalla Conferenza Stato-Regioni l'8 agosto 2001, e' stato istituito,
nell'ambito della Conferenza Stato-Regioni, il Tavolo di monitoraggio
e verifica sui LEA effettivamente erogati e sulla corrispondenza ai
volumi di spesa stimati e previsti, cui sono affidati i compiti
indicati ai punti 15 degli accordi Governo-Regioni dell'8 agosto
2001, 5.2 dell'accordo del 22 novembre 2001 sui LEA e lettera a)
dell'accordo del 14 febbraio 2002 sulle modalita' di accesso alle
prestazioni diagnostiche e terapeutiche e indirizzi applicativi sulle
liste di attesa.
Nel tavolo di monitoraggio e verifica vengono anche definiti
specifici criteri di monitoraggio all'interno del sistema di garanzie
introdotto dall'art. 9 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n.
56, per assicurare trasparenza, confrontabilita' e verifica
dell'assistenza erogata attraverso i LEA con un sistema di indicatori
essenziali, pertinenti e caratterizzati da dinamicita' e
aggiornamento continuo.
L'accordo del 22 novembre 2001 prevede, inoltre, la costituzione
di un organismo nazionale ad hoc, cui affidare l'aggiornamento delle
prestazioni erogate sotto il profilo tecnico-scientifico, valutando
periodicamente quelle da mantenere, escludere o includere ex novo,
senza alterarne il profilo economico finanziario. Con la legge
15 giugno 2002, n. 112, tale organismo e' stato individuato ed
istituito quale Commissione (C-LEA), per le attivita' di valutazione
in relazione alle risorse definite, dei fattori scientifici,
tecnologici ed economici relativi alla definizione ed aggiornamento
dei LEA e delle prestazioni in esso contenute.
Con il collegato alla finanziaria 2003 e' stata istituita una
Commissione unica per i dispositivi medici, cui e' affidato un
compito di aggiornamento del repertorio dei dispositivi medici e di
classificazione dei prodotti in classi e sottoclassi specifiche con
l'indicazione del prezzo di riferimento. Attraverso tale
classificazione, anche ad integrazione di quanto previsto dalla
normativa comunitaria, si garantira' un omogeneo sistema di
caratterizzazione qualitativa di dispositivi medici utilizzabili e si
porranno le basi per agevolare iniziative di ottimizzazioni delle
procedure di acquisto rispettose delle esigenze di qualita' e
sicurezza dei prodotti.
Con i tre organismi sopra citati si realizza un organico sistema
di garanzia, articolato secondo il seguente schema:
il Tavolo di Monitoraggio e verifica dei Livelli essenziali di
assistenza effettivamente erogati ha il compito di verificarne la
corrispondenza con i volumi di spesa stimati e previsti, articolati
per fattori produttivi e responsabilita' decisionali, al fine di
identificare i determinanti di tale andamento, a garanzia
dell'efficacia e dell'efficienza del Servizio sanitario nazionale;
la Commissione nazionale per la definizione e l'aggiornamento
dei LEA (C-LEA), garantisce, a parita' di risorse impiegate, che
siano effettuati gli indispensabili interventi di manutenzione degli
elenchi delle prestazioni ricomprese nei LEA, proponendone
l'introduzione, la sostituzione o la cancellazione, con le procedure
previste dalla normativa vigente;
la Commissione unica per i dispositivi medici (CUD), garantisce
che l'utilizzo dei dispositivi medici nella varie tipologie di
prestazioni sia ispirato a criteri di qualita' e sicurezza,
assicurando anche la congruita' del prezzo.
Nell'ambito dell'accordo sui LEA, particolare importanza riveste
la questione della corretta gestione degli accessi e delle attese per
le prestazioni sanitarie, sottolineata piu' volte anche dal
Presidente della Repubblica, e anch'essa obiettivo di primaria
importanza per il cittadino: il tempo di attesa rappresenta, da un
lato, la prima risposta che egli riceve dal sistema e, dall'altro, il
fondamentale principio di tutela dei diritti in tema di accesso alle
cure e di eguaglianza nell'ambito del Servizio sanitario.
Il diritto all'accesso alle prestazioni diagnostiche e
terapeutiche, in conseguenza di richieste appropriate, deve essere
messo in relazione, per i tempi e per i modi, con una ragionevole
valutazione della prestazione richiesta e della sua urgenza.
Per contribuire al miglioramento complessivo dell'efficienza
delle strutture e dell'accessibilita' alle prestazioni sanitarie, e'
stato sottoscritto il recente accordo relativo alle attivita' di
chirurgia di giorno (day surgery), che consente una diversificazione
dell'offerta sanitaria per i cittadini ed una maggiore appropriatezza
nell'utilizzo delle tipologie di assistenza.
Gli obiettivi strategici:
disporre di un consolidato sistema di monitoraggio dei Livelli
Essenziali di Assistenza, tramite indicatori che operino in modo
esaustivo a tutti e tre i livelli di verifica (ospedaliero,
territoriale e ambiente di lavoro), grazie anche all'utilizzo dei
dati elaborati dal Nuovo Sistema Informativo Sanitario;
rendere pubblici i valori monitorati dei tempi di attesa,
garantendo il raggiungimento del livello previsto;
costruire indicatori di appropriatezza a livello del territorio
che siano centrati sul paziente e non sulle prestazioni, come avviene
oggi;
diffondere i modelli gestionali delle Regioni e delle Aziende
Sanitarie in grado di erogare i Livelli Essenziali di Assistenza con
un corretto bilanciamento tra i costi e la qualita' (bench-marking a
livello regionale ed aziendale);
promuovere i migliori protocolli di appropriatezza che verranno
via via sperimentati e validati ai diversi livelli di assistenza;
attivare tutte le possibili azioni capaci di garantire ai
cittadini tempi di attesa appropriati alla loro obiettiva esigenza di
salute, anche sulla base delle indicazioni presenti nell'Accordo
Stato-Regioni 11 luglio 2002.
2.2. Promuovere una rete integrata di servizi sanitari e sociali per
l'assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili
2.2.1. La cronicita', la vecchiaia, la disabilita': una realta'
della societa' italiana che va affrontata con nuovi mezzi e strategie
Il mondo della cronicita' e quello dell'anziano hanno delle
peculiarita' che in parte li rendono assimilabili:
sono aree in progressiva crescita;
richiedono una forte integrazione dei servizi sanitari con
quelli sociali;
necessitano di servizi residenziali e territoriali finora non
sufficientemente disegnati e sviluppati nel nostro Paese;
hanno una copertura finanziaria insufficiente.
Piu' che mai si rende necessario, innanzitutto, che si intervenga
in sede preventiva; prevenire in questo caso significa rallentare e
ritardare l'instaurarsi di condizioni invalidanti, che hanno in
comune un progressivo percorso verso la non-autosufficienza e quindi
verso la necessita' di interventi sociali e sanitari complessi e
costosi. Per quanto riguarda i diversi approcci praticabili per la
prevenzione, essi sono di diversa natura: prevenzione primaria (stili
di vita salutari) e secondaria (diagnosi precoce di alcuni tipi di
tumore), nonche' profilassi di particolari malattie. Le Regioni,
pienamente responsabili dell'assistenza sanitaria e della relativa
spesa, sanno che investire in prevenzione significa risparmiare gia'
nel medio termine; questa consapevolezza induce a ritenere che le
misure di prevenzione in questa area avranno in futuro uno sviluppo
maggiore che in passato.
Per gli anziani importante e' la possibilita' di mantenere una
vita attiva sia dal punto di vista fisico che intellettuale, in
quanto spesso essi tendono ad isolarsi e a trascurare gli stili di
vita piu' appropriati. Le Campagne istituzionali di comunicazione
possono essere di grande aiuto anche in tal senso.
L'anziano vive meglio nel proprio domicilio e nel contesto di una
famiglia. Spesso, tuttavia, la famiglia ha difficolta' economiche e
logistiche ad assistere in casa l'anziano che necessita di cure. E',
quindi, necessario supportare la famiglia in questo compito.
A fronte di un fabbisogno stimato in circa 15 miliardi di euro
per anno, oggi l'Italia spende per l'assistenza sociale circa 6,5
miliardi di euro. Tutti i Paesi del mondo occidentale hanno avuto il
problema di finanziare adeguatamente un settore dell'assistenza che
solo 30 anni or sono era di dimensioni insignificanti, ma che ora,
con l'allungamento dell'aspettativa media di vita, e' in aumento
progressivo. Oggi nel Nord Italia quasi il 10% della popolazione ha
piu' di 75 anni (poco meno nel Sud del Paese) e sappiamo che la
disabilita' in questa fascia di popolazione raggiunge il 30%.
Anche gli altri Paesi europei sono intervenuti a sostegno della
non-autosufficienza, con modalita' differenti. Tutte le modalita',
tuttavia, come ben evidenziato da Costanzo Ranci (2001) nella ricerca
«L'assistenza agli anziani in Italia e in Europa», sembrano
condividere, pur con accentuazioni ed enfasi diverse, il seguente
aspetto: tentare di combinare interventi di trasferimento monetario
alle famiglie con l'erogazione di servizi finali, allo scopo di
sostenere il lavoro familiare ed informale di cura (cash and care).
Rispetto ai principali Paesi europei, l'Italia ancora spicca
soprattutto per l'assenza di un pensiero e di una proposta forti che
affrontino il problema della non-autosufficienza, un problema di
dimensione crescente, che tanto disagio provoca a molte persone
anziane e disabili e alle loro famiglie.
Occorre puntare pertanto a:
rendere piu' efficace ed efficiente la gestione dei servizi
esistenti tramite l'introduzione di meccanismi competitivi;
attribuire maggiore capacita' di scelta ai beneficiari finali
dei servizi;
sostenere maggiormente le famiglie che si incaricano
dell'assistenza;
regolarizzare e stimolare la pluralita' dell'offerta di
servizi;
sostenere la rete di assistenza informale ed il volontariato;
sperimentare nuove modalita' di organizzazione dei servizi
anche ricorrendo a collaborazioni con il privato;
attivare sistemi di garanzia di qualita' e adeguati controlli
per gli erogatori di servizi sociali e sanitari.
2.2.2. Le sfide per il Servizio sanitario nazionale.
Non vi e' dubbio che il Servizio sanitario nazionale debba
prepararsi a soddisfare una domanda crescente di assistenza di natura
diversa da quella tradizionale e caratterizzata da nuove modalita' di
erogazione, basate sui principi della continuita' delle cure per
periodi di lunga durata e dell'integrazione tra prestazioni sanitarie
e sociali erogate in ambiti di cura molto diversificati tra loro
(assistenza continuativa integrata).
Le categorie di malati interessate a questo nuovo modello di
assistenza sono sempre piu' numerose: pazienti cronici, anziani non
autosufficienti o affetti dalle patologie della vecchiaia in forma
grave, disabili, malati afflitti da dipendenze gravi, malati
terminali.
Gli obiettivi di questa assistenza sono la stabilizzazione della
situazione patologica in atto e la qualita' della vita dei pazienti,
raramente quelle della loro guarigione.
Deve pertanto svilupparsi, nel mondo sanitario, un nuovo tipo di
assistenza basata su un approccio multidisciplinare, volto a
promuovere i meccanismi di integrazione delle prestazioni sociali e
sanitarie rese sia dalle professionalita' oggi presenti, sia da
quelle nuove da creare nei prossimi anni.
Innanzitutto e' indispensabile che la continuita' delle cure sia
garantita tramite la presa in carico del paziente da parte dei
Servizi e delle Istituzioni allo scopo di coordinare tutti gli
interventi necessari al superamento delle condizioni che ostacolano
il completo inserimento nel tessuto sociale, quando possibile, o che
limitano la qualita' della vita.
A tale scopo i Servizi e le Istituzioni devono divenire nodi di
una rete di assistenza nella quale viene garantita al paziente
l'integrazione dei servizi sociali e sanitari, nonche' la continuita'
assistenziale nel passaggio da un nodo all'altro, avendo cura che
venga ottimizzata la permanenza nei singoli nodi in funzione
dell'effettivo stato di salute. Dovra' essere, di conseguenza,
ridotta la permanenza dei pazienti negli Ospedali per acuti e
potenziata l'assistenza riabilitativa e territoriale.
La gestione dei servizi in rete comporta che le Aziende Sanitarie
Locali ed i Comuni individuino le forme organizzative piu' adatte
affinche' le prestazioni sanitarie e sociali siano disponibili per il
paziente in modo integrato. Per permettere il maggior recupero
raggiungibile dell'autosufficienza e la diminuzione della domanda
assistenziale, gli interventi vanno integrati, nei casi in cui e'
opportuno, con l'erogazione dell'assistenza protesica.
Gli obiettivi strategici:
la realizzazione di una sorgente di finanziamento adeguata al
rischio di non autosufficienza della popolazione;
la realizzazione di reti di servizi di assistenza integrata,
economicamente compatibili, rispettose della dignita' della persona;
il corretto dimensionamento dei nodi della rete (ospedalizzazione
a domicilio, assistenza domiciliare integrata, centri diurni
integrati, residenze sanitarie assistenziali e istituti di
riabilitazione) in accordo con il loro effettivo utilizzo;
la riduzione del numero dei ricoveri impropri negli Ospedali per
acuti e la riduzione della durata di degenza dei ricoveri
appropriati, grazie alla presenza di una rete efficace ed efficiente;
il miglioramento della autonomia funzionale delle persone
disabili, anche in relazione alla vita familiare ed al contesto
sociale e lavorativo;
l'introduzione di misure che possono prevenire o ritardare la
disabilita' e la non autosufficienza, che includono le informazioni
sugli stili di vita piu' appropriati e sui rischi da evitare.
2.3. Garantire e monitorare la qualita' dell'assistenza sanitaria e
delle tecnologie biomediche
Un obiettivo importante da perseguire nell'ambito del diritto
alla salute e' quello della qualita' dell'assistenza sanitaria. E' la
cultura della qualita' che rende efficace il sistema, consentendo di
attuare un miglioramento continuo, guidato dai bisogni dell'utente.
Sempre piu' frequentemente emerge in sanita' l'intolleranza
dell'opinione pubblica verso disservizi ed incidenti, che originano
dalla mancanza di un sistema di garanzia di qualita' e che vanno
dagli errori medici alle lunghe liste d'attesa, alle evidenti
duplicazioni di compiti e servizi, alla mancanza di piani formativi
del personale strutturati e documentati, alla mancanza di procedure
codificate, agli evidenti sprechi.
La qualita' in sanita' riguarda un insieme di aspetti del
servizio, che comprendono sia la dimensione tecnica, che quella
umana, economica e clinica delle cure e va perseguita attraverso la
realizzazione di una serie articolata di obiettivi, dalla efficacia
clinica, alla competenza professionale e tecnica, all'efficienza
gestionale, all'equita' degli accessi, alla appropriatezza dei
percorsi terapeutici.
Per l'aspetto umano, e' opportuno che venga misurata anche la
qualita' percepita da parte dei pazienti, che rappresenta un
importante indicatore della soddisfazione dell'utente.
Gli obiettivi strategici:
promuovere, divulgare e monitorare esperienze di miglioramento
della qualita' all'interno dei servizi per la salute;
coinvolgere il maggior numero di operatori in processi di
informazione e formazione sulla qualita';
valorizzare la partecipazione degli utenti al processo di
definizione, applicazione e misurazione della qualita';
promuovere la conoscenza dell'impatto clinico, tecnico ed
economico dell'uso delle tecnologie, anche con comparazione tra le
diverse Regioni italiane;
mantenere e sviluppare banche dati sui dispositivi medici e sulle
procedure diagnostico-terapeutiche ad essi associati, con i relativi
costi;
attivare procedure di bench-marking sulla base di dati attinenti
agli esiti delle prestazioni.
2.4. Potenziare i fattori di sviluppo (o «capitali») della sanita'
Le organizzazioni complesse utilizzano tre forme di «capitale»:
umano, sociale e fisico in ordine di importanza. Questo concetto,
ripreso recentemente anche nel Piano Sanitario inglese, e' in linea
con il pensiero espresso fin dalla meta' del secolo scorso da Carlo
Cattaneo, grande filosofo ed «economista pubblico». Nonostante gli
sforzi compiuti, nessuna delle tre risorse citate e' stata ancora
valorizzata nella nostra sanita' in misura sufficiente.
Il «capitale umano», ossia il personale del Servizio sanitario
nazionale, e' quello che presenta aspetti di maggiore delicatezza. La
Pubblica amministrazione, che gestisce la maggior parte dei nostri
ospedali, non rivolge sufficiente attenzione alla motivazione del
personale e alla promozione della professionalita' e molti strumenti
utilizzati a questo scopo dal privato le sono sconosciuti.
Solo oggi si comincia in Italia a realizzare un organico
programma di aggiornamento del personale sanitario. Dal 2002 e'
diventata, infatti, realta' l'acquisizione dei crediti per tutti gli
operatori sanitari che partecipano agli eventi autorizzati dalla
Commissione Nazionale per l'Educazione Medica Continua. Ben piu'
importante, secondo l'accordo del 20 dicembre 2001 con le Regioni, e
grazie all'adesione di varie organizzazioni e associazioni, inclusi
gli Ordini delle Professioni Sanitarie, la Federazione dei Direttori
Generali delle Aziende Sanitarie e le Societa' scientifiche italiane,
inizia l'aggiornamento aziendale, che prevede un impegno delle
Aziende Sanitarie ad attivare postazioni di educazione e corsi
aziendali per il personale, utilizzando anche la rete informatica.
Un personale aggiornato e' garanzia, per il malato, di buona
qualita' delle cure, ma l'aggiornamento sistematico costituisce anche
un potente strumento di promozione dell'autostima del personale
stesso, che sa di migliorare in tal modo la propria immagine
professionale e la propria credibilita' verso la collettivita'.
Ovviamente l'aggiornamento sistematico e' solo uno degli strumenti di
valorizzazione del personale. Operare in un sistema nel quale vi sia
certificazione della qualita' e' un altro elemento di gratificazione
per gli operatori sanitari. Un ulteriore elemento e' costituito da un
rapporto di lavoro che premi la professionalita' ed il merito e
liberi il medico da una serie di vincoli e limitazioni per rendere
piu' efficace la sua opera.
Altrettanto necessaria appare la valorizzazione della professione
infermieristica e delle altre professioni sanitarie, per le quali si
impone la nascita di una nuova «cultura della professione», cosi' che
il ruolo dell'infermiere sia ricondotto, nella percezione sia della
classe medica sia dell'utenza, all'autentico fondamento
epistemologico del nursing. Il capitale sociale va inteso come quella
rete di relazioni che devono legare in un rapporto di partnership
tutti i protagonisti del mondo della salute impegnati nei settori
dell'assistenza, del volontariato e del no profit, della
comunicazione, dell'etica, dell'innovazione, della produzione, della
ricerca, che possono contribuire ad aumentare le risorse per l'area
del bisogno socio-sanitario, oggi largamente sottofinanziato. Tutta
questa rete sociale, grande patrimonio del vivere civile, e' ancora
largamente da valorizzare ed e' la cultura di questo capitale sociale
che va prima di tutto sviluppata. L'altro punto da valorizzare e' il
capitale «fisico» del S.S.N.: gli investimenti per l'edilizia
ospedaliera e per le attrezzature risalgono per la maggior parte alla
legge 11 marzo 1988, n. 67 e molti dei fondi da allora impegnati non
sono ancora stati utilizzati per una serie di difficolta' incontrate
sia dallo Stato sia dalle Regioni in fase di progettualita' e di
realizzazioni. E' necessario provvedere, come per i LEA, ad una
manutenzione continua del patrimonio fisico, partendo da un
monitoraggio dello stesso perche' il sistema possa essere
effettivamente competitivo in termini di qualita' dell'offerta.
Gli obiettivi strategici:
dare piena attuazione alla Educazione Continua in Medicina;
valorizzare le figure del medico e degli altri operatori
sanitari;
garantire una costante manutenzione strutturale e tecnologica dei
presidi sanitari del SSN, rilanciando il programma di investimenti
per l'edilizia sanitaria e per le attrezzature, secondo quanto
stabilito dall'Accordo dell'8 agosto 2001;
strutturare un piano di sviluppo della ricerca capace di attirare
anche gli investitori privati ed i ricercatori italiani e stranieri;
alleggerire le strutture pubbliche ed il loro personale dai
vincoli e dalle procedure burocratiche che limitano le capacita'
gestionali e rallentano l'innovazione, consentendo loro una gestione
imprenditoriale finalizzata anche all'autofinanziamento;
investire per il supporto dei valori sociali, intesi come cemento
della societa' civile e strumento per rapportare i cittadini alle
Istituzioni ed ai servizi sanitari pubblici e privati.
2.5. Realizzare una formazione permanente di alto livello in medicina
e sanita'
L'Educazione Continua in Medicina (ECM), vale a dire la
formazione permanente nel campo delle professioni sanitarie, deve
rispondere alla esigenza di garantire alla collettivita' il
mantenimento della competenza professionale degli operatori. Come
tale, essa si configura come un elemento di tutela dell'equita'
sociale e riassume in se' i concetti di responsabilita' individuale e
collettiva, insiti nell'esercizio di ogni attivita' volta alla tutela
e alla promozione della salute della popolazione.
Gia' nel 1999 (Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n. 229), e nel
2000 (Decreto Ministeriale 5 luglio 2000) ne sono state delineate
l'infrastruttura amministrativa, decisionale e politica, ed e' stato
valorizzato il ruolo sociale della formazione permanente, in una
situazione nella quale le iniziative, pur numerose, e prevalentemente
di tipo congressuale, erano focalizzate quasi esclusivamente sulla
professione medica, interessando le altre professioni dell'area
sanitaria solo in maniera frammentaria.
La volontarieta' era, del resto, la caratteristica portante di
queste iniziative: nonostante il valore spesso molto elevato di
alcune di esse, non e' sempre stata data sufficiente importanza alla
dimensione deontologica della formazione professionale, intesa non
solo come un dovere di valorizzazione della propria professionalita'
e di autoarricchimento, ma anche come una responsabilita' forte nei
riguardi della collettivita'.
L'accordo in Conferenza Stato-Regioni del 20 dicembre 2001 ha
sancito, in maniera positiva, la convergenza di interesse tra
Ministero della Salute e Regioni nella pianificazione di un programma
nazionale che, partendo dal lavoro compiuto dalla Commissione
Nazionale per la Formazione Continua, si estenda capillarmente cosi'
da creare una forte coscienza della autoformazione e
dell'aggiornamento professionale estesa a tutte le categorie
professionali impegnate nella sanita'.
La Commissione Nazionale per la Formazione Continua, istituita
nel 2000 e rinnovata il 1° febbraio 2002, ha affrontato innanzitutto
il problema dell'impostazione ex novo del sistema della formazione
permanente e dell'aggiornamento sia sotto il profilo organizzativo ed
amministrativo sia sotto quello della cultura di riferimento,
attraverso confronti nazionali e regionali con diversi attori del
sistema sanitario: cio' ha portato alla attivazione di un programma
nazionale di formazione continua attivo dal gennaio 2002.
Un elemento caratterizzante del programma e' la sua estensione a
tutte le professioni sanitarie, con una strategia innovativa rispetto
agli altri Paesi. Il razionale sotteso a questo approccio e'
evidente: nel momento in cui si afferma la centralita' del paziente e
muta il contesto dell'assistenza, con la nascita di nuovi
protagonisti e con l'emergere di una cultura del diritto alla
qualita' delle cure, risulta impraticabile la strada di una
formazione elitaria, limitata ad una o a poche categorie
professionali e diviene obbligo morale la garanzia della qualita'
professionale estesa trasversalmente a tutti i componenti della
equipe sanitaria, una utenza di oltre 800.000 addetti delle diverse
professioni sanitarie e tecniche.
In una prospettiva ancora piu' ampia, la formazione continua
potra' diventare uno degli strumenti di garanzia della qualita'
dell'esercizio professionale, divenendo un momento di sviluppo di una
nuova cultura della responsabilita' e del giusto riconoscimento della
eccellenza professionale.
Partendo dalle premesse culturali e sociali sopra delineate, il
programma si pone l'obiettivo di disegnare le linee strategiche della
formazione continua, nella quale i contenuti ed i fini della
formazione siano interconnessi con gli attori istituzionali. E cio'
e' particolarmente significativo per quanto concerne la ripartizione
tra obiettivi formativi di rilevanza nazionale, di rilevanza
regionale e di libera scelta.
Gli obiettivi nazionali devono discendere, attraverso una intesa
tra Ministero della salute e Regioni, dal presente Piano e stimolare
negli operatori una nuova attenzione alle dimensioni della salute
- in aggiunta a quelle della malattia - alla concretezza dei problemi
sanitari emergenti ed ai nuovi problemi di natura socio-sanitaria.
Gli obiettivi formativi di interesse regionale devono rispondere
alle specifiche esigenze formative delle amministrazioni regionali,
chiamate ad una azione piu' capillare legata a situazioni
epidemiologiche, socio-sanitarie e culturali differenti. Il ruolo
delle Regioni, nel campo della formazione sanitaria continua, diviene
cosi' un ulteriore strumento per il pieno esercizio delle competenze
attribuite dalla Costituzione alle Regioni stesse: elemento di
crescita degli operatori sanitari, di loro sensibilizzazione alle
realta', in una parola, di coerenza e di compliance della qualita'
professionale con le specifiche richieste dei cittadini e del
territorio.
Infine, gli obiettivi formativi di libera scelta dell'operatore
sanitario rappresentano l'elemento eticamente forse piu' rilevante
della nuova formazione permanente: essi, infatti, si richiamano
direttamente alla capacita' dell'operatore di riconoscere le proprie
esigenze formative, ammettere i propri limiti e decidere di colmarli.
Un ulteriore elemento di novita' e' rappresentato dal
coinvolgimento di Ordini, Collegi e Associazioni professionali, non
solo quali attori della pianificazione della formazione, ma anche
quali organismi di garanzia della sua aderenza agli standard europei
ed internazionali. Sotto quest'ultimo profilo, attenzione dovra'
essere posta proprio all'armonizzazione tra il sistema formativo
italiano e quello europeo, in coerenza con i principi della libera
circolazione dei professionisti.
Ancora, le Societa' Scientifiche dovranno trovare ampia
valorizzazione nel sistema della formazione continua, garanti non
solo della solidita' delle basi scientifiche degli eventi formativi,
ma anche della qualita' pedagogica e della loro efficacia.
Da ormai molti anni la maggior parte delle Societa' Medico
Scientifiche Italiane si e' riunita nella Federazione Italiana delle
Societa' Medico Scientifiche (FISM), che ha operato per dare agli
specialisti italiani un ruolo di interlocuzione con le Istituzioni,
inteso primariamente come contributo culturale ed operativo
all'identificazione ed allo sviluppo delle attivita' sanitarie e
mediche nel Paese. Oggi le Societa' Scientifiche hanno trovato pieno
riconoscimento del loro ruolo per l'ECM, la cui organizzazione si e'
cosi' arricchita di risorse culturali ed umane.
Nel sistema che si sta creando, dovra' anche essere dedicata
attenzione al mondo della editoria, sia cartacea che on-line, in
maniera da garantire che i prodotti immessi in circolazione siano
coerenti con le finalita' del sistema formativo.
Da ultimo, ma non meno importante, e' il coinvolgimento degli
Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, delle Aziende
Ospedaliere e delle Universita' nonche' delle altre strutture
sanitarie pubbliche e private: esse rappresentano la naturale sede
della formazione continua, in quanto in grado di offrire quella
«formazione in contesto professionale», eminentemente pratica ed
operativa, senza la quale la formazione continua rimane un mero
esercizio cognitivo, privo di qualsiasi possibilita' di ricaduta
concreta sulla qualita' delle cure.
2.6. Promuovere l'eccellenza e riqualificare le strutture ospedaliere
Per molti anni l'ospedale ha rappresentato nella sanita' il
principale punto di riferimento per medici e pazienti: realizzare un
Ospedale ha costituito per piccoli e grandi Comuni italiani un giusto
merito, ed il poter accedere ad un Ospedale situato a breve distanza
dalla propria residenza e' diventato un elemento di sicurezza e di
fiducia per la popolazione, che ha portato l'Italia a realizzare ben
1.440 Ospedali, di dimensioni e potenzialita' variabili.
Ancora fino agli anni '70 gli strumenti diagnostici e terapeutici
dei medici e degli Ospedali erano relativamente limitati: non
esistevano le apparecchiature sofisticate di oggi e quindi non era
necessario disporre di superspecialisti. Gli importanti sviluppi
intervenuti successivamente, basta citare l'impetuoso affermarsi
delle tecnologie sanitarie basate sulle bio-immagini, che ha visto il
progressivo diffondersi delle ecografie, TAC, NMR, e PET a fianco
della radiologia tradizionale hanno comportato l'obsolescenza di
costosissime apparecchiature nel giro di pochi anni. Negli ultimi 20
anni e' cambiata la tecnologia, ed e' cambiata la demografia:
l'aspettativa di vita e' cresciuta fino a raggiungere i 76,0 anni per
gli uomini e gli 82,4 anni per le donne, cosicche' la patologia
dell'anziano, prevalentemente di tipo cronico, sta progressivamente
imponendosi su quella dell'acuto. Si sviluppa conseguentemente anche
il bisogno di servizi socio-sanitari, in quanto molte patologie
croniche richiedono non solo interventi sanitari, ma soprattutto
servizi per la vita di tutti i giorni, la gestione della
non-autosufficienza, l'organizzazione del domicilio e della famiglia,
sulla quale gravano maggiormente i pazienti cronici. Nasce la
necessita' di portare al domicilio del paziente le cure di
riabilitazione e quelle palliative con assiduita' e competenza, e di
realizzare forme di ospedalizzazione a domicilio con personale
specializzato, che eviti al paziente di muoversi e di affrontare il
disagio di recarsi in Ospedale.
Alla luce di questo nuovo scenario la nostra organizzazione
ospedaliera, un tempo assai soddisfacente, necessita oggi di un
ripensamento.
Un Ospedale piccolo sotto casa non e' piu' una sicurezza, in
quanto spesso non puo' disporre delle attrezzature e del personale
che consentono di attuare cure moderne e tempestive.
Solo se si sapra' cogliere, con questa ed altre modalita', il
cambiamento ed il nuovo che avanza in sanita', se si sapra' attuare
una buona comunicazione con i cittadini per far loro capire come sia
necessario, nel loro interesse, assecondare il cambiamento ed
adeguarvisi, se si sapra' gestire il servizio pubblico con mentalita'
imprenditoriale sara' offerta al Paese una sanita' piu' efficace,
piu' moderna ed anche economicamente piu' vantaggiosa, modificando
una realta' che continua ad assorbire risorse per mantenere servizi
di limitata utilita'.
E' importante sottolineare che l'Italia recentemente, ha ritenuto
strategico il collegamento in rete degli Ospedali di eccellenza e di
questi con gli Ospedali Italiani nel mondo. Si tratta di oltre 40
strutture distribuite nei vari Continenti, con le quali il
collegamento offre potenziali vantaggi in quanto contribuisce a
legare le comunita' italiane all'estero, ma che ha vantaggi evidenti
soprattutto per i Paesi africani dove esistono ben 20 strutture
italiane per le quali si puo' ipotizzare la costruzione di una rete
verticale anziche' orizzontale. Verticale nel senso che presso questi
Ospedali si puo' realizzare un teleconsulto e un sistema educativo
via rete per l'aggiornamento del personale italiano che, a sua volta,
puo' trasferire queste conoscenze al personale locale, creando in
loco le capacita' professionali per rendere questi Paesi piu'
autonomi dal punto di vista sanitario.
Gli obiettivi strategici:
sostenere le Regioni nel loro programma di ridisegno della rete
ospedaliera, con la finalita' da un lato di convertire la funzione di
alcuni Ospedali minori e di attivare la ospedalita' a domicilio, e
dall'altro di realizzare Centri avanzati di Eccellenza;
attivare, da parte delle Regioni e dello Stato, una forte azione
di comunicazione con la popolazione, tesa a chiarire il senso
dell'operazione, che e' quello di fornire ai cittadini servizi
ospedalieri piu' efficaci e piu' moderni, riducendo i cosiddetti
viaggi della speranza ed i relativi disagi e costi, attivando nel
contempo servizi per i pazienti cronici ed alleviando il peso che
questi comportano per le rispettive famiglie;
concordare con le Regioni una metodologia di misura della
qualita' degli erogatori dei servizi sanitari.
2.7. Promuovere il territorio quale primaria sede di assistenza e di
governo dei percorsi Sanitari e Socio-Sanitari
Piu' in generale, si rende evidente la necessita' ormai
inderogabile di organizzare meglio il territorio spostandovi risorse
e servizi che oggi ancora sono assorbiti dagli ospedali, in una
logica di sanita' ospedalocentrica che oggi non e' piu' sostenibile.
Ancora una volta quindi l'attenzione si sposta sui MMG e pediatri di
libera scelta, ai quali si deve pero' chiedere di giocare un ruolo
maggiore che in passato.
Il nuovo piano Sanitario Nazionale, e' lo strumento per
individuare un nuovo assetto dell'organizzazione della medicina nel
territorio. I problemi economici, le liste di attesa, il
sotto-utilizzo e l'utilizzo improprio di risorse nel sistema,
impongono una reinterpretazione del rapporto territorio-ospedale.
Il gradimento dei cittadini verso l'assistenza di base, consiglia
di recuperare a pieno questa risorsa riportandola al centro della
risposta sanitaria e di governo dei percorsi sanitari. Cio' in
raccordo con le altre presenze nel territorio.
Questo dovra' uniformarsi con un governo unitario della Sanita'
nel territorio, espresso nella partecipazione alle scelte di
programmazione, che dovra' essere sintonizzato con gli obiettivi di
salute della programmazione e quindi premiare la professionalita', la
qualita' e la quantita' di lavoro, nonche' un conseguente
riconoscimento nel sistema sanitario.
Obiettivo di questo riordino sono:
la garanzia di una appropriata erogazione dei servizi a partire
dei LEA;
il mantenimento nel territorio di tutte le attivita'
ambulatoriali;
un'efficace continuita' assistenziale;
la fornitura di attivita' specialistiche;
l'abbattimento delle liste d'attesa;
la riduzione di ricoveri ospedalieri impropri;
la attivazione dei percorsi assistenziali.
L'obiettivo prioritario e' la realizzazione di un processo di
riordino che garantisca un elevato livello di integrazione tra i
diversi servizi sanitari e sociali, realizzato con il supporto del
medico dell'assistenza sanitaria di base. Un processo teso a fornire,
l'unitarieta' tra prestazioni sanitarie e sociali, la continuita' tra
azioni di cura e riabilitazione, la realizzazione di percorsi
assistenziali integrati, l'intersettorialita' degli interventi,
unitamente al conseguente riequilibrio di risorse finanziarie e
organizzative in rapporto all'attivita' svolta tra l'ospedale e il
territorio a favore di quest'ultimo.
E' noto quanto sia importante il coordinamento degli interventi
ed a tale scopo individuare nel territorio soluzioni innovative,
organizzative e gestionali per orientare diversamente la domanda di
prestazioni.
Il territorio e' sempre stato considerato erogatore di servizi
extra ospedalieri, oggi e' necessario indirizzare chiaramente una
nuova e razionale offerta di prestazioni sul territorio, che
configuri l'intervento ospedaliero come assistenza extra territoriale
sempre piu' riservato alle patologie acute.
E' una linea che inverte il tradizionale sistema di offerta
sanitaria fondata prioritariamente sull'ospedale che attende i
cittadini ai servizi, a favore di una linea che identifica il
territorio quale soggetto attivo che intercetta il bisogno sanitario
e si fa carico in modo unitario delle necessita' sanitarie e
socio-assistenziali dei cittadini.
2.7.-bis Potenziare i Servizi di Urgenza ed Emergenza
Per quanto attiene al sistema di emergenza-urgenza attivo in
Italia, sono state emanate nell'aprile 1996 le Linee Guida che
forniscono le indicazioni sui requisiti organizzativi e funzionali
della rete dell'emergenza e sulle Unita' operative che compongono i
Dipartimenti di Urgenza ed Emergenza (DEA) di I e II livello. Sulla
base di tali indicazioni il sistema dell'emergenza sanitaria risulta
costituito da:
un sistema di allarme sanitario, assicurato dalla centrale
operativa, alla quale affluiscono tutte le richieste di intervento
sanitario in emergenza tramite il numero unico telefonico nazionale
(118);
un sistema territoriale di soccorso costituito da idonei mezzi
di soccorso distribuiti sul territorio;
una rete di servizi e presidi ospedalieri, funzionalmente
differenziati e gerarchicamente organizzati.
Relativamente a particolari specialita' le Linee Guida sopra
citate prevedono l'elaborazione di successivi documenti di
approfondimento sulla gestione di tematiche specifiche. Tra queste,
le Linee Guida sulla chirurgia e microchirurgia della mano e quelle
sul triage intraospedaliero sono state approvate dalla Conferenza
Stato-Regioni e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 7 dicembre
2001 mentre quelle sull'Organizzazione di un sistema integrato di
assistenza ai pazienti traumatizzati con mielolesioni e/o
cerebrolesioni sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del
24 giugno 2002.
Il miglioramento dei servizi di urgenza ed emergenza riveste
infine un particolare rilievo per le Isole minori e le localita'
montane disagiate, per le quali sono stati previsti specifici
interventi sia dall'Accordo sui Livelli Essenziali di Assistenza sia
dalla legge Finanziaria del 28 dicembre 2001, n. 448. Infatti, mentre
l'Accordo garantisce l'erogazione delle prestazioni previste dai
livelli, con particolare riguardo a quelle di emergenza-urgenza, alle
popolazioni delle Isole minori e delle comunita' montane disagiate,
la legge Finanziaria facilita il reclutamento del personale da
impiegare a tale scopo.
Gli obiettivi strategici:
riorganizzazione strutturale dei Pronto Soccorso e dei
Dipartimenti d'emergenza e accettazione;
integrazione del territorio con l'Ospedale;
integrazione della rete delle alte specialita' nell'ambito
dell'emergenza per la gestione del malato critico e
politraumatizzato.
2.8. Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella sui
servizi sanitari
La realizzazione degli obiettivi di salute dipende in larga parte
dai risultati della ricerca, in quanto il progresso scientifico
contribuisce in maniera determinante alla scoperta di nuove terapie e
procedure diagnostiche ed alla individuazione di nuovi procedimenti e
di nuove modalita' organizzative nell'assistenza e nell'erogazione
dei servizi sanitari.
Il sostegno della ricerca comporta dei costi, ma determina a
lungo termine il vantaggio, anche economico, di ridurre l'incidenza
delle malattie, e di migliorare lo stato di salute della popolazione.
Il convincimento che le sfide piu' importanti si possano vincere
soltanto con l'aiuto della ricerca e dei suoi risultati ci spinge a
considerare il finanziamento della ricerca un vero e proprio
investimento e la sua organizzazione un obiettivo essenziale.
Alla luce di tutto questo aver mantenuto la spesa pubblica
italiana per la ricerca tra le piu' basse in Europa, rispetto al
prodotto interno lordo nazionale, ha rappresentato un grave danno per
il nostro Paese. Da piu' parti si e' elevato a questo proposito il
monito che, uscendo dalle difficolta' economiche momentanee, l'Italia
debba approntare un piano strategico di rilancio della ricerca che
inizi con l'attribuire a questo settore maggiori risorse pubbliche.
Tuttavia va anche ricordato che il rilancio della ricerca non dipende
solo dalla disponibilita' di fondi pubblici.
Per quanto riguarda la ricerca nell'ambito dell'Unione Europea e'
fondamentale che l'Italia svolga a pieno il ruolo che le spetta
nell'ambito del Sesto Programma Quadro (2002-2006) di Azione
Comunitaria di Ricerca, Sviluppo Tecnologico e Dimostrazione per la
Realizzazione dello Spazio Europeo della Ricerca, dotato di
importanti risorse finanziarie. Cio' non solo perche' il Programma
Quadro contribuira' a modificare nell'arco di cinque anni in modo
radicale l'assetto della ricerca in Europa, ma anche perche' l'Italia
ha il dovere di sviluppare la ricerca a sostegno delle politiche
comunitarie e di quelle destinate a rispondere alle esigenze
emergenti.
Gli obiettivi strategici:
la semplificazione delle procedure amministrative e burocratiche
per la autorizzazione ed il finanziamento della ricerca;
la promozione delle collaborazioni e delle reti di scambio tra
ricercatori, istituti di ricerca, istituti di cura, associazioni
scientifiche ed associazioni di malati;
la elaborazione dello studio di modelli che creino le condizioni
favorevoli per l'accesso alla ricerca e per favorire la mobilita' dei
ricercatori tra le varie Istituzioni;
la promozione delle collaborazioni tra Istituzioni pubbliche e
private nel campo della ricerca;
l'attivazione di strumenti di flessibilita' e convenienza per i
ricercatori, capaci di attirare ricercatori operanti all'estero,
inclusi i rapporti con i capitali e gli istituti privati italiani e
stranieri, in rapporto di partenariato o di collaborazione senza
limiti burocratici eccessivi;
l'attivazione di una politica che renda vantaggioso per le
imprese investire nella ricerca in Italia, utilizzando modelli gia'
sperimentati negli altri Paesi;
il perseguimento degli obiettivi prioritari previsti dal sesto
Programma Quadro Comunitario in tema di ITC, Biotecnologie e nuovi
materiali, nano e microtecnologie;
il perseguimento degli obiettivi previsti dai quattro assi di
intervento previsti dal PNR.
2.9. Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la
comunicazione pubblica sulla salute
Le conoscenze scientifiche attuali dimostrano che l'incidenza di
molte patologie e' legata agli stili di vita.
a) Oltre ad una crescente quota di popolazione in sovrappeso,
numerose patologie sono correlate, ad esempio, ad una alimentazione
non corretta. Tra queste, alcuni tipi di tumori, il diabete mellito
di tipo 2, le malattie cardiovascolari ischemiche, l'artrosi,
l'osteoporosi, la litiasi biliare, lo sviluppo di carie dentarie e le
patologie da carenza di ferro e carenza di iodio. Una caratteristica
della prevenzione delle malattie connesse all'alimentazione e' la
necessita' di coinvolgere gran parte della popolazione e non soltanto
i gruppi ad alto rischio. La strategia di prevenzione deve essere
rivolta pertanto all'intera popolazione, presso la quale occorre
diffondere raccomandazioni per una sana alimentazione in termini di
nutrienti, di scelta di profili alimentari salutari, ma anche
coerenti con le consuetudini, che tengano conto dei fattori culturali
e socio-economici. L'accento va posto sulla lettura ed utilizzazione
della etichettatura nutrizionale, adottata per un numero crescente di
alimenti preconfezionati, che puo' facilitare scelte idonee ed
indurre il settore industriale a migliorare la qualita' nutrizionale
degli alimenti prodotti.
I disturbi del comportamento alimentare (anoressia nervosa,
bulimia, altri disturbi del comportamento alimentare) mostrano, a
partire dagli anni '70, un significativo incremento di incidenza e
prevalenza. I valori attuali di prevalenza in Italia nelle donne di
eta' compresa tra i 12 e i 25 anni (soggetti a rischio) sono i
seguenti (dati riguardanti solo le sindromi complete e non i disturbi
sub clinici): anoressia nervosa 0,3-0,5%; bulimia nervosa 1-3%; altri
disturbi del comportamento alimentare 6%.
Un problema che riveste un interesse prioritario e' quello della
dieta e del sovrappeso, sul quale ha richiamato l'attenzione di
recente il Consiglio dei Ministri Europeo e per il quale si rimanda
all'apposito capitolo.
Anche su questi temi vanno attuate, a fini di prevenzione,
campagne di sensibilizzazione anche nella scuola, nei consultori
adolescenziali e presso i medici di medicina generale.
b) Nell'ambito dell'adozione di stili di vita sani, l'attivita'
fisica riveste un ruolo fondamentale. Il ruolo protettivo
dell'esercizio fisico regolare e' stato dimostrato soprattutto nei
confronti delle patologie cardiovascolari e cerebrovascolari, di
quelle osteoarticolari (in particolare l'osteoporosi), metaboliche
(diabete), della performance fisica e psichica degli anziani.
L'esercizio fisico regolare aiuta a controllare il peso corporeo,
riduce l'ipertensione arteriosa e la frequenza cardiaca ed aumenta il
benessere psicofisico.
c) Il fenomeno del tabagismo e' molto complesso sia per i
risvolti economici, psicologici e sociali sia, soprattutto, per la
pesante compromissione della salute e della qualita' di vita dei
cittadini, siano essi soggetti attivi (fumatori) o soggetti passivi
(non fumatori).
Oggi la comunita' scientifica e' unanime nel considerare il fumo
di tabacco la principale causa di morbosita' e mortalita'
prevenibile. Infatti e' scientificamente dimostrato l'aumento della
mortalita' nei fumatori rispetto ai non fumatori per molte neoplasie
quali ad esempio il tumore del polmone, delle vie aeree superiori
(labbra, bocca, faringe e laringe), della vescica e del pancreas.
Il fumo e' causa anche di un aumento della mortalita' per
affezioni cardiovascolari, aneurisma dell'aorta e broncopneumopatie
croniche ostruttive.
Si stima che, ad oggi, i fumatori nel mondo siano circa 1
miliardo e 100 mila, 1/3 della popolazione globale sopra i 15 anni e
1/3 di questi siano donne. In Europa sono stati stimati 230 milioni
di fumatori, cioe' circa il 30% dell'intera popolazione europea.
In Italia, dalle indagini multiscopo dell'Istat risulta che nel
2000 la percentuale di fumatori era pari al 24,1%: il 31,5% della
popolazione maschile, il 17,2% della popolazione femminile e ben il
21,3% dei giovani tra i 14 e i 24 anni. I fumatori piu' accaniti, in
termini di numero medio di sigarette fumate al giorno, sono gli
uomini con 16 sigarette al giorno contro le 12 delle donne.
Nel nostro Paese nel 1998 si sono verificati 570.000 decessi: il
15% di questi, pari a 84.000 sono stati attribuiti al fumo, 72.000
nella popolazione maschile e 12.000 in quella femminile.
Attualmente il tumore al polmone e' la decima causa di morte nel
mondo. Alcuni studi predicono che, qualora non si adottino piu'
concrete politiche antifumo, il tumore al polmone sara' nel 2020 tra
le prime 5 cause di morte al mondo.
L'analisi della distribuzione percentuale dei fumatori negli
ultimi 10 anni (1991-2000), che non mostra diminuzioni significative,
ci induce a pensare che le politiche intraprese finora dai vari
Governi e supportate anche da Organizzazioni sopranazionali, quali
l'OMS, non hanno ottenuto i risultati attesi.
La normativa nazionale sul divieto di fumo nei locali pubblici
utilizzata finora, risulta essere limitata ed inefficace nella sua
applicazione. Il divieto di fumo, cosi' come regolamentato
sostanzialmente dalla legge n. 584 dell'11 novembre 1975 e dalla
direttiva 14 dicembre 1995, non e' sufficiente. Questa normativa, nel
tentativo di puntualizzare i luoghi ove e' vietato fumare e di
affidare il rispetto delle norme a responsabili sprovvisti
dall'autorita' necessaria, ha, di fatto, creato incertezze e
difficolta' che hanno vanificato lo sforzo del legislatore.
Un ulteriore sviluppo normativo approvato in via definitiva dal
Parlamento il 21 dicembre 2002 prevede l'applicazione del divieto di
fumo a tutti gli spazi confinati, ad eccezione di quelli adibiti ad
uso privato e a quelli eventualmente riservati ai fumatori che
dovranno essere dotati di appositi dispositivi di ricambio d'aria per
tutelare la salute dei lavoratori addetti.
Gli interventi legislativi, comunque, devono essere coniugati con
maggiori e piu' incisive campagne di educazione ed informazione sui
danni procurati dal fumo attivo e/o passivo, la cui efficacia potra'
essere maggiore se verranno rivolte soprattutto ai giovani in eta'
scolare e alle donne in eta' fertile.
Una campagna indirizzata ai ragazzi di 14 e 15 anni e' stata
iniziata nelle scuole dal Ministero della Salute e da quello
dell'Istruzione, Universita' e Ricerca scientifica con l'iniziativa
denominata «Missione Salute» che si propone di supportare
l'educazione alla Salute nelle nostre scuole.
In particolare per i giovani va tenuto conto che si e' registrato
un abbassamento dell'eta' in cui questi iniziano a fumare (15 anni) e
che il 90% dei fumatori inizia a consumare sigarette prima dei 20
anni. Inoltre, se si considera che l'iniziazione alle sigarette e'
fortemente influenzata, sia nelle ragazze sia nei ragazzi, da
pressioni sociali, da bisogni psicologici, da condizionamenti legati
a compagni ed amici e da fattori familiari quali la presenza di
genitori che fumano, risulta evidente che un appropriato intervento
deve essere perseguito con un adeguato comportamento di coloro che
rivestono ruoli percepiti dai ragazzi come carismatici, inclusi i
genitori, gli insegnanti, gli operatori sanitari e i mass media.
Sara' da modificare in particolare il modello proposto nei decenni
precedenti che presentava il fumatore come un personaggio emancipato
e carismatico; al contrario la nuova politica adottata negli USA, che
attribuisce al fumatore un basso livello socio-culturale, e' quella
che piu' si avvicina alle realta' e che meglio puo' contrastare la
cultura del secolo scorso.
Essendo scientificamente provata la correlazione tra fumo e
patologie del feto, risulta di particolare rilievo l'intervento di
sensibilizzazione destinato alle donne in eta' fertile. Infatti, ad
esempio, il deficit congenito di un arto, nel quale una parte o tutto
l'arto del feto puo' non svilupparsi, e' doppio nelle donne fumatrici
rispetto alle non fumatrici. L'aborto spontaneo, si produce in quasi
4.000 donne su 100.000 che fumano e il rischio di gravidanza ectopica
e' doppio rispetto alle non fumatrici. I bambini di madri fumatrici
pesano alla nascita in media 150-200 grammi in meno. Le donne
fumatrici sono piu' soggette a fenomeni quali la placenta previa, il
distacco di placenta, le emorragie gestazionali, la rottura precoce
della membrana amniotica, le infezioni del liquido amniotico. Inoltre
alcuni studi dimostrano che l'esposizione dei neonati al fumo passivo
aumenta il rischio di SIDS (Sudden Infant Death Sindrome) ed in
particolare e' direttamente proporzionale al consumo di sigarette
fumate dalla madre e al numero di sigarette fumate in presenza dei
neonati.
d) La riduzione dei danni sanitari e sociali causati dall'alcool
e', attualmente, uno dei piu' importanti obiettivi di salute
pubblica, che la gran parte degli Stati persegue per migliorare la
qualita' della vita dei propri cittadini. Numerose evidenze
dimostrano che gli individui (ed i giovani in particolare) che
abusano dell'alcool risultano piu' frequentemente inclini a
comportamenti ad alto rischio per se' e per gli altri (quali guida di
autoveicoli e lavoro in condizioni psico-fisiche inadeguate) nonche'
al fumo e/o all'abuso di droghe rispetto ai coetanei astemi. L'alcool
agisce come «ponte» per gli individui piu' giovani, rappresentando
una delle possibili modalita' di approccio a sostanze illegali, le
cui conseguenze spesso si estendono ben oltre la salute della persona
che ne fa direttamente uso. Benche' il consumo di bevande alcooliche
in Italia sia andato diminuendo dal 1981, notevoli sforzi devono
essere posti in essere per raggiungere gli obiettivi adottati
dall'OMS e, in particolare, dall'Unione Europea con la recente
approvazione di una specifica strategia per la riduzione dei pericoli
connessi all'alcool.
Una corretta informazione sui problemi della salute, sulle
malattie, e sui comportamenti e le soluzioni piu' adatte a promuovere
lo stato di salute sta alla base di una moderna societa' del
benessere. Molti sono infatti gli strumenti che la scienza e la
tecnologia moderna mettono a disposizione della collettivita' per
tutelare le condizioni di vita e di salute. Molti sono anche,
peraltro, i fattori di minaccia per la salute, vecchi e nuovi,
dall'inquinamento agli errori alimentari, agli abusi di sostanze
potenzialmente dannose, alla mancata prevenzione. Anche sostanze
innocue come il sale da cucina, se assunto in quantita' eccessive
possono essere causa di malattie a carico dell'apparato
cardio-vascolare.
Va inoltre sottolineata l'importanza di sottoporsi a periodici
controlli e a test di screening consigliati per la diagnosi precoce
dei tumori nelle eta' e con i tempi appropriati.
Alcune importanti informazioni di carattere sanitario non sono o
sono scarsamente accessibili ai pazienti. Questo e', ad esempio, il
caso delle informazioni:
sulle possibili terapie alternative per particolari malattie;
sullo sviluppo di alcuni approcci terapeutici;
sull'esito di alcune sperimentazioni cliniche;
sulle caratteristiche delle diverse strutture sanitarie e le
diverse possibilita' di cura;
sulle modalita' di accesso alle cure.
Le informazioni necessarie ai pazienti per orientarsi sulle
decisioni in materia di salute dovrebbero essere fornite in modo
comprensibile e aggiornato. Benche' il ruolo del medico e del
farmacista rimanga fondamentale nell'informare i pazienti, e'
necessario tenere conto del fatto che lo sviluppo della societa'
dell'informazione offre numerosi altri strumenti, ivi incluso
Internet, il cui impatto potrebbe essere altamente benefico se
opportunamente utilizzati. In effetti, esistono gia' numerosi siti
web che forniscono una varieta' di informazioni di carattere
sanitario, ma la qualita' dell'informazione fornita non e' sempre
soddisfacente ed, in alcuni casi, e' addirittura fuorviante.
Costituisce un obbligo prioritario per il Servizio Sanitario
Nazionale quello di fornire ai cittadini corretti strumenti di
informazione, che consentano di evitare i rischi, di attuare
comportamenti salutari, e di conoscere e saper individuare
adeguatamente ed in tempo utile i possibili segnali di squilibrio
psicofisico e di malattia.
Oltreche' all'importanza della informazione sulla salute rivolta
ai cittadini, il Servizio Sanitario Nazionale deve prestare
attenzione anche alle opportunita' dello sviluppo di una corretta
comunicazione tra cittadini ed Istituzioni. Fino ad un recente
passato il rapporto terapeutico era inteso quasi esclusivamente «a
senso unico», nel quale le informazioni passavano dal medico, o
dall'operatore sanitario, al paziente, o ai suoi familiari. In uno
stato moderno, nel quale i cittadini possiedono livelli di cultura
piu' elevati, e soprattutto ambiscono a partecipare attivamente ai
processi sociali ed economici che li riguardano, la relazione
bi-direzionale tra operatori e utenti e' d'obbligo.
Le Istituzioni sanitarie devono rispondere a numerose istanze sul
complesso e articolato tema della salute, moltiplicando in tal modo
la quantita' dei temi e dei messaggi, che rischiano cosi' di
disperdersi in piu' percorsi di comunicazione, non potendo avere una
sufficiente massa critica di risorse.
Si nota inoltre su alcune tematiche di pubblico valore, oggetto
in passato di attivita' comunicazionale, un mancato coordinamento a
livello di obiettivi strategici desiderati, o addirittura una
sovrapposizione degli sforzi da parte di diversi enti, che anziche'
creare valore incrementale alla comunicazione rischiano di
indirizzare ai cittadini messaggi incoerenti o poco chiari.
L'insieme di queste considerazioni evidenzia la necessita' di
modificare l'approccio alla comunicazione istituzionale in campo
sanitario se si vuole raggiungere risultati significativi su
questioni di altissimo impatto.
Gli obiettivi strategici
Occorre orientare l'attivita' e gli impegni del Servizio
Sanitario Nazionale affinche' esso si muova nella direzione dello
sviluppo di un sistema di monitoraggio e comunicazione per tutti gli
utenti, effettivi e potenziali, sugli stili di vita sani e la
prevenzione sanitaria.
Cio' implica la necessita' di:
acquisire gli elementi necessari per comprendere le esigenze di
informazione dei cittadini in tema di salute e di sanita';
avviare un processo di valutazione ed interpretazione della
domanda di salute;
individuare i nodi critici della comunicazione tra operatori e
utenti;
mettere a fuoco le lacune in tema di capacita' diffuse di
prevenzione;
progettare una banca-dati di informazioni aggiornate sulla rete
dei servizi sanitari e socio-sanitari e sulle prestazioni offerte, ed
un relativo sistema di trasmissione e distribuzione delle
informazioni;
contribuire al consolidamento di una corretta cultura della
salute nel Paese;
coinvolgere soggetti plurimi, pubblici e privati, in comuni
imprese ed iniziative di comunicazione ed informazione sulla salute e
la sanita';
portare a regime un piano pluriennale di comunicazione
istituzionale sulla salute.
2.10. Promuovere un corretto impiego dei farmaci e la
farmacovigilanza
L'uso razionale dei medicinali rappresenta un obiettivo
prioritario e strategico del Piano Sanitario Nazionale, per il ruolo
che il farmaco riveste nella tutela della salute.
A seguito dell'emanazione della legge 16 novembre 2001 n. 405, i
farmaci rappresentano uno dei settori piu' avanzati di applicazione
del processo di devoluzione di competenze alle Regioni, in un quadro
peraltro di garanzia per tutti i cittadini di accesso ai farmaci
essenziali.
L'attuazione del Programma Nazionale di Farmacovigilanza,
costituisce lo strumento attraverso il quale valutare costantemente
il profilo di beneficio-rischio dei farmaci, e garantire la sicurezza
dei pazienti nell'assunzione dei medicinali. Piu' in generale,
bisogna puntare sul buon uso del farmaco.
. -
.
In tale contesto, si inserisce l'invio a tutte le famiglie
italiane dell'opuscolo «Pensiamo alla salute. 20 regole per un uso
corretto dei farmaci», a cura del Ministero della Salute. Tale
iniziativa intende costituire un supporto di conoscenza e di
informazione per tutti i cittadini sul corretto ruolo dei farmaci nel
contesto della salute, mettendo in relazione l'uso dei medicinali con
l'attenzione a stili di vita adeguati.
L'Italia ritiene necessario l'aggiornamento della normativa
europea in materia di medicinali e a tal fine si adoperera' per
mettere a punto nuovi sviluppi basati sulla collaborazione degli
Stati membri e della Commissione Europea secondo quanto delineato dal
gruppo di lavoro ad alto livello su «Innovazione e disponibilita' dei
medicinali» (cosiddetto gruppo G-10 medicinali) che ha adottato 14
raccomandazioni in materia di politica farmaceutica relative ad
innovazione, accessibilita', bench-marking, diritti di informazione
dei pazienti ed impatto dell'allargamento dell'U.E.
Gli obiettivi strategici
Gli obiettivi strategici nel settore del buon uso del farmaco
possono essere cosi' definiti:
offrire un supporto sistematico alle Regioni sull'andamento
mensile della spesa farmaceutica, attraverso informazioni validate ed
oggettive, che consentano un puntuale monitoraggio della spesa, la
valutazione dell'appropriatezza della farmacoterapia e l'impatto
delle misure di contenimento della spesa adottate dalle Regioni in
base alla citata legge n. 405 del 2001;
attuare il Programma Nazionale di Farmacovigilanza per
assicurare un sistema capace di evidenziare le reazioni avverse e di
valutare sistematicamente il profilo di rischio-beneficio dei
farmaci;
porre il farmaco fra i temi nazionali dell'ECM;
rafforzare l'informazione sui farmaci rivolta agli operatori
sanitari e ai cittadini;
promuovere l'appropriatezza delle prescrizioni e dei consumi;
rilanciare la sperimentazione clinica dei farmaci e il ruolo
dei comitati etici locali;
assicurare l'accesso agevole e rapido ai medicinali innovativi
per tutti i cittadini.
Parte Seconda
GLI OBIETTIVI GENERALI
3. La promozione della salute
L'aumento della longevita' in Italia potra' essere conseguito
soprattutto attraverso la diminuzione della mortalita' per malattie
cardiovascolari, la riduzione della mortalita' prematura per cancro e
una migliore prevenzione degli incidenti e degli infortuni. Sono
numerose in Italia, come in altri Stati, le cause di morte che
potrebbero essere prevenute da un intervento medico o di salute
pubblica appropriato (morti evitabili). Un primo gruppo comprende le
malattie per le quali i fattori etiologici sono stati identificati e
il cui impatto dovrebbe essere ridotto attraverso idonei programmi di
prevenzione primaria. Un secondo gruppo include le malattie
neoplastiche la cui diagnosi precoce, unitamente alla terapia
adeguata, ha dimostrato di aumentare notevolmente il tasso di
sopravvivenza dei pazienti. Un terzo gruppo, piu' eterogeneo, e'
formato da malattie associate a condizioni igieniche scarse, quali ad
esempio l'epatite virale A, e da altre malattie fortemente
influenzate dall'efficienza del sistema sanitario nel provvedere una
diagnosi corretta e un tempestivo trattamento appropriato. Secondo
alcune stime recenti, vi sarebbero state in Italia nel 1998 circa 80
mila morti evitabili per il 57,7% mediante la prevenzione primaria,
per il 9,9% attraverso diagnosi precoci e per la restante parte con
una migliore assistenza sanitaria. L'incremento del numero delle
persone anziane pone la necessita' di promuovere la loro
partecipazione alla vita sociale, contrastando l'emarginazione e
rafforzando l'integrazione fra politiche sociali e sanitarie al fine
di assicurare l'assistenza domiciliare per evitare ogni volta che sia
possibile l'istituzionalizzazione.
3.1. Vivere a lungo, vivere bene
L'aspettativa di vita a 65 anni in Italia ha evidenziato la
tendenza ad un progressivo aumento a partire dal 1970 per entrambi i
sessi: nel corso degli anni fra il 1983 e il 1993, l'aspettativa di
vita a 65 anni e' aumentata di 2,3 anni per le femmine (+13,5%) e di
2 anni per i maschi (+14,5%). Nell'anno 2000 l'aspettativa di vita
alla nascita e' stata stimata essere pari a 82,4 anni per le donne e
a 76,0 anni per gli uomini. Tuttavia, l'aumento della longevita' e'
un risultato valido se accompagnato da buona salute e da piena
autonomia. A tale scopo e' stato sviluppato il concetto di
«aspettativa di vita sana (o esente da disabilita)». I dati
disponibili, pur limitati, suggeriscono che l'aspettativa di vita
esente da disabilita', sia per i maschi che per le femmine, si
avvicini in Italia alla semplice aspettativa di vita maggiormente di
quanto non avvenga in altri Paesi.
Secondo gli obiettivi adottati nel 1999 dall'OMS (Organizzazione
Mondiale della Sanita) per gli Stati europei, ivi inclusa l'Italia,
entro l'anno 2020:
vi dovrebbe essere un aumento, almeno del 20%, dell'aspettativa
di vita e di una vita esente da disabilita' all'eta' di 65 anni;
vi dovrebbe essere un aumento, di almeno il 50%, nella
percentuale di persone di 80 anni che godono di un livello di salute
che permetta loro di mantenere la propria autonomia e la stima di
se'.
3.2. Combattere le malattie
3.2.1. Le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari
Le malattie cardiovascolari sono responsabili del 43% dei decessi
registrati in Italia nel 1997, per il 31% dovute a patologie
ischemiche del cuore e per il 28% ad accidenti cerebrovascolari.
Notevoli differenze si registrano in diverse parti d'Italia sia
nell'incidenza sia nella mortalita' associata a queste malattie.
I principali fattori di rischio a livello individuale e
collettivo sono il fumo di tabacco, la ridotta attivita' fisica, gli
elevati livelli di colesterolemia e di pressione arteriosa ed il
diabete mellito; la presenza contemporanea di due o piu' fattori
moltiplica il rischio di andare incontro alla malattia ischemica del
cuore e agli accidenti cardiovascolari.
Per quanto riguarda gli interventi finalizzati alla riduzione
della letalita' per malattie cardiovascolari e' ormai dimostrato come
la mortalita' ospedaliera per infarto acuto del miocardio, rispetto a
quanto avveniva negli anni '60 prima dell'apertura delle Unita' di
Terapia Intensiva Coronaria (UTIC), sia notevolmente diminuita e,
dopo l'introduzione della terapia trombolitica, si sia ridotta
ulteriormente. Cio' che resta invariata nel tempo e', invece, la
quota di pazienti affetti da infarto miocardio acuto che muore a
breve distanza dall'esordio dei sintomi prima di giungere
all'osservazione di un medico. Per quanto riguarda l'ictus (circa
110.000 cittadini sono colpiti da ictus ogni anno mentre piu' di
200.000 sono quelli con esiti di ictus pregressi), si rende
indispensabile riorganizzare operativamente e promuovere
culturalmente l'attenzione all'ictus cerebrale come emergenza medica
curabile. E' necessario, quindi, prevedere un percorso integrato di
assistenza al malato che renda possibile sia un intervento
terapeutico in tempi ristretti per evitare l'instaurarsi di danni
permanenti, e dall'altro canto un tempestivo inserimento del paziente
gia' colpito da ictus in un sistema riabilitativo che riduca
l'entita' del danno e favorisca il recupero funzionale.
Per contrastare sia le malattie cardiovascolari sia quelle
cerebrovascolari, e' molto importante intensificare gli sforzi nella
direzione della prevenzione primaria e secondaria, attraverso:
la modificazione dei fattori di rischio quali fumo, inattivita'
fisica, alimentazione errata, ipertensione, diabete mellito;
il trattamento con i farmaci piu' appropriati.
E' necessario anche migliorare le attivita' di sorveglianza degli
eventi acuti.
L'obiettivo adottato nel 1999 dall'Organizzazione Mondiale della
Sanita' per gli Stati dell'Europa per l'anno 2020 e' quello di una
riduzione della mortalita' cardiovascolare in soggetti al di sotto
dei 65 anni di eta' pari ad almeno il 40%.
3.2.2. I tumori
Il cancro costituisce la seconda causa di morte nel nostro Paese.
Nel 1998 i decessi per tumore sono stati circa 160.000, il 28% circa
della mortalita' complessiva. Il maggior numero assoluto di decessi
e' attribuibile ai tumori polmonari, seguono quelli del colon-retto,
dello stomaco e della mammella.
Si stima che in Italia siano diagnosticati circa 270.000 nuovi
casi di tumore all'anno.
L'incidenza dei tumori nella popolazione italiana anziana e'
ancora in aumento, mentre i tassi di incidenza, aggiustati per eta',
sono stimati stabili. Nei dati dei Registri Tumori Italiani, il
tumore del polmone e' quello con il massimo livello di incidenza,
seguono i tumori della mammella, del colon-retto e dello stomaco.
La distribuzione geografica del cancro in Italia e'
caratterizzata dall'elevata differenza di incidenza e di mortalita'
fra grandi aree del Paese, in particolare fra Nord e Sud. In entrambi
i sessi e per la maggior parte delle singole localizzazioni tumorali
ed in particolare per i tumori a maggiore frequenza, il rischio di
ammalare e' molto superiore al Nord che al Sud del Paese. Nel 1997 i
tassi standardizzati per eta' della mortalita' per cancro sono stati
per 1.000 abitanti pari a:
uomini: Nord-Ovest: 3,85; Nord-Est: 3,63; Centro: 3,35; Sud e
Isole: 3,03;
donne: Nord-Ovest: 1,93; Nord-Est: 1,83; Centro: 1,76; Sud e
Isole: 1,57.
La sopravvivenza in presenza della malattia e' costantemente
aumentata nel tempo, a partire dal 1978, anno dal quale si dispone di
dati. L'incremento in Italia e' stato il piu' forte tra tutti quelli
osservati nei Paesi europei. Le probabilita' di sopravvivenza a 5
anni, nell'ultimo periodo disponibile (pazienti diagnosticati fino al
1994), sono complessivamente del 47% (39% negli uomini e 56% nelle
donne). Nel corso di 5 anni, rispetto alle osservazioni precedenti,
la sopravvivenza e' migliorata del 7% negli uomini e del 6% nelle
donne.
La differenza tra sessi e' dovuta soprattutto alla minore
letalita' dei tumori specifici della popolazione femminile.
Il fumo e le abitudini alimentari scorrette (compreso l'eccessivo
consumo di alcool) sono fattori di rischio riconosciuti, per molte
categorie di tumori, con peso etiologico variabile, e possono
spiegare circa i 2/3 di tutti i casi di tumore. Gli interventi per
contrastare questi fattori, cui sono dedicati specifici capitoli del
presente Piano Sanitario, sono, quindi, di fondamentale importanza.
La diagnosi precoce, che consenta la rimozione del tumore prima
della diffusione nell'organismo di cellule metastatiche, sarebbe in
via di principio, risolutiva almeno per i tumori solidi. Essa avrebbe
inoltre un riscontro quasi immediato nelle statistiche di mortalita'.
In pratica la diagnosi precoce clinica puo' non essere sufficiente a
salvare la vita del paziente, anche se puo' in molti casi allungarne
il tempo di sopravvivenza e migliorarne la qualita' della vita. Deve
essere incentivato e reso disponibile l'approfondimento diagnostico
anche in soggetti con sintomi lievi e con basso potere predittivo,
con particolare attenzione alla popolazione anziana.
Alle persone sane vanno proposti solo esami di screening di
comprovata efficacia nella riduzione del tasso di mortalita' e di
morbilita' dovute al cancro, che allo stato delle attuali conoscenze
sono il Paptest, la mammografia e la ricerca del sangue occulto nelle
feci.
Tra i problemi che affliggono l'erogazione di un'adeguata
assistenza ai cittadini affetti da neoplasia maligna, oltre alla
mancanza di «ospedalizzazione a domicilio», vi e' la scarsita' di
adeguate strutture ospedaliere specializzate nel trattamento del
cancro. Gli aspetti negativi di questa situazione sono essenzialmente
due: 1) la gran variabilita' della casistica clinica non consente ai
tecnici di focalizzare il loro interesse professionale alla diagnosi
e terapia di questa patologia; 2) la necessita' di fronteggiare tutte
le patologie e la limitatezza dei fondi disponibili non consentono a
tutti di acquisire le apparecchiature necessarie per erogare
prestazioni adeguate (basta pensare alle poche Unita' di Radioterapia
presenti sul territorio nazionale).
L'oncologia e' una disciplina che coinvolge molti enti con
diverso interesse principale, perche' non essendo ancora nota la
causa etiologica e' necessaria un'intensa attivita' di ricerca che
comprende la ricerca di base, la ricerca cosiddetta traslazionale e
la ricerca clinica propriamente detta.
Si e' pero' venuta a creare una situazione non bene definita,
perche' questa suddivisione di compiti ha confini molto sfumati
essenzialmente per la mancanza di un accordo formale sulla
suddivisione di compiti tra enti diversi.
Sia a livello nazionale sia a livello europeo sta per iniziare
una discussione su questo problema: l'Unione Europea ha lanciato
un'iniziativa definita «European Cancer Research Iniziative» il cui
scopo essenziale e' di aiutare la Commissione Europea a definire i
contenuti della parte oncologica del VI Programma Quadro. Nel corso
della discussione e' pero' emersa come prioritaria la necessita' di
risolvere i problemi dei pazienti a livello individuale e di salute
pubblica. La proposta formulata dalle Associazioni Oncologiche
europee e' di definire un modello di centro oncologico cui dare tre
obiettivi prioritari:
1) migliorare gli standard di prevenzione, diagnosi e terapia;
2) favorire la parita' tra pazienti e medici;
3) migliorare l'accesso alle strutture di diagnosi e cura in
Europa.
3.2.3. Le cure palliative
In Italia muoiono ogni anno oltre 159.000 persone a causa di una
malattia neoplastica (Istat, 1998) ed il 90% di esse (143.100)
necessita di cure palliative che si realizzano attraverso la
formulazione e l'offerta di un piano personalizzato di cura ed
assistenza in grado di garantire la migliore qualita' di vita residua
possibile durante gli ultimi mesi di vita al paziente stesso e alla
sua famiglia. Tale fase, definita comunemente «fase terminale», e'
caratterizzata per la persona malata da una progressiva perdita di
autonomia, dal manifestarsi di sintomi fisici e psichici spesso di
difficile e complesso trattamento, primo fra tutti il dolore, e da
una sofferenza globale, che coinvolge anche il nucleo familiare e
quello amicale e tale da mettere spesso in crisi la rete delle
relazioni sociali ed economiche del malato e dei suoi cari.
La fase terminale non e' caratteristica esclusiva della malattia
oncologica, ma rappresenta una costante della fase finale di vita di
persone affette da malattie ad andamento evolutivo, spesso cronico, a
carico di numerosi apparati e sistemi, quali quello respiratorio (ad
es. insufficienza respiratoria refrattaria in persone affette da
malattie polmonari croniche), cardio-circolatorio (ad es. persone
affette da miocardiopatie dilatative), neurologico (ad es. malattie
degenerative quali la sclerosi multipla), epatico (ad es. cirrosi) e
di persone colpite da particolari malattie infettive, in primo luogo
l'A.I.D.S.
Le cure palliative si rivolgono ai pazienti colpiti da una
malattia che non risponde piu' a trattamenti specifici e la cui
diretta conseguenza e' la morte. Il controllo del dolore e degli
altri sintomi, l'attenzione agli aspetti psicologici, sociali e
spirituali e', quindi, di fondamentale importanza. Lo scopo delle
cure palliative e' il raggiungimento della migliore qualita' di vita
possibile per i pazienti e le loro famiglie. Alcuni interventi
palliativi sono applicabili anche precocemente nel decorso della
malattia, in aggiunta al trattamento specifico.
La filosofia cui le cure palliative si ispirano, quindi, e' tesa
a produrre azioni finalizzate al miglioramento della qualita' di vita
del paziente.
Esse:
affermano la vita e considerano il morire come un evento
naturale;
non accelerano ne' ritardano la morte;
provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri disturbi;
integrano gli aspetti psicologici e spirituali dell'assistenza;
aiutano i pazienti a vivere in maniera attiva fino alla morte;
sostengono la famiglia durante la malattia e durante il lutto.
La maggior parte delle regioni ha gia' provveduto a definire la
programmazione della rete degli interventi di cure palliative, anche
se con modalita' tra loro in parte differenti: molte hanno elaborato
programmi regionali specifici per le cure palliative ed altre hanno
inserito lo sviluppo delle cure palliative all'interno del piu' vasto
programma di riorganizzazione della rete di interventi domiciliari
sanitari, socio-sanitari ed assistenziali (rete per la cura ed
assistenza domiciliare).
Cio' che emerge e' la necessita' di un modello di intervento di
cure palliative flessibile ed articolabile in base alle scelte
regionali, ma che, garantisca in tutto il Paese la risposta ottimale
ai bisogni della popolazione, sia a quelli dei malati sia a quelli
delle famiglie.
La necessita' di offrire livelli assistenziali a complessita'
differenziata, adeguati alle necessita' del malato, mutevoli anche in
modo rapido ed imprevedibile, rende necessario programmare un sistema
a rete che offra la maggior possibilita' di integrazione tra
differenti modelli e livelli di intervento e tra i differenti e
numerosi soggetti professionali coinvolti.
La rete deve essere composta da un sistema di offerta nel quale
la persona malata e la sua famiglia, ove presente, possano essere
guidati e coadiuvati nel percorso assistenziale tra il proprio
domicilio, sede di intervento privilegiata ed in genere preferita dal
malato e dal nucleo familiare, e le strutture di degenza,
specificamente dedicate al ricovero/soggiorno dei malati non
assistibili presso la loro abitazione. La rete sanitaria e
socio-sanitaria deve essere strettamente integrata con quella
socio-assistenziale, al fine di offrire un approccio completo alle
esigenze della persona malata.
Ai fini di promuovere la diffusione delle cure palliative e'
necessario quindi:
rivedere alcuni aspetti normativi riguardo all'uso di farmaci
antidolorifici, migliorando la disponibilita' degli oppiacei,
semplificando la prescrizione medica, prolungando il ciclo di terapia
e rendendone possibile l'uso anche a casa del paziente;
individuare precise Linee Guida in materia di terapia antalgica
per prevenire gli abusi ed orientare il medico nella prescrizione;
implementare la rete assistenziale;
attivare un sistema di valutazione;
realizzare programmi di comunicazione e sensibilizzazione della
popolazione;
sostenere specifici programmi di ricerca;
promuovere l'integrazione nella rete di cure palliative delle
Organizzazioni no-profit operanti in questo settore, attraverso la
valorizzazione delle Associazioni di Volontariato.
3.2.4. Il diabete e le malattie metaboliche
Le malattie metaboliche, in progressivo aumento anche in rapporto
con l'innalzamento della vita media della popolazione, rappresentano
una causa primaria di morbilita' e mortalita' nel nostro Paese.
Il diabete di tipo 1, dipendente da carenza primaria di insulina,
necessita di trattamento specifico insulinico sostitutivo, ma la
gravita' della prognosi e' strettamente legata ad una corretta
gestione, da parte degli stessi pazienti, dello stile di vita in
generale e di quello alimentare in particolare.
Pertanto e' opportuno attivare:
programmi di prevenzione primaria e secondaria, in particolare
per il diabete mellito in eta' evolutiva, con l'obiettivo di ridurre
i tassi di ospedalizzazione ed i tassi di menomazione permanente
(cecita', amputazioni degli arti);
strategie per migliorare la qualita' di vita dei pazienti,
attraverso programmi di educazione ed informazione sanitaria.
L'incidenza del diabete di tipo 2 (non dovuto alla carenza di
insulina, cosiddetto dell'adulto) e' in aumento in tutto il mondo,
sia in quello occidentale che nei Paesi in via di sviluppo, anche
perche' la diagnosi viene posta in fase piu' precoce rispetto al
passato.
L'incremento epidemico dei casi di obesita', d'altra parte,
rappresenta di per se' un'importante fattore di rischio per la
comparsa clinica della malattia diabetica.
Vi e' oggi convincente evidenza che il counselling individuale
finalizzato a ridurre il peso corporeo, a migliorare le scelte
alimentari (riducendo il contenuto di grassi totali e di grassi
saturi e aumentando il contenuto in fibre della dieta) e ad aumentare
l'attivita' fisica, riduce il rischio di progressione verso il
diabete del 58% in 4 anni.
Le complicanze del diabete sono prevalentemente a carico
dell'apparato cardiocircolatorio e possono essere decisamente
penalizzanti per la qualita' e la durata della vita. In massima parte
possono essere prevenute dalla diagnosi precoce, dal miglioramento
del trattamento specifico e da programmi di educazione sanitaria
orientati all'autogestione della malattia. In particolare, la
riduzione ed il controllo del peso corporeo, oltre a ridurre il
rischio di comparsa clinica del diabete, contribuisce anche a ridurre
il rischio delle sue complicanze, specie quelle di eventi
cardiovascolari.
L'OMS ha posto come obiettivo per l'anno 2020 la riduzione di un
terzo dell'incidenza delle complicanze legate al diabete.
Due milioni di italiani hanno dichiarato di soffrire di diabete
secondo l'indagine multiscopo ISTAT con notevoli differenze
geografiche di prevalenza autopercepita e questo dato e' coerente con
la rilevazione della rete di osservatori cardiovascolari relativa
alla distribuzione della glicemia ed alla proporzione di diabetici.
E' pero' assai probabile che il numero di italiani diabetici, senza
sapere di esserlo, sia altrettanto alto.
Una strategia di educazione comportamentale, di prevenzione
globale delle patologie metaboliche e di conseguenza della morbilita'
e mortalita' da danno vascolare e cardiaco, non puo' prescindere
dall'affrontare il problema del sovrappeso e dell'obesita'.
L'obesita' e' la seconda causa di morte prevenibile, dopo il
fumo. Nel mondo industrializzato, circa meta' della popolazione e' in
eccesso di peso. In Italia negli ultimi dieci anni la prevalenza
dell'obesita' e' aumentata del 50% e questo e' piu' evidente nei
soggetti in eta' pediatrica, soprattutto nelle classi
socio-economiche piu' basse. I costi socio-sanitari dell'obesita'
hanno superato, negli Stati Uniti, i 100 miliardi di dollari l'anno,
mentre per l'Italia, i costi diretti dell'obesita' sono stimati in
circa 23 miliardi di euro l'anno. La maggior parte di tali costi
(piu' del 60 %), e' dovuta a ricoveri ospedalieri, ad indicare quanto
il sovrappeso e l'obesita' siano i reali responsabili di una serie di
gravi patologie cardiovascolari, metaboliche, osteoarticolari,
tumorali e respiratorie che comportano una ridotta aspettativa di
vita ed un notevole aggravio per il Sistema Sanitario Nazionale.
3.2.5 I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA)
I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) in particolare
l'anoressia nervosa e la bulimia nervosa, sono malattie mentali che
comportano gravi danni somatici, con un rischio di morte dodici volte
maggiore di quello dei soggetti normali della stessa eta': essi
rappresentano un problema socio-sanitario molto importante per tutti
i Paesi sviluppati, e quindi anche per l'Italia. A livello
internazionale, gli studi di prevalenza, condotti su donne fra i 12 e
25 anni, hanno indicato valori compresi tra 0.2 e 0.8% per
l'anoressia nervosa e tra 0.5 e 1.5% per la bulimia nervosa.
L'incidenza dell'anoressia nervosa negli ultimi anni risulta
stabilizzata su valori di 4-8 nuovi casi annui per 100.000 abitanti,
mentre quella della bulimia nervosa risulta in aumento, ed e'
valutata in 9-12 nuovi casi/anno. La maggior parte degli studi e'
stata effettuata in paesi anglosassoni e in Italia sono stati
rilevati dati sovrapponibili.
Per quanto attiene all'obesita' e' oramai dimostrato che nel suo
trattamento l'intervento di ordine psico-comportamentale e'
fondamentale nel determinare il successo terapeutico, anche se deve
essere ribadito che si tratta di una condizione definita su base
morfologica ma non ancora adeguatamente inquadrata su base
psicopatologica.
Lo studio e la cura della obesita' e piu' in generale della
Sindrome Metabolica, si intrecciano profondamente e indissolubilmente
con lo studio e la cura del comportamento alimentare e dei suoi
disturbi (anoressia nervosa, bulimia nervosa, binge eating disorder,
night eating syndrome, etc.) per quanto suddetto e per almeno tre
altri motivi:
per tutte queste patologie nessuna cura e' efficace se non
implica un cambiamento profondo del comportamento alimentare e dello
stile di vita;
cure inadeguate dell'obesita' sono corresponsabili del grande
aumento dei disordini alimentari nel mondo contemporaneo;
come la cura dell'obesita', anche quella dei DCA e'
multidisciplinare e impone la collaborazione tra internisti,
nutrizionisti, psichiatri e psicologi.
Sia per l'obesita' che per i disturbi del comportamento
alimentare si segnalano la gravissima insufficienza delle strutture
sanitarie, l'inadeguatezza della formazione attuale di base e la
necessita' di un approccio multidimensionale.
La lotta all'obesita' ed ai DCA mira a diminuire il numero di
persone che si ammalano di questi stati morbosi e ad aumentare, in
coloro che ne sono affetti, la probabilita' di migliorare o di
sopravvivere in condizioni soddisfacenti. Le strategie si possono
articolare in aree che hanno caratteristiche e tempi di realizzazione
differenti: prevenzione primaria, prevenzione secondaria, assistenza,
formazione, ricerca. Queste azioni potranno beneficiare delle
informazioni ottenute attraverso gli strumenti epidemiologici, il cui
obiettivo prioritario e' quello di:
controllare prevalenza e incidenza della SM, dell'obesita' e
dei DCA con lo scopo di identificare i casi secondo le categorie
previste dall'OMS e valutare il numero di nuovi malati in relazione
alla popolazione residente;
individuare i soggetti ad alto rischio per indirizzare con
maggiore precisione le politiche di intervento;
valutare l'efficacia degli interventi mediante controlli a
distanza di tempo.
3.2.6. Le malattie respiratorie e allergiche
Le malattie polmonari croniche ostruttive hanno un grave impatto
sulla qualita' della vita, sulla disabilita', sui costi per
l'assistenza sanitaria, nonche' sull'assenteismo dal lavoro in molti
Paesi europei ed anche in Italia, anche se rispetto ad altri Paesi
europei, l'Italia mostra un tasso di mortalita' al di sotto della
media dell'Unione Europea. In Italia, inoltre, il tasso di mortalita'
per malattie croniche respiratorie, quasi interamente attribuibile a
bronchite cronica ed enfisema polmonare, mostra una tendenza alla
diminuzione, che dovrebbe essere ulteriormente rafforzata attraverso
l'intensificazione della prevenzione alle esposizioni ambientali e
occupazionali ed il miglioramento dei trattamenti terapeutici.
La presenza di rinite allergica stagionale e perenne e' invece in
costante aumento da tempo e cosi' pure l'asma allergica. I fattori
principali alla base dell'aumento della prevalenza delle malattie
allergiche sono l'inquinamento intramurale causato da acari della
polvere, pelo di gatto e miceti; il fumo di tabacco; l'inquinamento
atmosferico causato da ozono, materiale particolato, NO2 e SO2; le
abitudini alimentari; gli stili di vita (sempre piu' tempo trascorso
in ambienti chiusi); le condizioni igieniche nonche' l'introduzione
di nuove sostanze nei prodotti e nell'ambiente.
Fra le altre malattie allergiche, l'incidenza cumulativa di
dermatite atopica prima dei 7 anni di eta' e' aumentata in modo
esponenziale e si stima che essa sia pari all'1% circa nella
popolazione generale. Molto diffusa e' anche la dermatite allergica
da contatto che si stima interessi circa l'1% della popolazione; il
nickel e' considerato il principale responsabile della
sensibilizzazione da contatto.
La diffusione dell'asma bronchiale e' un problema di sanita'
pubblica rilevante (l'asma e' malattia sociale riconosciuta dal
1999), perche' e' la malattia cronica piu' frequente tra i bambini,
per i quali rappresenta anche una causa importante di mortalita',
nonostante i miglioramenti terapeutici.
L'asma richiede un approccio multidisciplinare, che comprende la
diagnosi accurata, l'educazione dei pazienti, modifiche del
comportamento, l'individuazione e la rimozione delle condizioni
scatenanti l'attacco di asma, una appropriata terapia, e frequenti
controlli medici.
Si rende necessario migliorare, tramite sistemi di sorveglianza
mirati, la conoscenza della epidemiologia dell'asma e delle patologie
allergiche e del ruolo etiologico di fattori genetici, personali ed
ambientali, nonche' dell'efficacia dei metodi per la riduzione
dell'esposizione agli allergeni nell'ambiente e negli alimenti e la
valutazione dell'impatto di tali metodi sulla salute. E' necessario
inoltre promuovere campagne di educazione e formazione per il
personale sanitario, per i pazienti e le loro famiglie.
3.2.7. Le malattie reumatiche ed osteoarticolari
Le malattie reumatiche comprendono un variegato numero di
patologie, caratterizzate da una progressiva compromissione della
qualita' della vita delle persone affette per la perdita di
autonomia, per i disturbi ed i disagi lamentati ed a causa della
mancanza di significative aspettative di miglioramento o guarigione.
Tali patologie rappresentano la piu' frequente causa di assenze
lavorative e la causa del 27% circa delle pensioni di invalidita'
attualmente erogate in Italia. Il numero delle persone affette e'
stimato in circa 6 milioni, pari al 10% della popolazione generale.
La caratteristica cronicita' di queste malattie, la mancanza di
terapie che portino a favorevoli risoluzioni dei quadri clinici per
alcune forme gravi, la disabilita' provocata, con progressiva
diminuzione della funzionalita', specie a carico degli arti e
dell'apparato locomotorio e la conseguente diminuzione della
capacita' lavorativa e del grado di autonomia delle persone affette,
nonche' l'elevato numero degli individui colpiti, rappresentano ad
oggi i maggiori punti di criticita'.
Le azioni prioritarie riguardano l'estensione della diagnosi
precoce della malattia ed il miglioramento della prestazione di
fisioterapia e riabilitazione. E', inoltre, necessario ridurre
l'impatto dei fattori di rischio associati a queste patologie e
sviluppare nuovi medicinali per il trattamento. Anche l'efficace
prevenzione dell'osteoporosi rappresenta un obiettivo prioritario.
L'osteoporosi e' una patologia del metabolismo osseo di
prevalenza e incidenza in costante incremento che rappresenta un
rilevante problema sanitario. La malattia coinvolge un terzo delle
donne tra i 60 e i 70 anni e due terzi delle donne dopo gli 80 anni,
e si stima che il rischio di avere una frattura da osteoporosi sia
nella vita della donna del 40% contro un 15% nell'uomo.
Particolarmente temibile e' la frattura femorale per l'elevata
mortalita' (dal 15 al 30%) e per le invalidanti complicanze croniche
ad essa associate. I piu' noti e importanti fattori di rischio per
l'osteoporosi sono la presenza di fratture patologiche nel
gentilizio, la presenza anamnestica di fratture da traumi di lieve
entita', la menopausa precoce per le donne, l'amenorrea prolungata,
il fumo, l'abuso di alcolici, la magrezza, l'uso di corticosteroidi,
il malassorbimento intestinale, alcune patologie endocrine. Nessuna
terapia consente di recuperare la massa ossea persa, ma solo di
bloccarne la progressione riducendo il rischio di fratture.
Fondamentale quindi e' la prevenzione, con misure volte a migliorare
lo stile di vita alimentare e fisico nei soggetti giovani e anziani.
3.2.8. Le malattie rare
Le malattie rare costituiscono un complesso di oltre 5000
patologie, spesso fatali o croniche invalidanti, che rappresentano il
10% delle patologie che affliggono l'umanita'. Malattie considerate
rare nei Paesi occidentali sono, a volte, molto diffuse nei Paesi in
via di sviluppo. Nel programma di azione per la lotta alle malattie
rare, la Commissione Europea ha definito rare quelle patologie la cui
incidenza non e' superiore a 5 su 10.000 abitanti. L'80% delle
malattie rare, circa 4000, e' di origine genetica, mentre il restante
20% sono acquisite, ma non per questo meno gravi e invalidanti.
Per la loro rarita', queste malattie sono difficili da
diagnosticare e, spesso, sono pochi i Centri specializzati nella
diagnosi e nella cura; per molte di esse, inoltre, non esistono
ancora terapie efficaci. La scarsa incidenza delle patologie rare e
la frammentazione dei pazienti affetti da tali patologie in diversi
Centri sono un ostacolo alle innovazioni terapeutiche possibili
attraverso studi clinici controllati. Inoltre, le industrie
farmaceutiche, a causa del mercato limitato, hanno scarso interesse a
sviluppare la ricerca e la produzione dei cosiddetti farmaci orfani,
potenzialmente utili per tali patologie.
Le malattie rare, essendo croniche e invalidanti, rappresentano
un importante problema sociale. La loro scarsa conoscenza comporta,
per coloro che ne sono affetti e per i loro familiari, notevoli
difficolta' nell'individuare i Centri specializzati nella diagnosi e
nella cura, e, quindi, accedere a eventuali trattamenti, peraltro
scarsamente disponibili.
Cio' rende indispensabile un intervento pubblico coordinato al
fine di ottimizzare le risorse disponibili.
A livello della Unione Europea le malattie rare sono state
oggetto di attenzione con l'approvazione della Decisione N.
1295/1999/CE del 29 aprile 1999 il cui programma d'azione prevede:
il miglioramento delle conoscenze sulle malattie rare,
incentivando la creazione di una rete europea d'informazione per i
pazienti e le loro famiglie;
la formazione e l'aggiornamento degli operatori sanitari, al
fine di migliorare la diagnosi precoce;
il rafforzamento della collaborazione internazionale tra le
organizzazioni di volontariato e professionali impegnati
nell'assistenza;
il sostegno del monitoraggio delle malattie rare negli Stati
membri.
Rispetto a tali problematiche, il Decreto Ministeriale 18 maggio
2001, n. 279, emanato in attuazione dell'art. 5, comma 1, lettera b)
del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, prevede:
l'istituzione di una rete nazionale dedicata alle malattie
rare, mediante la quale sviluppare azioni di prevenzione, attivare la
sorveglianza, migliorare gli interventi volti alla diagnosi e alla
terapia, promuovere l'informazione e la formazione, ridurre l'onere
che grava sui malati e sulle famiglie. La rete e' costituita da
presidi accreditati, appositamente individuati dalle Regioni per
erogare prestazioni diagnostiche e terapeutiche;
l'ottimizzazione del Registro delle Malattie Rare, istituito
presso l'Istituto Superiore di Sanita', per poter avere a livello
nazionale dati sulla prevalenza, incidenza e fattori di rischio delle
diverse malattie rare;
la definizione di 47 gruppi di malattie comprendenti 284
patologie (congenite e acquisite) ai fini dell'esenzione dalla
partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie correlate;
la promozione di protocolli diagnostici e terapeutici comuni,
lo sviluppo delle attivita' di ricerca tese al miglioramento delle
conoscenze e la realizzazione di programmi di prevenzione.
Infine l'accordo Stato-Regioni siglato in data 11 luglio 2002
promuove l'istituzione di un gruppo tecnico interregionale permanente
cui partecipano il Ministero della salute e l'Istituto Superiore di
Sanita' per il coordinamento ed il monitoraggio delle attivita'
assistenziali per le malattie rare, al fine di ottimizzare il
funzionamento delle reti regionali e salvaguardare il principio di
equita' dell'assistenza per tutti i cittadini.
3.2.9. Le malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione
Ottimi risultati si sono registrati recentemente in Italia in
termini di controllo di alcune malattie prevenibili con le
vaccinazioni. La difterite e' stata eliminata e il nostro Paese ha da
poco ricevuto la certificazione ufficiale di eradicazione della
poliomielite. Il tetano colpisce quasi esclusivamente persone anziane
non vaccinate. L'epatite B e' in continuo declino, in modo
particolare nelle classi di eta' piu' giovani, interessate fin dal
1991 dalla vaccinazione universale.
Non mancano, tuttavia, in Italia numerose malattie per le quali
e' necessario un controllo piu' efficace attraverso le vaccinazioni.
La vaccinazione contro il morbillo (incidenza nel 1999 pari a 5,05
casi su 100.000) e' raccomandata, ma il livello stimato di copertura
di immunizzazione e' ancora il piu' basso tra i Paesi dell'Europa
occidentale (56% nel 1998), con profonde differenze tra aree diverse
del Paese. La rosolia e' ancora frequente (incidenza di 5,76 per
100.000 nel 1998) e nel 1999 sono stati denunciati in Italia piu' di
40.400 casi di parotite (tasso di incidenza: 70,2 per 100.000),
nonostante l'esistenza del vaccino combinato per parotite, morbillo e
rosolia (vaccino MMR), il cui uso e' pero' volontario, sebbene
raccomandato.
L'incidenza della pertosse e' ancora elevata (circa 7 per 100.000
abitanti nel 1999, anno in cui sono stati notificati 3.797 casi); la
vaccinazione e' volontaria ma il livello stimato di copertura
vaccinale e' stato piuttosto alto nel 1998 (87,9%, con un intervallo
tra 70,5% e 97,6%) nei bambini di 24 mesi di eta'.
Per quanto l'incidenza di epatite B stia lentamente diminuendo in
Italia (nel 1999 essa e' stata del 2,74 per 100.000), il livello
permane ancora fra i piu' elevati dell'Europa occidentale; la
vaccinazione contro l'epatite B e' obbligatoria in Italia per i
bambini fin dal 1991 e la stima della copertura, osservata nel 1998,
e' stata a livello nazionale del 90%, con solo tre Regioni con
copertura inferiore al 90%.
La vaccinazione contro l'Haemophilus influenzae di tipo B puo'
anche prevenire forme invasive della malattia quali meningiti e
polmoniti. La vaccinazione in Italia e' volontaria ed il livello di
copertura vaccinale e' molto basso e non uniformemente distribuito
nelle diverse Regioni.
L'influenza rappresenta ancora, in Italia, un'importante causa di
morte per patologia infettiva, e nel corso di epidemie estese il
tasso d'attacco dell'infezione puo' variare dal 5% al 30%, con
conseguenti importanti ripercussioni negative sull'attivita'
lavorativa e sulla funzionalita' dei servizi di pubblica utilita', in
primo luogo di quelli sanitari. La copertura vaccinale negli anziani
di eta' pari o superiore a 64 anni non ha superato nel periodo
1999-2000 il 41% circa a livello nazionale.
La recente disponibilita' di efficaci vaccini contro la varicella
e contro le infezioni invasive da pneumococco, consente l'avvio di
iniziative mirate di prevenzione vaccinale orientate alla riduzione
dell'incidenza di queste importanti patologie.
Occorre procedere con decisione nella direzione della attuazione
degli obiettivi adottati dall'OMS per questo gruppo di malattie:
entro il 2007 il morbillo dovrebbe essere eliminato ed entro il
2010 tale eliminazione deve essere certificata in ogni Paese;
entro l'anno 2010 tutti i Paesi dovrebbero avere un'incidenza
inferiore ad 1 per 100.000 abitanti per parotite, pertosse e malattie
invasive causate da Haemophilus influenzae di tipo B.
Essendo disponibili per queste malattie vaccini efficaci, questi
risultati possono essere conseguiti attraverso una serie di
iniziative che consentano il raggiungimento di appropriate coperture
vaccinali. In tale quadro e' anche importante:
individuare ed effettuare indagini rapide riguardanti gli
eventi epidemici;
sorvegliare la frequenza di eventi avversi associabili a
vaccinazione;
sorvegliare le infezioni nosocomiali e quelle a trasmissione
iatrogena;
controllare le patologie infettive acquisite in occasioni di
viaggi;
diffondere le informazioni sulla frequenza e prevenzione delle
malattie infettive;
partecipare efficacemente al sistema di sorveglianza
epidemiologico per il controllo delle malattie infettive dell'Unione
Europea;
combattere il crescente problema della resistenza acquisita
alla maggior parte degli antibiotici disponibili da parte di
microrganismi patogeni, soprattutto batteri, con gravi implicazioni
sul trattamento delle malattie infettive. Apposite Linee Guida sono
state adottate dal Consiglio dell'Unione Europea nel 2000 e 2001
sull'uso prudente degli antibiotici nella medicina umana e in altri
settori per minimizzare gli inconvenienti derivanti da questa
situazione.
Appare nel prossimo futuro la possibilita' di realizzare diversi
nuovi vaccini tra i quali due in particolare di grande rilevanza:
1) vaccini anti-HIV. L'Istituto Superiore di Sanita' (ISS) ha
recentemente sviluppato e brevettato un nuovo vaccino sia di tipo
preventivo che terapeutico. Tale vaccino basato sull'uso della
proteina regolatoria TAT o del suo DNA ha dato lusinghieri risultati
di protezione nelle scimmie. In base a questi risultati l'ISS insieme
ad altri Centri clinici nazionali iniziera' in primavera i trials
clinici di fase I. Un secondo vaccino basato sull'uso di componenti
strutturali (Env, Gag) del virus e' stato sviluppato e brevettato
dalla Chiron con risultati anche essi promettenti, la cui
sperimentazione clinica di fase I iniziera' entro l'anno.
Recentemente l'ISS e la Chiron hanno realizzato un accordo per lo
sviluppo di un vaccino combinato, che contenendo le tre componenti
(TAT, Env, Gag) e' destinato potenzialmente ad avere una maggiore
efficacia rispetto ai singoli componenti;
2) vaccino anti-HPV. Si tratta di un vaccino terapeutico contro
il carcinoma della cervice uterina brevettato negli Stati Uniti che
inizia prossimamente il suo cammino sperimentale nella donna. Anche
per questo vaccino l'Istituto Superiore di Sanita' sta realizzando
rapporti di partenariato con i produttori.
3.2.10. La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e le
malattie a trasmissione sessuale
In Italia, il numero cumulativo di casi di AIDS segnalati
dall'inizio dell'epidemia ha raggiunto quota 50.000, ma a partire da
meta' del 1996 si e' osservato un decremento nel numero di nuovi
casi, dovuto in parte all'effetto delle terapie anti-retrovirali ed
in misura minore agli effetti della prevenzione. I sistemi di
sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da HIV, attivi in
alcune Regioni italiane, suggeriscono che l'incidenza di nuove
infezioni si e' stabilizzata negli ultimi anni e a differenza di
quanto accadeva tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90
non tende piu' alla diminuzione.
Le altre malattie a trasmissione sessuale piu' frequentemente
diagnosticate in Italia sono i condilomi acuminati, le infezioni
genitali non specifiche (uretriti batteriche non gonococciche ne'
causate da Clamidia), la sifilide latente e l'Herpes genitale. Altre
classiche malattie veneree, come gonorrea e sifilide primaria o
secondaria, sono rispettivamente al settimo e nono posto per
frequenza.
Secondo l'obiettivo definito dall'OMS nel 1999, ciascuno Stato
dovrebbe attuare, entro l'anno 2015, una riduzione dell'incidenza
della mortalita' e delle conseguenze negative dell'infezione da HIV e
delle altre malattie a trasmissione sessuale.
A tal fine, le azioni prioritarie da attuare sono:
il miglioramento della sorveglianza e del monitoraggio
dell'infezione da HIV;
il contrasto della trasmissione dell'HIV e degli altri agenti
infettivi;
il miglioramento della qualita' della vita delle persone
infette da HIV;
la riduzione di comportamenti sessuali a rischio e la
promozione di campagne di promozione della salute specialmente nella
popolazione giovanile;
lo sviluppo del vaccino con interventi a favore della ricerca
che prevedano il co-finanziamento pubblico-privato;
il reinserimento sociale dei pazienti con infezione da HIV.
L'inserimento sociale delle persone affette da AIDS trattate
precocemente e la cui attesa di vita e' molto prolungata, e' un
problema che dovremo affrontare con maggior energia nel prossimo
futuro.
Queste persone infatti costruiscono ora un progetto di vita, in
quanto la loro sopravvivenza viene assicurata dai farmaci per molti
anni. Il progetto di vita comprende il completo reinserimento nel
mondo del lavoro e della societa' in genere. Per queste persone e'
quindi necessario sviluppare programmi di accompagnamento su questo
percorso con adeguati sostegni e misure utili allo scopo.
3.3. Ridurre gli incidenti e le invalidita'
Le cause esterne di morte e disabilita', che includono gli
incidenti nell'ambiente sociale e sul lavoro, i disastri naturali e
quelli provocati dall'uomo, gli avvelenamenti, gli incidenti durante
le cure mediche e la violenza, costituiscono, particolarmente
nell'eta' adulta, un'importante causa di morte.
I dati relativi agli incidenti stradali, indicano un incremento a
partire dalla fine degli anni '80, soprattutto nel Nord dell'Italia,
con un quadro che comporta circa 8.000 morti, 170.000 ricoveri,
600.000 prestazioni di pronto soccorso ogni anno, cui fanno riscontro
circa 20.000 invalidi permanenti. Il fenomeno costituisce ancora la
prima causa di morte per i maschi sotto i 40 anni e una delle cause
maggiori di invalidita' (piu' della meta' dei traumi cranici e
spinali sono attribuibili a questi eventi).
Gli incidenti stradali sono pertanto un'emergenza sanitaria che
va affrontata in modo radicale al fine di rovesciare l'attuale
tendenza e pervenire, secondo l'obiettivo fissato dall'OMS per l'anno
2020, ad una riduzione almeno del 50% della mortalita' e disabilita'.
Gli interventi principali di prevenzione riguardano:
la utilizzazione del casco da parte degli utenti di veicoli a
motore a due ruote;
gli standard di sicurezza dei veicoli;
l'uso corretto dei dispositivi di sicurezza (cinture e
seggiolini);
le migliori condizioni di viabilita' (segnaletica stradale,
illuminazione, condizioni di percorribilita) nelle zone ad alto
rischio di incidenti stradali;
la promozione della guida sicura mediante campagne mirate al
rispetto dei limiti di velocita' e della segnaletica stradale nonche'
alla riduzione della guida sotto l'influsso dell'alcool;
il potenziamento del trasporto pubblico.
Anche il fenomeno degli incidenti domestici e del tempo libero
mostra un andamento in continua crescita, con un numero di casi di
circa 4.000.000 per anno, che coinvolgono soprattutto
ultrasessantacinquenni e donne. Si stima che circa la meta' di questi
incidenti avvenga in casa o nelle pertinenze (incidenti domestici).
Gli incidenti domestici rappresentano dunque un fenomeno di grande
rilevanza nell'ambito dei temi legati alla prevenzione degli eventi
evitabili e particolare attenzione deve essere dedicata agli
incidenti che coinvolgono gli anziani, soprattutto
istituzionalizzati. Per quanto riguarda l'obiettivo di ridurre in
modo significativo la mortalita' e la disabilita' da incidenti
domestici, gli aspetti prioritari sono quelli connessi
all'informazione e comunicazione nonche' alla:
incentivazione delle misure di sicurezza domestica strutturale
ed impiantistica e dei requisiti di sicurezza dei complementi di
arredo;
predisposizione di programmi intersettoriali volti a favorire
l'adattamento degli spazi domestici alle condizioni di disabilita' e
di ridotta funzionalita' dei soggetti a rischio;
costruzione di un sistema di sorveglianza epidemiologica del
fenomeno infortunistico e individuazione di criteri di misura degli
infortuni domestici.
Per gli incidenti negli ambienti esterni, durante il tempo
libero, gli uomini sono piu' a rischio delle donne, anche per il
maggiore consumo di alcool. Le piscine, i laghi ed altri bacini
d'acqua dolce contribuiscono in modo significativo alle statistiche
sugli annegamenti, specialmente nei bambini, con 500-600 morti
all'anno.
3.4. Sviluppare la riabilitazione
La domanda di riabilitazione negli ultimi anni ha registrato un
incremento in parte imputabile all'aumento dei gravi traumatismi
accidentali e ai progressi della medicina che consentono la
sopravvivenza a pazienti un tempo destinati all'exitus. In questo
contesto particolare rilevanza assumono le lesioni del midollo
spinale e i gravi traumi cranioencefalici per le conseguenze
altamente invalidanti che possono comportare. Dati recenti indicano
l'incidenza delle mielolesioni pari a circa 1500 nuovi casi l'anno,
di cui il 67% imputabile ad eventi traumatici. L'incidenza dei gravi
traumatismi cranioencefalici, e' di circa 4.500 nuovi casi l'anno su
tutto il territorio nazionale. Di questi la mortalita' in fase acuta
incide per il 34%, il 40% dei pazienti presenta esiti invalidanti
modesti, il 25% e' affetto da danni o complicanze di gravita' tale da
richiedere il ricovero in strutture di terapia intensiva e
neuroriabilitazione e l'1% (45 casi per anno) permane in stato
vegetativo dopo 12 mesi dall'evento.
La riabilitazione del soggetto gravemente traumatizzato deve
essere garantita con tempestivita' gia' durante le fasi di ricovero
nelle strutture di emergenza. Non appena cessino le condizioni che
richiedono un ricovero nell'area della terapia intensiva, deve essere
garantita l'immediata presa in carico del paziente da parte delle
Unita' Operative di alta specialita' riabilitativa per assicurare la
continuita' del processo terapeutico assistenziale.
Quale che sia la natura dell'evento lesivo che causa la
necessita' di interventi di riabilitazione, gli obiettivi da
perseguire sono la garanzia dell'unitarieta' dell'intervento mediante
un approccio multidisciplinare e la predisposizione ed attuazione di
un progetto riabilitativo personalizzato, al fine di consentire al
paziente il livello massimo di autonomia fisica, psichica e
sensoriale. Cio' implica l'attivazione di un percorso in cui si
articolano competenze professionali diverse, funzionamento in rete
dei servizi e strutture a diversi livelli e con diverse modalita' di
offerta (ospedaliera, extrospedaliera, residenziale, semiresidenziale
e domiciliare) e di integrazione tra aspetti sanitari e sociali.
3.5. Migliorare la medicina trasfusionale
Le attivita' di medicina trasfusionale sono parte integrante dei
livelli essenziali di assistenza garantiti dal Servizio Sanitario
Nazionale e si fondano sulla donazione volontaria, e non remunerata,
del sangue e dei suoi componenti.
Considerando che gli attuali sistemi di coordinamento a livello
regionale e nazionale sono riusciti solo in parte a raggiungere gli
obiettivi previsti dai precedenti Piani Sanitari e dai Piani Sangue,
si pone l'urgenza di riformare la legge 4 maggio 1990, n. 107, anche
alla luce dei cambiamenti conseguenti all'organizzazione federalista
dello Stato. La nuova legge dovra' razionalizzare il sistema a
livello regionale, indicando i rispettivi ruoli del Ministero della
Salute, delle Regioni, dei Centri Regionali di Coordinamento e
Compensazione e del Centro Nazionale Trasfusione Sangue da istituirsi
presso l'Istituto Superiore di Sanita'.
L'introduzione di nuovi test sierologici ed in particolare delle
tecniche di biologia molecolare ha ridotto il rischio di trasmissione
dei virus dell'epatite o dell'AIDS mediante la trasfusione del sangue
e dei suoi prodotti a livelli molto bassi, inferiori al rischio di
infezione associato ad altre manovre invasive ospedaliere. Malgrado
questo notevole incremento della sicurezza della trasfusione, per
realizzare il quale sono necessarie ingenti risorse economiche, molto
resta ancora da fare per assicurare l'appropriatezza della richiesta
e della trasfusione. Per diffondere la cultura del buon uso del
sangue sono state emanate Linee Guida ed istituiti in tutto il Paese
Comitati ospedalieri per il buon uso del sangue, ma il risultato e'
stato molto modesto: tra le cause di questo insuccesso vi e' da un
lato la scarsa attenzione dei clinici per le problematiche della
donazione e trasfusione di sangue, dall'altro l'inquadramento del
servizio trasfusionale in un'area quasi esclusivamente di
laboratorio. Gli obiettivi primari dell'autosufficienza regionale e
nazionale, i piu' elevati livelli di sicurezza uniformi su tutto il
territorio nazionale e la definizione dei Livelli Essenziali di
Assistenza trasfusionale possono essere ottenuti attraverso un nuovo
modello di sistema trasfusionale, con criteri di funzionamento e di
finanziamento definiti sulla base:
delle attivita' di produzione, comprendenti la selezione ed i
controlli periodici del donatore, la raccolta, la lavorazione, la
validazione, la conservazione ed il trasporto del sangue e degli
emocomponenti, comprese le cellule staminali da sangue periferico e
placentare (sangue da cordone ombelicale), nonche' la raccolta di
plasma da destinare alla preparazione degli emoderivati;
attivita' di servizio, quali l'assegnazione e la distribuzione
del sangue e dei suoi prodotti, anche per l'urgenza.
Con l'intervento insostituibile delle Associazioni di Donatori
Volontari di Sangue, e delle relative Federazioni, va incrementato in
tutto il territorio nazionale il numero dei donatori volontari
periodici e non remunerati per eliminare le carenze di sangue ancora
esistenti in alcune Regioni.
Per i prossimi anni occorre perseguire i seguenti obiettivi:
raggiungere l'autosufficienza regionale e nazionale del sangue
e dei suoi prodotti;
conseguire piu' elevati livelli di sicurezza nell'ambito di
tutto il processo finalizzato alla trasfusione;
assicurare al sistema trasfusionale un sistema di garanzia di
qualita' e sviluppare l'emovigilanza, articolata a livello locale,
regionale e nazionale;
stipulare fra le Regioni e le Aziende ubicate sul territorio
dell'Unione Europea convenzioni per la produzione di emoderivati
(specialita' medicinali) nel rispetto delle norme per le gare ad
evidenza pubblica.
3.6. Promuovere i trapianti di organo
Per quanto riguarda i trapianti di organo, e' noto che i vantaggi
prevalgono sulle complicanze (rigetto, infezioni e loro conseguenze)
con una sopravvivenza a cinque anni compresa tra il 70% e l'80%,
secondo l'organo trapiantato. E', comunque, necessario continuare a
perseguire il reperimento degli organi in tutte le Regioni. Nel
nostro Paese, tuttavia, i livelli di attivita' sono disomogenei tra
le diverse Regioni, sia in termini di donazioni sia in termini di
trapianti, e cio' non contribuisce certamente a garantire quella
parita' di accesso alle cure cui i pazienti hanno diritto.
Nel corso dell'ultimo triennio l'incremento complessivo del
numero di donazioni e della qualita' dei trapianti in Italia ha
portato il nostro Paese al livello delle principali Nazioni europee,
e il numero dei donatori di organo e' aumentato del 42,3%, con un
incremento complessivo del 27,4% del numero dei trapianti.
Sono obiettivi strategici in questo campo:
promuovere la valutazione di qualita' dell'attivita' di
trapianto di organi, tessuti e cellule staminali;
favorire la migliore utilizzazione degli organi disponibili,
attraverso la diffusione di tecniche avanzate, addestrando gli
operatori e favorendo lo svolgimento di queste attivita' in Centri di
Eccellenza;
predisporre un Piano nazionale per prelievo, conservazione,
distribuzione e certificazione dei tessuti;
verificare la possibilita' che nei casi opportuni vengano
utilizzati organi anche da donatore vivente, dopo una attenta
valutazione dell'applicazione della normativa in vigore e delle Linee
Guida, formulate dal Centro Nazionale Trapianti. Va comunque
ricordato che la donazione da vivente non e' scevra da pericoli
sanitari e sociali ed e' quindi da considerarsi residuale rispetto
alla donazione da cadavere che deve restare l'obiettivo principale
del Servizio Sanitario Nazionale;
attivare algoritmi oggettivi e trasparenti per l'assegnazione
degli organi da trapiantare e per il monitoraggio dei pazienti
trapiantati, uniforme su tutto il territorio nazionale;
prevedere che il flusso informativo dei dati relativi ai
trapianti di cellule staminali emopoietiche sia integrato nell'ambito
del Sistema Informativo Trapianti, anche attraverso la collaborazione
con il Gruppo Italiano per il Trapianto di Midollo Osseo (GITMO) e
l'organizzazione GRACE (Gruppo di Raccolta e Amplificazione delle
Cellule Staminali Emopoietiche) che riunisce le banche di cellule
staminali placentari;
definire la Carta dei Servizi dei Centri di trapianto,
prevedendo aggiornamenti continui;
estendere lo sviluppo del Sistema Informativo Trapianti;
incrementare l'informazione ai cittadini circa le attivita'
quali-quantitative dei Centri di trapianto.
Per il prossimo futuro, inoltre, occorre procedere a:
ridurre il divario fra le Regioni in termini di attivita' di
reperimento donatori per raggiungere il numero delle 30 donazioni per
milione di abitanti;
predisporre, per i familiari dei soggetti sottoposti ad
accertamento di morte, un supporto psicologico e di aiuto;
attuare il finanziamento per funzione, come individuato
nell'articolo 8-sexies del Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n.
229, superando il finanziamento per DRG;
sorvegliare il rispetto delle Linee Guida per i trapianti da
donatore vivente attivando in particolare l'organismo di parte terza
ivi previsto per informare correttamente le parti in causa sui
vantaggi e svantaggi delle procedure;
monitorare l'attivita' delle singole Regioni circa i prelievi
di tessuti umani e la loro utilizzazione, l'attivazione di banche dei
tessuti regionali o interregionali, il loro accreditamento e la loro
funzionalita';
inserire anche i trapianti di cellule staminali emopoietiche
tra i trapianti d'organo e da tessuti, raccogliendo i dati presso il
Centro Nazionale Trapianti, e collegando quest'ultimo con il registro
dei donatori viventi di midollo osseo istituito presso l'Ospedale
Galliera di Genova;
favorire lo sviluppo di attivita' di ricerca connesse alle
attivita' di trapianto;
supportare l'attivazione di procedure informatiche
standardizzate, soprattutto per la gestione delle liste di attesa;
promuovere adeguate campagne di informazione rivolte ai
cittadini, con il concorso delle Associazioni dei pazienti e dei
volontari;
realizzare la selezione dei riceventi il trapianto con
algoritmi condivisi e procedure informatizzate, documentando ogni
passaggio del processo decisionale ai fini di un controllo superiore;
valutare e rendere pubblici i risultati delle attivita' di
prelievo e trapianto di organi;
rendere sempre piu' oggettivi e trasparenti i criteri di
ammissione del paziente al trapianto.
4. L'ambiente e la salute
Sono in molti casi ben accertate le interazioni fra i fattori di
rischio ambientali e la salute, anche se la ricerca delle possibili
soluzioni resta talvolta problematica particolarmente per le
complesse implicazioni socio-economiche sottostanti. In questo
settore importanti benefici sono prevedibili attraverso l'efficace
collaborazione fra i settori che, a livello nazionale e territoriale,
sono responsabili per la salute o per l'ambiente.
4.1. I cambiamenti climatici e le radiazioni ultraviolette
La difesa dalle eccessive radiazioni UV e dalle variazioni nelle
condizioni climatiche che possano colpire particolari gruppi
vulnerabili, rende prioritaria l'attuazione di programmi di
informazione ed educazione sanitaria.
Inoltre, vi e' la forte necessita' di ulteriori ricerche per
valutare meglio:
l'effetto del riscaldamento globale sui trends stagionali delle
maggiori cause di malattia e mortalita';
l'effetto del riscaldamento globale sulla variabilita'
climatica e valutazione delle capacita' di adattamento specialmente
tra le fasce di popolazione particolarmente vulnerabile come gli
anziani;
l'effetto del riscaldamento globale sulle patologie trasmesse
da virus e batteri e stima degli andamenti dell'incidenza di queste
malattie;
l'impatto potenziale della radiazione UV-B in relazione alla
deplezione dell'ozono in termini di aumento dell'incidenza dei casi
di cataratta, delle affezioni cutanee e del cancro della pelle;
il rischio di riduzione di risposta immunitaria ai vaccini ed
alle malattie infettive a causa dell'aumento della radiazione UV-B.
Per quanto riguarda gli aspetti connessi all'«effetto-serra» e
alla deplezione dell'ozono stratosferico, e' indispensabile, da una
parte, continuare la politica di collaborazione internazionale
dell'Italia a sostegno degli sforzi congiunti per rimuovere le cause
di queste modificazioni climatiche, e dall'altra, operare a livello
territoriale per il conseguimento degli obiettivi di abbattimento
delle emissioni nocive concordati a livello internazionale.
4.2. L'inquinamento atmosferico
L'inquinamento atmosferico derivante dal traffico veicolare,
impianti di riscaldamento e sistemi di produzione industriale, e' un
noto fattore di rischio per la salute (vedi tabella 1, pag. 99 e 100
- tratta dal Prof. Antonio Ballarin Denti «Aggiornamenti Sociali» n.
3, 2002, pag. 209-220).
Secondo una serie di studi e valutazioni condotte dalle agenzie
ambientali europee e nazionale, il trasporto su strada contribuisce
mediamente in Europa al 51% delle emissioni degli ossidi di azoto, al
34% di quelle composti organici volatili e al 65% di quelle del
monossido di carbonio.
I due principali inquinanti secondari, le polveri fini e l'ozono,
che sono prodotti, attraverso una serie complessa di reazioni
chimiche, dai tre inquinanti prima citati, sono pertanto imputabili,
anch'essi in misura preponderante, al traffico su strada.
Le emissioni prodotte dagli autoveicoli (al di la' del loro
contributo complessivo) sono inoltre fortemente dipendenti dal tipo
di motore. A parita' di condizioni di manutenzione, un motore diesel
tradizionale (come quello di gran parte dei veicoli commerciali) puo'
emettere una quantita' di polveri fini anche dieci volte superiore a
quelle emesse da un diesel «ecologico»; e questo e' a sua volta molto
piu' inquinante di un motore a benzina. Un veicolo non catalizzato
emette fino a dieci volte piu' di un'auto con marmitta catalitica. Un
motore a due tempi (come quello dei ciclomotori) emette molto piu' di
un analogo motore a quattro tempi: pertanto un motorino medio puo'
inquinare piu' di un'auto di grossa cilindrata di recente
omologazione. Anche tra le automobili catalizzate ci sono forti
differenze (a prescindere da quelle determinate da una cattiva
carburazione del motore) dovute alle diverse classi di omologazione
dei motori in funzione delle loro emissioni che l'Unione Europea sta
imponendo da qualche anno alle industrie automobilistiche. Ad esempio
un veicolo classificato EURO 3 (del tipo cioe' oggi in commercio)
emette fino a quattro volte di meno di un veicolo, pur catalizzato,
del tipo EURO 1 (cioe' prodotto e venduto piu' di sei anni fa).
Asserire quindi che globalmente il comparto del trasporto su
strada contribuisce in misura maggioritaria all'inquinamento e'
affermazione vera, ma, come tale, troppo generica per farne scaturire
adeguate politiche di intervento, a meno che si entri nel merito
delle singole tipologie di motore e sulle loro condizioni di
esercizio.
Il peso del traffico non deve comunque far dimenticare che un
contributo all'inquinamento atmosferico urbano, minore in valore
percentuale ma pur sempre alto in valore assoluto, deriva dagli
impianti di riscaldamento; questo comparto, ora che l'industria
pesante ha praticamente abbandonato l'ambiente urbano, resta, insieme
al traffico, di fatto l'unica sorgente di inquinamento. In questo
settore il diffondersi degli oli combustibili leggeri e soprattutto
del metano (che, a parte gli ossidi di azoto, non emette praticamente
altri inquinanti) e il rafforzamento delle politiche di controllo
sugli impianti in esercizio da parte delle Autorita' istituzionali
(Province e Comuni) hanno portato a marcati miglioramenti, anche se
molto ancora potrebbe e dovrebbe essere fatto (e' oggi
realisticamente immaginabile, grazie ad una ulteriore estensione
dell'impiego del metano e a politiche di obblighi di manutenzione, un
dimezzamento delle emissioni da impianti di riscaldamento entro un
periodo di 3-5 anni).
Il particolato atmosferico, indicato con il termine di
particolato totale sospeso (PTS), e' un inquinante la cui origine e'
molto diversificata derivando dall'erosione del suolo e degli
edifici, dall'attivita' umana (agricoltura, edilizia, industrie), dai
processi di combustione (impianti di riscaldamento e traffico
autoveicolare) e da reazioni chimiche di processi gassosi. Nelle aree
urbane l'aereosol atmosferico e' costituito dal 30% circa di
particelle naturali e dal 60% di particelle derivanti dalla
combustione delle quali piu' del 50% attribuibili al traffico. La
composizione del particolato e' estremamente variabile in base
all'origine delle particelle (piombo, nichel, zinco, rame, cadmio,
fibre di amianto, solfati, nitrati, idrocarburi policiclici pesanti,
polvere di carbone e cemento). La frazione di polveri considerata
piu' pericolosa per l'uomo e' quella in grado di superare le barriere
delle vie aeree superiori ovvero i PM10 e i PM2,5, particelle di
polvere con diametro inferiore a 10 e a 2,5 micron rispettivamente.
E' stato dimostrato da vari studi che il particolato PM10 origina
soprattutto dalla combustione, permane nell'aria qualche giorno e la
sua concentrazione viene abbattuta solo per dilavamento da parte
della pioggia. Questo inquinante reagisce chimicamente nell'atmosfera
con altre sostanze.
I danni addebitabili alle particelle inalate sono dovuti al fatto
che tali particelle, raggiungendo gli alveoli polmonari, rilasciano
sostanze tossiche e possono ostruire gli alveoli stessi. Ne consegue
un effetto irritante per le vie respiratorie e la possibilita' di
indurre alterazioni nel sistema immunitario, favorendo il
manifestarsi di malattie croniche, quali maggior sensibilita' agli
agenti allergizzanti. L'effetto irritante e' strettamente dipendente
dalla composizione chimica del particolato. E' anche ormai accertato
il diretto rapporto tra elevata concentrazione di particolato e tasso
di mortalita' per complicanze polmonari che si verificano nei giorni
successivi ad elevate concentrazioni: sono soprattutto gli anziani, i
bambini e le persone con malattie croniche dell'apparato respiratorio
ad essere maggiormente colpite. Inoltre, alcuni studi epidemiologici
hanno dimostrato che elevate concentrazioni di PM10 non solo
determinano anticipi sulla mortalita' (ovvero decessi in soggetti
compromessi che sarebbero comunque avvenuti a breve) ma causano in
soggetti sani patologie polmonari che possono cronicizzare e portare
a morte i soggetti stessi. L'aumento della morbilita' inoltre porta
ad un incremento della spesa sanitaria (maggiore numero di visite
mediche, di ricoveri ospedalieri, di assenze dal lavoro per
malattia).
Recenti studi epidemiologici indicano che l'inquinamento
atmosferico nell'ambiente esterno delle 8 maggiori citta' italiane ha
un impatto sanitario rilevante in termini di mortalita', ricoveri
ospedalieri per cause cardiovascolari e respiratorie e prevalenza di
malattie respiratorie (WHO-ECEH, 2000). I dati raccolti su numerosi
inquinanti (monossido di carbonio, biossido di azoto, biossido di
zolfo, ozono, benzene e polveri sospese) sono stati impiegati per
misurare il trend dell'inquinamento negli anni, mentre per la stima
dell'impatto sulla salute l'OMS si e' avvalsa delle concentrazioni di
PM10. Le concentrazioni medie di PM10 misurate nelle citta' oggetto
di studio sono superiori all'attuale obiettivo di qualita' dell'aria,
che e' pari a 40\mu g/m3, valore attualmente in corso di revisione in
diminuzione. Lo studio ha preso in considerazione la mortalita' a
lungo termine ed altri effetti a medio e breve termine osservati nel
corso di un anno (come i ricoveri ospedalieri, i casi di bronchite
acuta e gli attacchi d'asma nei bambini) ed e' stato stimato il
carico di malattia potenzialmente prevenibile qualora si riuscisse ad
abbattere le concentrazioni medie di PM10 a 30\mu g/m3. E' stato
stimato che riducendo il PM10 ad una media di 30\mu g/m3 si
potrebbero prevenire circa 3.500 morti all'anno nelle 8 citta'
studiate. Inoltre, riducendo le concentrazioni medie di PM10 a 30\mu
g/m3, migliaia di ricoveri per cause respiratorie e cardiovascolari,
e decine di migliaia di casi di bronchite acuta e asma fra i bambini
al di sotto dei quindici anni, potrebbero essere evitati. In aggiunta
all'onere legato al ricovero e cura dei casi di malattia legati
all'inquinamento, il numero stimato di giorni di attivita'
compromessa a causa di disturbi respiratori (per persone di eta'
superiore ai venti anni) e' di oltre 2,7 milioni, cioe' il 14,3% del
totale.
Anche la qualita' dell'aria negli ambienti confinati ha
ripercussioni per la salute, in particolare nei bambini, negli
anziani e per persone gia' affette da alcune patologie croniche.
Molti materiali da costruzione liberano nell'ambiente il gas radon,
sorgente di radiazioni ionizzanti, con una stima di possibile
riduzione di 2-3% di casi di tumore polmonare a seguito di bonifica.
Un'indagine campionaria nazionale ha stimato un valore medio nelle
abitazioni italiane (e scuole) di 70-75 Bq/mc, piu' alta che negli
USA (46 Bq/mc) e in Germania (50 Bq/mc). Valori di 200 e 100 Bq/mc
erano raggiunti rispettivamente nel 4% e nell'1% delle abitazioni. Si
stima che alle esposizioni a radon in Italia siano attribuibili
1.500-6.000 casi annui di cancro polmonare. Le evidenze di effetti
cancerogeni su altri organi bersaglio sono contraddittorie e non
consentono alcuna stima.
Oltre a cio', in Italia sono stimati in:
oltre 200.000 i casi prevalenti di asma bronchiale in bambini e
adolescenti, causati da allergeni (acari, muffe, forfore animali) e
da esposizione a fumo di tabacco ambientale;
oltre 50.000 i casi incidenti di infezioni acute delle vie
aeree (principalmente da fumo di tabacco ambientale);
circa un migliaio gli infarti del miocardio da fumo di tabacco
ambientale;
oltre 200 i decessi per intossicazione acuta da CO.
Materiali da arredo e un grande numero di prodotti di consumo
liberano sostanze tossiche, come i composti organici volatili, e
possono essere causa di fenomeni allergici. Anche il microclima
caldo-umido delle abitazioni, favorisce la crescita degli acari e dei
funghi nella polvere domestica. Infine, alcuni composti chimici,
anch'essi presenti negli ambienti confinati, sono noti o sospettati
quali cause di irritazione o stimolazione dell'apparato sensoriale e
possono dare vita ad una serie di sintomi comunemente rilevati nella
cosiddetta «Sindrome da Edificio Malato» .
Per quanto riguarda gli aspetti essenziali di prevenzione e
protezione ambientale nelle aree urbane e' prioritario assicurare il
rispetto delle vigenti normative in materia di livelli consentiti di
inquinanti atmosferici e adoperarsi per abbattere ulteriormente i
livelli del PM10 e degli altri inquinanti. Il conseguimento di questo
obiettivo richiede una serie complessa di interventi essenzialmente
relativi al traffico automobilistico e agli impianti di
riscaldamento.
In particolare, e' importante:
ridurre l'inquinamento atmosferico da fonti mobili, utilizzando
strumenti legislativi e fiscali, migliorando le caratteristiche
tecniche dei motori dei veicoli e la qualita' dei carburanti;
ridurre l'inquinamento atmosferico da fonti fisse,
identificando le fonti inquinanti, migliorando i processi tecnici e
cambiando i combustibili.
A causa della struttura particolare delle citta' italiane, questi
due tipi di interventi dovrebbero prevedere restrizioni severe e
regolamentazione del traffico nelle aree urbane, tenendo in
considerazione tutte le tipologie di veicoli esistenti compresi i
ciclomotori. Questi ultimi contribuiscono significatamene all'aumento
delle concentrazioni di inquinanti pericolosi, come il benzene.
Per quanto riguarda l'inquinamento dell'aria negli ambienti
confinati, significativi benefici per la salute sono prevedibili
dall'attuazione di programmi di riduzione all'esposizione al radon,
basati prioritariamente sull'aumento del numero di edifici pubblici
sottoposti a misurazioni e a bonifica.
Il recente accordo approvato dalla Conferenza Stato-Regioni
(27 settembre 2001, n. 252) indica le Linee Guida per la tutela e la
promozione della salute negli ambienti confinati, e rappresenta
quindi il documento di riferimento per gli obiettivi e gli interventi
in questo settore.
Tabella 1
Gli inquinanti dell'aria: origini, sorgenti, effetti
sulla salute e sull'ambiente
Benzene: da un punto di vista tossicologico e' classificato come
un potente cancerogeno. Viene emesso quasi integralmente dal
trasporto su strada, per lo piu' direttamente (85%) e in parte per
evaporazione durante il rifornimento di benzina o dai serbatoi delle
automobili.
Biossido di zolfo: noto anche come anidride solforosa, si forma
per reazione tra lo zolfo contenuto in alcuni combustibili fossili
(carbone, oli minerali pesanti) e l'ossigeno atmosferico. Le fonti di
emissione sono soprattutto gli impianti industriali o di
riscaldamento. Il composto irrita e, ad alte concentrazioni,
danneggia gli epiteli delle vie respiratorie superiori predisponendo
ad episodi infettivi acuti e cronici.
Idrocarburi non metanici (composti organici volatili): nascono da
processi di combustione incompleta o sono emessi da molti prodotti
chimici (ad esempio solventi e vernici). I contributi principali
vengono dal traffico veicolare e dalle industrie. Alcune classi di
composti hanno marcati effetti cancerogeni (ad esempio gli
idrocarburi policiclici aromatici).
Monossido di carbonio: si forma per combustione incompleta dei
combustibili a base carboniosa (naturali e fossili). Deriva da
sorgenti industriali, ma soprattutto dal traffico (marmitte non
catalizzate). E' un potente agente tossico perche' blocca la
capacita' di trasporto di ossigeno nel sangue. Ad alte concentrazioni
provoca dapprima malessere, disorientamento e infine stato di coma e
morte.
Ossidi di azoto: sono composti di azoto e ossigeno generati nei
processi di combustione ad alta temperatura, per reazione dell'azoto
e dell'ossigeno naturalmente presenti in atmosfera. Vengono prodotti
dagli impianti di riscaldamento, dai cicli termici industriali, dalle
centrali termoelettriche e, in misura oggi considerevole dagli
autoveicoli. Provocano disturbi alle vie respiratorie profonde e
causa maggiore predisposizione alle infezioni soprattutto nei
soggetti affetti da patologie polmonari.
Ozono: si origina per processi fotochimica (dipendenti cioe'
dalla radiazione solare) partendo da ossidi di azoto e da composto
organici volatili (idrocarburi non metanici). E' un inquinante
secondario cioe' non e' emesso in quanto tale, ma si forma a partire
da altri inquinanti (primari). Essendo un potente ossidante attacca i
tessuti delle vie aree, provoca disturbi alla respirazione, aggrava
gli episodi di asma. E' particolarmente dannoso alla vegetazione,
producendo cali di rese in molte colture agricole e defoliazione
nelle foreste.
Particolato aerodisperso: conosciuto anche come «polveri totali
sospese» (PTS); puo' avere origini naturali (erosione dei suoli) o
antropiche (combustibili legneo-cellulosici o fossili, eccetto il gas
naturale). Il particolato entra nelle vie respiratorie spingendosi
tanto piu' verso quelle profonde quanto minore e' il diametro delle
particelle che lo costituiscono. Ha azione irritante nelle vie
respiratorie superiori (faringe), ma nel sistema broncopolmonare puo'
rilasciare composti tossici producendo o aggravando patologie
respiratorie o svolgendo anche azione cancerogena.
Piombo: veniva impiegato come additivo delle benzine tradizionali
sotto forma di composti metallo-organici (piombo tetraetile) usati
come anti detonanti. Il piombo viene rintracciato nel particolato
aerodisperso e proviene in prevalenza dalle vecchie benzine «rosse».
E' un elemento tossico e provoca alterazioni nel sistema nervoso e
patologie neurologiche.
PM10: Le cosiddette «polveri fini» sono costituite dalle
particelle aerodisperse di diametro inferiore ai 10 micrometri (10
millesimi di millimetro) e pertanto classificate come PM10 (da
Particulate Matter < 10 micrometri). Data la loro piccola massa
restano piu' a lungo sospese in atmosfera e, a causa del loro piccolo
diametro, sono in grado di penetrare nelle vie aeree profonde
(bronchi e polmoni) depositandovi gli elementi e i composti chimici
da cui sono costituite, quali metalli pesanti e idrocarburi. Il
rischio tossicologico associato al PM10 e' percio' elevato. Da un
recente studio epidemiologico condotto su un campione di citta'
statunitensi e' emerso che un incremento di 10 microgrammi/metro cubo
nella concentrazione atmosferica di PM10 provoca un aumento dallo
0,5% allo 0,7% delle cause generali di morte. E' un corrispondente
incremento dei decessi dovuti a patologie cardio respiratorie.
Analoghi studi condotti su citta' europee, hanno evidenziato dati che
se applicati (con tutte le incertezze e cautele del caso) a una
citta' media europea di un milione di abitanti che registri una
concentrazione media di polveri fini di 50 microgrammi/metro cubo
rispetto al valore limite indicato dalla recente direttiva europea di
40 microgrammi/metro cubo (tale e' il caso di alcune tra le
principali citta' italiane), implicherebbero un incremento di 500
decessi annui e un controvalore economico per le giornate lavorative
perdute di almeno 20 milioni di euro per anno.
4.2.1. L'amianto
Ogni anno circa 1000 italiani muoiono per mesotelioma pleurico o
peritoneale causati prevalentemente dall'esposizione ad amianto e
altri 1000 per cancro polmonare attribuibile all'amianto. Nello
stesso periodo di tempo si verificano circa 250 casi di asbestosi. E'
documentata anche la comparsa di mesoteliomi a seguito di esposizione
ambientale non lavorativa in residenti in aree prossime a pregressi
impianti di lavorazione dell'amianto o a cave in soggetti che non
sono mai stati addetti alla lavorazione dell'amianto. Dati i lunghi
periodi di latenza, gli effetti dell'amianto, in misura simile a
quella riscontrata negli anni '90, sono destinati a prolungarsi nel
tempo anche se, per effetto della legge 27 marzo 1992, n. 257, in
Italia non sono piu' consentite attivita' di estrazione,
importazione, commercio e esportazione di amianto e materiali
contenenti amianto.
Vi e', poi, un numero difficilmente stimabile di lavoratori
esposti per la presenza di amianto come isolante in una molteplicita'
di luoghi di lavoro (quali ad esempio industria chimica, bellica,
raffineria, metallurgia, edilizia, trasporti, produzione di energia),
ed un numero anch'esso difficilmente stimabile di soggetti residenti
in prossimita' di stabilimenti nei quali e' stato lavorato l'amianto.
Il censimento di queste situazioni, previsto dalla citata legge del
1992, procede con lentezza, ed in assenza di dati attendibili sulla
mappa delle esposizioni, anche le attivita' di risanamento ambientale
procedono in modo relativamente frammentario ed episodico.
E' quindi prioritaria una piu' idonea strategia per la bonifica
dei siti dove si lavorava amianto e una verifica della presenza di
residui di amianto nelle vicinanze degli stessi.
E' necessario, poi, elaborare ed adottare d'intesa con le
Regioni, Linee Guida che indirizzino l'attivita' delle strutture
sanitarie a fini di prevenzione secondaria e sostegno psico-sociale
delle persone esposte in passato ad amianto. Presentano anche
carattere prioritario l'aggiornamento e l'estensione degli studi
epidemiologici che, insieme alla mappatura delle esposizioni attuali
e pregresse, possano fornire basi piu' solide agli interventi di
risanamento ambientale e criteri per il sostegno sanitario e
psicologico alle popolazioni esposte.
4.2.2. Il benzene
Per quanto riguarda il benzene, nota sostanza cancerogena per
l'uomo, l'esposizione avviene principalmente nell'ambiente esterno
urbano a causa degli scarichi dei motori a combustione a benzina. Il
benzene puo' essere emesso sia come prodotto di combustione (che si
forma a partire dai componenti della benzina, in particolare
idrocarburi aromatici), sia in forma di sostanza incombusta, per
evaporazione dal carburatore, dal serbatoio e da altre parti dei
veicoli.
Un'altra sorgente di rilievo in ambito urbano e' rappresentata
dalla distribuzione, dall'immagazzinamento e dalla manipolazione di
carburanti contenenti benzene.
Per quanto concerne specificamente gli ambienti interni degli
edifici, le sorgenti di maggior rilievo risultano essere alcuni
prodotti di consumo, come adesivi, materiali di costruzione e
vernici. L'emissione di tali prodotti e' funzione della temperatura
e, in particolare nel caso delle vernici, decresce con il tempo.
Inoltre, il fumo di sigaretta contiene quantitativi di benzene
significativi e considerevolmente variabili.
L'evaporazione del benzene ha anche influenza sulle
concentrazioni indoor attribuibili a parcheggi interni agli edifici e
sull'esposizione all'interno delle auto. Uno dei problemi tipici
degli ambienti urbani italiani e' quello della elevatissima densita'
di auto parcheggiate in quasi tutte le strade, a cui corrisponde una
considerevole emissione evaporativa dai serbatoi e altre parti delle
auto.
Ulteriori condizioni nelle quali si puo' realizzare l'esposizione
al benzene sono quelle particolari di alcuni ambienti di lavoro
quali, ad esempio, l'industria della gomma.
L'obiettivo di ridurre l'esposizione al benzene e' stato
perseguito con successo attraverso la riduzione del benzene nella
benzina, ma e' indispensabile continuare con determinazione gli
sforzi intrapresi. I dati disponibili non indicano in modo chiaro
quanto la catalizzazione delle auto abbia contribuito a ridurre
l'emissione di benzene, anche se certamente vi sono stati dei
significativi benefici. Una valutazione appropriata della possibile
riduzione futura delle emissioni in rapporto al cambiamento del parco
auto e' essenziale a fini strategici per comprendere quali obiettivi
siano effettivamente conseguibili in tal modo. Appare, comunque,
importante prevedere un qualche sistema di controllo della
funzionalita' dei dispositivi di abbattimento. In base ai dati oggi
forniti dai sistemi di monitoraggio, non sembra al momento possibile
prescindere da una riduzione e razionalizzazione del traffico,
quantomeno nelle aree critiche.
Le concentrazioni indoor, oltre che dall'ovvia eliminazione del
fumo di tabacco dagli ambienti di vita e di lavoro, potrebbero essere
prevedibilmente ridotte da un'ottimizzazione dei sistemi di
parcheggio delle auto all'interno degli edifici, con sistemi di
ventilazione ed aerazione e altri metodi utili a ridurre la
penetrazione del benzene nelle abitazioni a partire dai luoghi in cui
sono posteggiate le auto.
E', infine, indispensabile realizzare idonee reti di rilevazione
per il benzene con particolare riferimento alle aree urbane.
4.3. La carenza dell'acqua potabile e l'inquinamento
In Italia solo i due terzi della popolazione riceve quantita'
sufficienti di acqua per tutto l'anno, circa il 13% degli Italiani
non riceve sufficienti quantita' di acqua per un quarto dell'anno e
circa il 20% per due/tre quarti dell'anno.
Inoltre, in molte parti d'Italia, per le quali vi sono dati
disponibili, i caratteri organolettici dell'acqua come torbidita',
colore, odore o sapore sono di bassa qualita'. La proporzione della
popolazione che non beve o beve raramente acqua di rubinetto e'
elevata in tutte le aree, soprattutto nelle Isole e nel Nord-Ovest.
Per quanto riguarda l'inquinamento, sono quasi scomparse le
epidemie idriche causate dai tradizionali patogeni quali Salmonella,
Shigella e Vibrio, ma permane problematica la valutazione del rischio
microbiologico di altri agenti biologici patogeni diffusibili
attraverso l'acqua potabile. Inoltre, la popolazione italiana resta
esposta, attraverso l'acqua potabile, a bassi livelli di numerosi
composti chimici, fra i quali vi sono i residui dei prodotti
fitosanitari, i nitrati, i sottoprodotti della disinfezione delle
acque a fini di potabilizzazione e le cessioni da parte dei materiali
con i quali sono state realizzate le reti di captazione, adduzione e
distribuzione dell'acqua all'utenza.
Problemi di miglioramento delle caratteristiche delle acque si
pongono, inoltre, per il parametro boro e per il parametro arsenico
poiche' in alcune situazioni, peraltro limitate e localizzate, e'
accertata la presenza di dette sostanze nelle acque in concentrazioni
superiori alle concentrazioni massime ammissibili, per cause connesse
alla natura geologica dei suoli.
Per il prossimo futuro occorrera' promuovere le seguenti azioni:
riduzione della quantita' di prodotti impiegati in agricoltura
e autorizzazione dei preparati fitosanitari a minor impatto
sull'ambiente e sulla salute umana;
adozione di norme per la buona pratica agricola, al fine di
ottimizzare l'impiego dei fertilizzanti e minimizzare il loro impatto
sull'ambiente;
promozione di un adeguato monitoraggio ambientale ed indagini
epidemiologiche mirate, con particolare riferimento ai potenziali
effetti dei contaminanti chimici dell'acqua potabile sulle funzioni
riproduttive umane;
miglioramento delle tecnologie acquedottistiche;
ottimizzazione della gestione e incentivazione della ricerca di
disinfettanti integrativi/alternativi del cloro e suoi composti;
incremento della tutela delle acque dai processi di
contaminazione urbana, agricola o industriale;
intensificazione dell'attivita' di controllo dei contaminanti
chimici, fisici e biologici delle acque potabili con l'esclusione
dell'erogazione delle acque non conformi.
4.4. Le acque di balneazione
La normativa italiana relativa al controllo delle acque di
balneazione ha fissato, per gli indicatori microbiologici di
contaminazione fecale, valori limite piu' restrittivi rispetto alla
direttiva europea attualmente in vigore. Inoltre, la normativa
italiana considera «acque di balneazione» le acque nelle quali la
balneazione e' espressamente autorizzata dalle Autorita' e non
vietata, mentre la direttiva europea stabilisce che «acque di
balneazione» sono da considerarsi quelle dove la balneazione e'
praticata da «un congruo numero di bagnanti». Questo comporta che in
Italia, tranne le zone non idonee per motivi diversi
dall'inquinamento e quelle verificate non idonee per inquinamento,
tutte le acque siano considerate «acque di balneazione».
A causa di cio' il nostro Paese ha un numero di punti di
campionamento controllati di gran lunga superiore a qualsiasi altro
Paese dell'Unione Europea.
L'osservazione dei dati raccolti negli ultimi anni, durante le
campagne di controllo svolte in base al Decreto del Presidente della
Repubblica 8 giugno 1982, n. 470, porta a riconoscere un generale
miglioramento della qualita' delle acque delle zone costiere
italiane, valutato in funzione dei chilometri di costa controllata.
L'ulteriore miglioramento della qualita' delle acque di
balneazione passa attraverso la riduzione della contaminazione
ambientale, un opportuno ed idoneo trattamento di tutti gli scarichi,
urbani e non, un'adeguata progettazione degli impianti di
depurazione, ed il censimento regolare e continuativo degli scarichi.
4.5. L'inquinamento acustico
L'inquinamento acustico causato dal traffico, dalle industrie,
dalle attivita' ricreative interessa circa il 25% della popolazione
europea, provocando sia disagi che danni alla salute. Infatti, anche
se le conseguenze dell'esposizione al rumore a bassi livelli variano
da individuo ad individuo, un'esposizione prolungata nel tempo, che
raggiunge determinati valori di pressione sonora, e' causa, in tutta
la popolazione, di effetti nocivi sull'organo dell'udito e
sull'intero organismo. Per un'esposizione ad elevati livelli,
protratta per anni, quale puo' riscontrarsi in alcuni ambienti di
lavoro, si registra un abbassamento irreversibile della soglia
uditiva. Anche in relazione a esposizione a piu' bassi livelli di
rumore si registrano nell'intero organismo, secondo il perdurare
dello stimolo, una serie di modificazioni a carico di vari organi ed
apparati.
. -
.
Numerose indagini dimostrano che nella maggior parte delle citta'
italiane esaminate i livelli di rumore sono superiori ai livelli
massimi previsti dalle norme vigenti sia di giorno che di notte. Per
quanto riguarda l'esposizione al rumore negli ambienti di lavoro, si
puo' stimare, in maniera conservativa, che la popolazione dei
lavoratori esposti a piu' di 90 dB(A) di Leq (Livello Equivalente di
pressione sonora) sia pari almeno alle 100.000 unita', e le ipoacusie
professionali rimangono di gran lunga la prima tecnopatia in Italia,
contribuendo con piu' del 50% al totale delle malattie professionali
indennizzate.
Da quanto esposto scaturisce con urgenza la necessita' di
interventi, sia negli ambienti di lavoro che negli ambienti di vita,
finalizzati alla riduzione dell'esposizione al rumore.
Per quanto riguarda gli ambienti di vita, la limitazione del
traffico veicolare e' soltanto uno degli strumenti per migliorare la
qualita' ambientale, e deve essere integrata con altre azioni
individuabili a livello locale, nazionale, comunitario: dalla
pianificazione urbanistica, alla viabilita' e conseguente
regolamentazione dei flussi di traffico, al potenziamento
dell'attivita' di controllo e repressione dei comportamenti
eccessivi, agli incentivi economici per lo svecchiamento dei mezzi di
trasporto pubblici e privati, al finanziamento dell'attivita' di
ricerca per lo sviluppo di veicoli a basse emissioni di inquinanti,
alla zonizzazione acustica (classificazione del territorio comunale
in 6 classi in base ai livelli di rumore), al piano di risanamento
acustico comunale.
Per quanto riguarda l'esposizione negli ambienti di lavoro,
quattro sono i livelli di azione da intraprendere per ridurre
l'incidenza sulla salute di questo fattore di rischio:
migliorare gli standard di sicurezza e tutela aziendali tramite
una piu' corretta e puntuale applicazione della vigente legislazione;
incrementare l'azione di vigilanza a livello territoriale sulla
corretta applicazione della vigente legislazione in materia;
completare l'emanazione dei decreti attuativi previsti dal
Decreto Legislativo 15 agosto 1991, n. 277;
attuare una politica di incentivazione e di sostegno alle
aziende che vogliono attuare interventi di riduzione della
rumorosita' negli ambienti di lavoro.
I macrosettori produttivi ai quali dovrebbero essere indirizzati
i maggiori sforzi sono quello metalmeccanico, quello edile e quello
estrattivo.
4.6. I campi elettromagnetici
Negli ultimi anni si e' verificato un aumento senza precedenti
del numero e della varieta' di sorgenti di campi elettrici, magnetici
ed elettromagnetici utilizzate a scopo individuale, industriale e
commerciale. Tali sorgenti comprendono, oltre le linee di trasposto e
distribuzione dell'energia elettrica, apparecchiature per uso
domestico, personal computers (dispositivi operanti tutti alla
frequenza di 50 Hz), telefoni cellulari con le relative stazioni
radio base, forni a microonde, radar per uso civile e militare
(sorgenti a radio frequenza e microonde), nonche' altre
apparecchiature usate in medicina, nell'industria e nel commercio.
Tali tecnologie, pur di grande utilita', generano continue
preoccupazioni per i possibili rischi sanitari della popolazione.
Per quanto riguarda i campi a frequenza estremamente bassa (ELF),
l'esposizione dell'uomo e' principalmente collegata alla produzione,
alla distribuzione ed all'utilizzazione dell'energia elettrica. Nel
1998, il gruppo di esperti internazionali del National Institute of
Environmental Health Sciences (USA) ha affermato che, usando i
criteri stabiliti dalla Agenzia Internazionale per la Ricerca sul
Cancro (IARC), i campi ELF dovrebbero essere considerati come
«possibili cancerogeni». Possibile cancerogeno per l'uomo significa
che esistono limitate evidenze scientifiche sulla possibilita' che
l'esposizione a campi ELF possa essere associata all'insorgenza dei
tumori. Sulla base di queste valutazioni di esposizioni e della stima
del livello di rischio di leucemia per l'infanzia, e' stato calcolato
che ogni anno si potrebbero verificare 1,3 (95% intervallo di
certezza: 0 - 4,1) casi aggiuntivi di leucemia infantile collegabili
alla vicinanza delle abitazioni a linee elettriche ad alta tensione e
26,7 casi (95% intervallo di certezza: 3,9 - 57,3) collegabili
all'esposizione nelle case. Tali dati corrisponderebbero
rispettivamente a valori che variano da 0,3% a 6,1% del totale dei
432 casi di leucemia infantile che si verificano ogni anno in Italia.
Restano, tuttavia, ovvie incertezze sul rapporto causa-effetto.
4.7. Lo smaltimento dei rifiuti
Il rischio per la salute si manifesta anche quando risultano
assenti o inadeguati i processi di raccolta, trasporto, stoccaggio,
trattamento o smaltimento finale dei rifiuti, nonche' quando lo
smaltimento avviene senza il rispetto delle norme sanitarie rigorose
previste dalle norme vigenti. La mancata raccolta dei rifiuti
costituisce una causa importante di deterioramento del benessere e
dell'ambiente di vita. I rifiuti, qualora non vengano adeguatamente
smaltiti, possono contaminare il suolo e le acque di superficie.
L'esalazione di metano dai siti di interramento non idonei
rappresenta un rischio di incendio ed esplosioni. Tuttavia, se
trattati adeguatamente, i rifiuti possono costituire una fonte
combustibile. Le emissioni in atmosfera in strutture atte alla
produzione di compost e negli impianti di incenerimento dei rifiuti,
qualora non opportunamente abbattute, sono state identificate quali
fattori di rischio per la salute dei lavoratori addetti.
La discarica rimane il sistema piu' diffuso di smaltimento dei
rifiuti, sia perche' i costi sono ancora oggi competitivi con quelli
degli altri sistemi sia perche' l'esercizio e' molto piu' semplice.
La discarica controllata, se ben condotta, non presenta particolari
inconvenienti, purche' sia ubicata in un idoneo sito e sia dotata
degli accorgimenti atti ad evitare i pericoli di inquinamento che i
rifiuti possono provocare in via diretta ed indiretta.
I principali obiettivi in questo settore sono:
l'adozione di un regime di smaltimento dei rifiuti urbani ed
industriali, che minimizzi i rischi per la salute dell'uomo ed
elimini i danni ambientali;
l'attivazione di azioni educative per ridurre la produzione dei
rifiuti;
l'incentivazione della gestione ecocompatibile dei rifiuti, con
particolare riferimento al riciclaggio;
l'incremento delle attivita' di tutela ambientale per
l'individuazione delle discariche abusive e delle altre forme di
smaltimento non idonee;
il monitoraggio accurato delle emissioni inquinanti degli
impianti di incenerimento.
4.8. Pianificazione e risposta sanitaria in caso di eventi
terroristici ed emergenze di altra natura
Negli ultimi anni, ed in particolare nel corso del 2001, si e'
presentato in forme nuove la minaccia del terrorismo con uso di armi
non convenzionali. Gli episodi di bioterrorismo sono diventati un
rischio piu' plausibile per molti Paesi occidentali, ivi inclusa
l'Italia.
Risposte rapide ed efficaci a questo tipo di emergenze, come
d'altra parte ad altre emergenze associate, ad esempio, a gravi
incidenti chimici o a disastri naturali, non possono essere
assicurate se non esiste un'attivita' di preparazione continua a
monte dell'evento. Questo e' particolarmente vero per il Servizio
Sanitario, specie nelle grandi citta' ove e' piu' elevato il rischio,
e dove i servizi sono, di norma, gia' saturi di richieste e spesso
troppo rigidi per adattarsi in tempi brevi alle emergenze.
Anche se la risposta ad eventuali attacchi terroristici e ad
altre emergenze non e' solo di competenza del settore sanitario, e'
ovvia la necessita' di preparare e, quando necessario, mobilitare il
servizio sanitario alla cooperazione con le forze di soccorso, di
difesa e di ordine interno, a seconda del caso.
Il sistema di emergenza 118, gli Ospedali e le ASL, i
dipartimenti di prevenzione, i laboratori diagnostici, i Centri
anti-veleni e le Agenzie regionali per l'ambiente, unitamente all'ISS
ed all'ISPESL, sono alcuni dei soggetti che devono collaborare per
sviluppare un'adeguata rete di difesa e protezione sanitaria. In sede
locale, un piano di interventi sanitari contro il terrorismo ed altri
gravi eventi non puo' pertanto che risultare dalla progettualita' di
ciascuna Regione e dall'efficacia e dall'efficienza delle attivita'
svolte dalle diverse articolazioni in ciascuna Azienda Sanitaria.
Per garantire una pronta risposta sanitaria di fronte a possibili
aggressioni terroristiche di natura chimica, fisica e biologica ai
danni del nostro Paese sono state gia' assunte iniziative a livello
centrale e locale, che hanno consentito di superare il primo momento
dell'emergenza.
Fra le iniziative piu' importanti assunte immediatamente a
ridosso dei tragici eventi dell'11 settembre 2001:
e' stata costituita, con Decreto Ministeriale 24 settembre 2001
un'apposita Unita' di crisi che, fra l'altro, ha elaborato il
protocollo operativo per la gestione della minaccia terroristica
derivante da un eventuale uso del bacillo dell'antrace;
sono stati individuati, d'intesa con le Regioni, l'ISS e
l'ISPESL, come Centri di consulenza e supporto, rispettivamente, per
gli eventi di natura biologica e chimico-fisica e per gli ambienti di
lavoro; l'Ospedale L. Sacco di Milano, l'IRCSS L. Spallanzani di
Roma, il Policlinico di Bari e il Presidio Ascoli Tomaselli di
Catania, quali Centri nosocomiali di riferimento per il supporto
clinico nonche' l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Foggia
quale centro di riferimento per il controllo analitico del materiale
sospetto (alla data del 15 febbraio 2002 sono stati analizzati 1876
campioni di materiale sospetto);
e' stato istituito un numero telefonico verde dedicato tanto
agli operatori sanitari quanto ai singoli cittadini che, alla data
del 15 febbraio 2001, ha dato riscontro a 4.239 richieste pervenute;
si e' provveduto al reperimento dei vaccini e altri medicinali
ritenuti essenziali;
si e' fattivamente collaborato in sede UE e G8 al necessario
coordinamento per la costruzione di una elevata capacita' di risposta
sanitaria.
Contestualmente, si e' reso necessario predisporre altre misure
sanitarie utili per far fronte ad altre situazioni ipotizzabili,
stabilendo l'idonea pianificazione degli interventi.
In linea con il Piano nazionale di difesa da attacchi
terroristici di tipo biologico, chimico e radiologico, emanato dalla
Presidenza del Consiglio dei Ministri, e' stato, percio', redatto un
documento di Piano che si articola in due parti: nella prima e' presa
in considerazione la minaccia biologica; nella seconda, e' trattata
la minaccia chimica e radiologica. Ognuna di dette parti puo', a sua
volta, essere considerata come sostanzialmente suddivisa in due
capitoli. Nel primo, di tipo divulgativo, vengono fornite
informazioni sui criteri essenziali per l'identificazione di eventi
dannosi a seguito di atto terroristico, sui siti bersaglio, sugli
aggressivi presumibilmente utilizzabili in tali scenari, sulle
modalita' patogenetiche di detti aggressivi, ipotizzando, in ultimo,
una scala di gravita' riferita alle caratteristiche specifiche di
ciascun aggressivo e rapportata alle varie tipologie di siti
bersaglio ed al numero di individui colpiti; nel secondo, a carattere
eminentemente operativo, vengono enunciate considerazioni di massima
di tipo organizzativo in base alle quali possono essere sviluppate in
sede locale le procedure di intervento piu' idonee. Nell'allegato
sono riportate le schede tecniche relative ad agenti biologici,
chimici e fisici nonche' approfondimenti su alcuni temi
particolarmente critici, che riprendono, sviluppano ed integrano
argomenti ed informazioni gia' esposti nella prima e nella seconda
parte del Piano.
Il documento di Piano, redatto con l'apporto dell'ISS,
dell'ISPESL e della Direzione generale della Sanita' Militare, tiene
conto della linea organizzativa prevista dalle vigenti disposizioni
in materia di gestione delle crisi, che individuano nel Presidente
del Consiglio dei Ministri, nel Consiglio dei Ministri e nel Comitato
Politico Strategico gli organismi decisionali nazionali, nel Nucleo
Politico Militare il massimo organo di coordinamento nazionale, nella
Commissione Interministeriale Tecnica per la Difesa Civile l'organo
di coordinamento tecnico delle attivita' di difesa civile al momento
dell'emergenza e nel Prefetto l'autorita' di coordinamento della
difesa civile a livello periferico. Nel rispetto dell'autonomia
organizzativa e gestionale delle Istituzioni centrali e territoriali
che potrebbero essere chiamate ad attivare operazioni di soccorso ai
cittadini, il documento di Piano vuole offrirsi come un punto di
riferimento per le successive fasi di pianificazione e di messa in
atto, a livello territoriale, delle azioni volte alla tutela della
salute.
Gli obiettivi strategici in questo settore sono sostanzialmente
riconducibili a:
programmare le misure preventive;
definire le misure di sorveglianza, ovvero attivare
preventivamente le funzioni specifiche e modellarle rispetto alla
minaccia;
pianificare le misure di soccorso e trattamento, al fine di
ripristinare le condizioni di salute dei soggetti eventualmente
colpiti, bonificare gli ambienti colpiti e/o i materiali contaminati
nonche' contenere e/o inattivare il rischio residuo;
diffondere la cultura dell'emergenza e migliorare la capacita'
degli operatori a risposte pronte ed adeguate;
incrementare la capacita' informativa a favore della
popolazione (anche attraverso l'accesso al numero telefonico verde),
al fine di accrescere la fiducia del cittadino e la conoscenza dei
comportamenti piu' opportuni da adottare.
Conseguentemente, le principali azioni da realizzare sono:
predisporre piani operativi regionali, articolati in ciascuna
Azienda Sanitaria, che individuino le funzioni da esperire,
specifichino le modalita' di svolgimento ed identifichino i diversi
livelli di responsabilita';
approntare adeguate attrezzature, risorse e protocolli per
affrontare i diversi scenari di emergenza;
adottare procedure operative standard per la risposta a falsi
allarmi;
intensificare l'aggiornamento e la formazione di operatori
sanitari;
sviluppare le indagini epidemiologiche e potenziare il
collegamento e l'integrazione tra diversi sistemi informativi.
4.9 Salute e sicurezza nell'ambiente di lavoro
Una profonda trasformazione delle condizioni di lavoro e' in atto
in tutti i settori lavorativi a causa dell'impiego di nuove
tecnologie e del conseguente cambiamento dei modelli di produzione.
Inoltre la competitivita' del mercato ha determinato la graduale
introduzione di nuovi modelli organizzativi e operativi.
Nel settore della sicurezza e della salute occupazionale cio' sta
determinando la comparsa di nuovi rischi e induce una progressiva
modificazione dei modelli tradizionali di esposizione al rischio.
La mutata organizzazione del lavoro (telelavoro,
esternalizzazione della produzione), la comparsa e il rapido
incremento di nuove tipologie di lavoro flessibile (lavori atipici,
lavoro interinale) e le diverse caratteristiche della forza lavoro,
introducono modifiche nella distribuzione e diffusione dei rischi.
Nel frattempo permangono in numerosi settori lavorativi i rischi
tradizionali, non sempre e non diffusamente risolti.
Negli ultimi anni si e' inoltre profondamente modificata la
normativa di riferimento, con l'avvento delle direttive comunitarie
ed in particolare con il decreto legislativo n. 626 e successive
modifiche che hanno introdotto varie innovazioni nell'organizzazione
della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro ma la cui
applicabilita' non sempre e' risultata agevole, soprattutto nella
Piccola e Media Impresa (PMI). Ciononostante il ruolo centrale
dell'impresa nei processi di valutazione dei rischi e di
organizzazione e gestione della sicurezza e' risultato rafforzato.
Cio' comporta quindi nuove dinamiche anche nei rapporti tra il
sistema delle imprese e quello dello Stato e delle Regioni. Per
quanto concerne il primo, e' necessario che sia completato il
processo di adeguamento alle norme e siano potenziati gli strumenti
della partecipazione previsti dal decreto legislativo n. 626.
Per quanto concerne il sistema pubblico, cui compete il ruolo di
promozione, regolazione, verifica e controllo, si pone l'esigenza di
una strategia di pianificazione e intervento in ordine a una reale
promozione della sicurezza e della salute nelle Piccole e Medie
Imprese. Altrettanto significativa e' la necessita' di una migliore
integrazione con l'attivita' delle Agenzie Regionali per l'ambiente.
Gli infortuni
Il fenomeno infortunistico, nonostante mostri una complessiva
affermazione se osservato sul lungo periodo, appare ancora rilevante
in termini sia di numero di eventi sia di gravita' degli effetti
conseguenti. L'andamento infortunistico dell'anno 2000 mostra una
modesta crescita del numero degli infortuni nell'Industria e Servizi
(+1,2%), con riduzione peraltro degli infortuni mortali, e una
diminuzione in Agricoltura (-7,4%). Tale andamento e' in linea con la
crescita occupazionale registrata nell'ultimo periodo.
I settori a maggior incidenza infortunistica (tenendo conto sia
della frequenza sia della gravita' delle conseguenze), pur con
andamenti non costanti in tutte le regioni, rimangono l'industria del
legno, quella dei metalli, l'industria della trasformazione ed il
settore delle costruzioni.
A conferma di una tendenza degli ultimi anni, una parte assai
rilevante (piu' del 50%) dei 1.354 infortuni mortali e degli
infortuni particolarmente gravi e' stata legata a mezzi di trasporto
e ad incidenti stradali.
Per quel che riguarda il 2001, i dati relativi al primo
trimestre, mostrano un ulteriore crescita degli infortuni
nell'industria e nei servizi, in prevalenza nella popolazione
femminile. Permane il decremento generalizzato in agricoltura.
Altro aspetto rilevante e' quello relativo alla sicurezza dei
lavoratori in «nero». Applicando gli indici infortunistici della
popolazione regolarmente occupata ai dati ISTAT sull'occupazione non
regolare (anno '97) e' stato stimato che il numero degli infortuni
nel «sommerso» sia pari a 165.000 casi. Tale stima appare
conservativa in quanto e' presumibile che le attivita' non regolari
vengano svolte senza alcuna applicazione delle norme di prevenzione.
I dati relativi agli infortuni, su base regionale mostrano il
seguente andamento (Tab. 2):
Tabella 2
Frequenze relative di infortunio (x 1.000 addetti) per
regione e tipo di conseguenza (media triennio 1997-1999)
=====================================================================
Tipo di conseguenza
=====================================================================
| Inabilita' | |
Regioni | temporanea |Inabilita' permanente|Morte
=====================================================================
Industria e Servizi | | |
---------------------------------------------------------------------
Umbria | 52.92 | 3.82 |0.08
---------------------------------------------------------------------
Emilia | 49.63 | 2.21 |0.09
---------------------------------------------------------------------
Marche | 48.81 | 3.01 |0.10
---------------------------------------------------------------------
Friuli-Venezia | | |
Giulia | 49.12 | 2.10 |0.09
---------------------------------------------------------------------
Basilicata | 46.94 | 2.80 |0.14
---------------------------------------------------------------------
Veneto | 47.90 | 1.60 |0.09
---------------------------------------------------------------------
Abruzzo | 43.83 | 2.55 |0.12
---------------------------------------------------------------------
Liguria | 42.57 | 2.69 |0.06
---------------------------------------------------------------------
Puglia | 42.27 | 2.83 |0.15
---------------------------------------------------------------------
Toscana | 41.53 | 2.44 |0.08
---------------------------------------------------------------------
Trentino-Alto Adige | 41.36 | 1.74 |0.07
---------------------------------------------------------------------
Molise | 37.83 | 2.43 |0.15
---------------------------------------------------------------------
Sardegna | 34.81 | 2.21 |0.12
---------------------------------------------------------------------
Valle d'Aosta | 33.92 | 1.51 |0.11
---------------------------------------------------------------------
Piemonte | 33.69 | 1.44 |0.07
---------------------------------------------------------------------
Lombardia | 33.07 | 1.40 |0.06
---------------------------------------------------------------------
Calabria | 28.89 | 2.38 |0.14
---------------------------------------------------------------------
Sicilia | 26.64 | 1.92 |0.10
---------------------------------------------------------------------
Campania | 25.12 | 2.55 |0.13
---------------------------------------------------------------------
Lazio | 25.45 | 1.41 |0.07
---------------------------------------------------------------------
Italia | 37.99 | 1.90 |0.09
Le malattie professionali
Per quanto riguarda le malattie professionali, la loro
valutazione include un rapporto stretto tra lo studio dei rischi
attuali e pregressi e le tendenze in atto nelle patologie legate al
lavoro.
Accanto alle patologie da rischi noti (prevalentemente in
attenuazione), acquistano sempre maggior rilievo le patologie da
rischi emergenti, non necessariamente legate a rischi nuovi, rispetto
alle quali sono iniziati approfondimenti soprattutto negli ultimi
anni. Tra queste si segnalano le patologie dell'arto superiore da
sovraccarico meccanico, le patologie da fattori psico-sociali
associate a stress e la cancerogenesi professionale Tab. 3). Per
quanto riguarda quest'ultima, il recente studio multicentrico europeo
CAREX stima che i lavoratori potenzialmente esposti in Italia a
sostanze cancerogene siano pari al 24% degli occupati, ed e' stimato
in 160.000 il numero di morti per anno dovute a cancro e correlabili
a esposizioni lavorative.
Tabella 3a
Patologie da rischi noti
=====================================================================
Industria | Agricoltura
=====================================================================
Ipoacusie da rumore |Broncopneumopatie
Malattie cutanee |Asma bronchiale
Pneumoconiosi |Alveoliti allergiche
Tabella 3b
Patologie da rischi emergenti
Patologie dell'arto superiore da sovraccarico meccanico
Patologie da fattori psico-sociali associate a stress (burn-out,
mobbing, alterazioni delle difese immunitarie e patologie
cardiovascolari)
Patologie da sensibilizzazione
Patologie da agenti biologici
Patologie da composti chimici (effetti riproduttivi e cancerogeni)
Tumori di origine professionale
Effetti sulla salute dei fattori organizzativi del lavoro
Obiettivi:
riduzione dei rischi per la sicurezza in particolare in quei
settori contrassegnati da un maggior numero di eventi infortunistici
e da una maggiore gravita' degli effetti;
riduzione dei rischi per la salute e progressivo miglioramento
delle condizioni di lavoro;
riduzione dei costi umani ed economici conseguenti ai danni
alla salute dei lavoratori;
riordino, coordinamento e semplificazione in un testo unico
delle norme vigenti in materia di igiene e la sicurezza del lavoro,
nel rispetto delle normative comunitarie e delle prerogative
regionali, al fine dello snellimento delle procedure di applicazione;
promozione di linee guida per l'applicazione della normativa in
settori specifici (PMI, agricoltura, lavori atipici);
potenziamento e coordinamento delle attivita' di prevenzione e
vigilanza rispetto ai processi ed alle procedure di lavoro anche
attraverso il monitoraggio dell'applicazione del decreto legislativo
n. 626;
programmazione delle priorita' d'intervento nei settori piu' a
rischio in funzione degli studi epidemiologici e dei dati provenienti
da un adeguato sistema informativo;
attuazione di programmi per il contrasto del lavoro sommerso e
la tutela della sicurezza e la salute sul lavoro degli impiegati in
lavori atipici;
azioni per la specificita' di genere sul lavoro a tutela delle
lavoratrici;
azioni per l'inserimento o reinserimento lavorativo di
particolari tipologie di lavoratori come i minori, i disabili, i
tossicodipendenti, gli immigrati;
integrazione dei sistemi informativi;
azioni per la formazione dei soggetti deputati alla attuazione
della sicurezza nei luoghi di lavoro (datori di lavoro, addetti alla
sicurezza, medici competenti rappresentanti dei lavoratori) ivi
compreso il personale del Servizio Sanitario Nazionale addetto alla
prevenzione e vigilanza nei luoghi di lavoro;
promozione di programmi di formazione nella scuola;
miglioramento progressivo dei processi di verifica della
qualita' e dell'efficacia delle azioni di prevenzione basata
sull'evidenza;
miglioramento dell'accertamento e dell'evidenziazione delle
malattie professionali;
individuazione di strumenti adeguati di carattere informativo,
tecnico ed economico per la corretta implementazione delle norme.
5. La sicurezza alimentare e la sanita' veterinaria
L'impatto della globalizzazione dei mercati sia sulla sicurezza
degli alimenti sia sulla salute delle popolazioni animali e' stato
considerevole. Il sistema Italia ha registrato notevoli difficolta'
di adattamento rispetto agli scenari che si sono venuti delineando in
seguito alla stipula dell'Accordo sulle misure sanitarie e
fitosanitarie (Accordo SPS) nell'ambito dell'Organizzazione Mondiale
del Commercio. Questi accordi hanno modificato de facto in modo
radicale una serie di impostazioni tradizionali nella gestione della
sicurezza igienico-sanitaria. Tali difficolta' sono, per certi
aspetti, comuni a tutta l'Unione europea, ma in Italia l'adattamento
e' risultato, sotto diversi aspetti, piu' difficile.
Molte energie sono state assorbite dalla necessita' di gestire
una serie di emergenze che si sono succedute negli ultimi anni.
Zoonosi causate da nuovi patogeni ed, in particolare, l'encefalopatia
spongiforme bovina (BSE) hanno costituito un serio problema negli
ultimi anni in Italia e in numerosi altri Stati europei. Altre
recenti crisi sanitarie hanno investito il sistema
agrozootecnico-alimentare, quali la contaminazione da PCB, diossina e
altre sostanze chimiche, nonche' la febbre catarrale degli ovini, la
peste suina classica e l'influenza aviaria.
Nonostante i successi registrati nel fronteggiare questi ed altri
problemi, la realizzazione di una rete di sorveglianza epidemiologica
nazionale (come componente primaria di una politica di gestione del
rischio adeguata alla sfida posta dall'internazionalizzazione dei
mercati), malgrado l'impegno profuso da parte di diverse componenti
del sistema di Sanita' pubblica veterinaria nazionale, non e' ancora
sufficientemente sviluppata.
Una politica di sicurezza degli alimenti, soprattutto per un
Paese come l'Italia, che e' membro della Unione Europea e forte
importatore sia di animali e loro derivati sia di vegetali da tutto
il mondo, deve assumere come riferimento imprescindibile la realta'
del mercato globale delle materie prime e dei prodotti trasformati.
Inoltre, le grandi trasformazioni dei sistemi di produzione e
distribuzione degli alimenti richiedono anche sul piano nazionale e
locale che i metodi e l'organizzazione dei controlli si rinnovino e
si adeguino continuamente.
Il controllo igienico-sanitario degli alimenti, in un contesto di
questo tipo, assume connotati completamente diversi rispetto alla
realta' esistente fino alla meta' degli anni '90. In particolare, i
controlli non sono piu' concentrati sul prodotto, ma sono distribuiti
lungo tutto il processo di produzione «dall'aratro al piatto» e le
garanzie date dal produttore sono parte non esclusiva, ma certamente
determinante del sistema della sicurezza.
In questo senso deve essere inquadrato il recente accordo tra il
Ministro della Salute e la Federazione Italiana Pubblici Esercizi -
Confcommercio, che ha portato alla elaborazione di Linee Guida per la
Certificazione delle imprese di somministrazione di alimenti e
bevande, con l'obiettivo di garantire una maggiore e piu' diffusa
sicurezza alimentare. L'accordo prevede che le aziende di
ristorazione commerciale e collettiva si sottopongano ad una
periodica verifica di conformita' da parte di organismi accreditati,
al cui superamento consegue il rilascio di un marchio, denominato
«Bollino Blu»: questo certifica il rispetto dei requisiti di
sicurezza alimentare e di igiene sanciti dall'accordo, nonche'
l'attivazione della Carta dei Servizi nel cui contesto rientra
l'informazione puntale sugli alimenti nonche' la disponibilita' ad
adattare le preparazioni a corretti stili di vita per la prevenzione
delle malattie metaboliche e delle intolleranze alimentari.
La sicurezza degli alimenti, pertanto, assume in concreto una
dimensione internazionale e puo' essere assicurata solo attraverso
un'azione che non solo si basi su accordi commerciali bi- o
multi-laterali, ma sia capace di influire sulle istanze comunitarie
ed internazionali dove si discutono e si approvano le norme che
regolano la sicurezza e la tutela igienico-sanitaria, degli scambi di
animali, vegetali e prodotti derivati. Paradossalmente, a fronte di
una sempre piu' marcata domanda di autonomia istituzionale dei
livelli locali dei sistemi di controllo, la sicurezza degli alimenti
diventa sempre piu' dipendente dalla capacita' di azione a livello
internazionale.
Per l'Italia che fonda parte importante del successo economico
delle proprie imprese agro-alimentari sulla capacita' di trasformare
materie prime nazionali e di importazione in prodotti di alto pregio
qualitativo da collocare sul mercato dei Paesi piu' avanzati, la
capacita' di assicurare alti livelli di sicurezza delle filiere
produttive diventa non solo elemento determinante per la sicurezza
dei propri consumatori, ma anche per lo sviluppo economico. La
mancanza o la percezione di mancanza di sicurezza igienico-sanitaria
degli alimenti puo' indurre, infatti, sconvolgimenti profondi del
mercato agro-alimentare. La mancanza di fiducia dei consumatori, nel
contesto di una forte competizione, puo' portare a perdite
significative di quote di mercato.
Il sistema dei controlli deve assicurare nel concreto delle
azioni quotidiane la qualita' dei processi, dalla produzione delle
materie prime alla somministrazione, per consentire la libera
circolazione delle merci e la concorrenza sui mercati. In
particolare, i pericoli insiti nei sistemi di produzione devono
essere individuati e eliminati o minimizzati mediante processi
trasparenti e documentati di analisi e gestione del rischio secondo
le norme internazionali e comunitarie che regolano in modo molto
puntuale il controllo della sicurezza degli alimenti, della salute e
del benessere degli animali.
La strategia e gli obiettivi da perseguire, in materia di
sicurezza degli alimenti e delle popolazioni animali, dunque, devono
necessariamente tener conto del contesto internazionale, comunitario
e nazionale. Essi, pertanto, da un lato devono essere tali da
garantire che i fornitori comunitari ed internazionali di animali,
materie prime e prodotti, operino secondo criteri di sicurezza
equivalenti a quelli attesi dai produttori e consumatori italiani.
Dall'altro, l'Italia deve essere in grado di garantire ai consumatori
nazionali ed a quelli dei Paesi che importano le derrate alimentari
prodotte in Italia livelli di sicurezza omogenei del piu' alto
tenore, su tutto il territorio nazionale.
La sicurezza degli alimenti oggi puo' essere assicurata solo
attraverso azioni di prevenzione, eliminazione e mitigazione del
rischio che iniziano nella fase di produzione agricola e si estendono
in modo integrato nelle fasi di trasformazione, distribuzione,
conservazione e somministrazione. Livelli di sicurezza adeguati non
sono raggiungibili se non si adottano misure operative integrate
concertate e verificate a livello internazionale, comunitario,
nazionale e locale.
Gli obiettivi prioritari sono i seguenti:
definire una politica della sicurezza degli alimenti e della
salute e del benessere degli animali basata sulla valutazione e la
gestione del rischio che consenta di uscire gradualmente dalla logica
dell'emergenza, realizzando una politica fondata su obbiettivi di
sicurezza e di salute misurabili e verificati;
ridurre i rischi connessi al consumo degli alimenti ed alle
zoonosi, assicurando alti livelli di sicurezza igienico-sanitaria
degli alimenti ai consumatori italiani;
ridurre l'incidenza delle zoonosi e delle malattie diffusive
nelle popolazioni degli animali domestici, con particolare
riferimento alle infezioni della lista A dell'OIE, alla brucellosi
bovina, ovi-caprina e bufalina ed alla tubercolosi, nonche' alle
encefalopatie spongiformi trasmissibili.
Il perseguimento degli obiettivi posti richiede l'attenzione agli
strumenti organizzativi e l'attuazione di numerosi programmi
operativi. In particolare, e' necessario garantire un sistema che:
fornisca la consulenza ed il supporto tecnico e scientifico per
le attivita' di pianificazione e legislazione nei settori che hanno
un impatto diretto o indiretto sulla sicurezza degli alimenti
destinati all'uomo ed agli animali, nonche' sulla salute ed il
benessere degli animali;
rappresenti l'interfaccia operativa nazionale dell'Autorita'
europea degli alimenti, che ha visto l'avvio con l'inizio del 2002, e
costituisce un importante modello di coordinamento istituzionale dei
diversi soggetti tenuti a collaborare in vista del raggiungimento
dell'obiettivo di sicurezza alimentare nell'Unione Europea.
All'Autorita' europea, soggetto indipendente che agisce secondo il
principio dell'elevata qualita' scientifica e della trasparenza, e'
attribuito il compito fondamentale dell'analisi scientifica del
rischio su cui fondare le decisioni politiche e amministrative.
L'Autorita' Europea cura in particolare l'analisi scientifica e la
valutazione del rischio, la comunicazione del rischio per consentire
una chiara comprensione dello stesso e delle implicazioni sottostanti
e il sistema di allerta;
raccolga e analizzi i dati che permettono la caratterizzazione
ed il monitoraggio dei rischi per la sicurezza alimentare che hanno
un impatto diretto o indiretto sulla sicurezza degli alimenti
destinati all'uomo ed agli animali e sulla salute ed il benessere di
questi ultimi;
assicuri le analisi e valutazioni scientifiche che servono come
base scientifica per l'azione legislativa e regolamentare nei campi
della sicurezza degli alimenti, della salute e del benessere degli
animali;
realizzi un sistema di auditing per la verifica dell'efficacia
del sistema nazionale del controllo ufficiale degli alimenti e delle
popolazioni animali, conformemente ai requisiti stabiliti da norme
riconosciute a livello internazionale (OIE, Codex, ISO EN) che
permettono di misurare la qualita' del servizio/prodotto;
organizzi un sistema per la gestione delle emergenze
veterinarie, soprattutto per quelle ad andamento prevalentemente
diffusivo, coordinato a livello nazionale ed in grado di mobilitare
le risorse necessarie ove occorrano, nei tempi e nei modi adeguati
alle esigenze. Particolare attenzione dovra' essere rivolta agli
strumenti di mobilitazione delle risorse umane ed al reperimento
delle attrezzature necessarie, anche, ove indispensabile, mediante la
mobilitazione della protezione civile ed ai sistemi di abbattimento e
distruzione delle carcasse animali;
migliori in modo significativo il sistema di sorveglianza
epidemiologica nazionale nel settore della sicurezza degli alimenti,
della salute e del benessere degli animali e delle zoonosi,
attui concretamente un programma di formazione straordinario
per favorire la realizzazione di sistemi di gestione ed assicurazione
della qualita' nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale e
assumere comportamenti che assicurino omogeneita' di prestazioni su
tutto il territorio nazionale. In particolare deve essere assicurato
l'accreditamento dei servizi di Sanita' pubblica secondo norme di
assicurazione della qualita' riconosciute a livello internazionale.
L'accreditamento e' indispensabile per poter continuare nel
medio-lungo termine le attivita' di certificazione, indispensabili
per la libera circolazione degli animali e degli alimenti in ambito
internazionale. Le attivita' di formazione devono, inoltre, essere
indirizzate all'introduzione e utilizzazione della sorveglianza
epidemiologica e dell'analisi del rischio.
Nel settore della sicurezza alimentare, piu' che in molti altri
settori, il raggiungimento degli obbiettivi posti e' fortemente
condizionato dal contesto internazionale e comunitario. E'
indispensabile, pertanto, creare le condizioni, sia a livello
nazionale che a livello comunitario ed internazionale, che consentano
il perseguimento degli obbiettivi e delle azioni identificate. In
particolare:
gli obiettivi di sicurezza degli alimenti e di salute e
benessere degli animali devono essere individuati in modo esplicito e
trasparente e verificati sistematicamente, assicurando l'efficace
integrazione del controllo pubblico con l'effettiva attribuzione di
responsabilita' agli operatori economici della produzione primaria,
della trasformazione, e del commercio degli alimenti;
l'attuale revisione delle politiche di sicurezza degli
alimenti, in ambito dell'Unione Europea deve tenere conto delle
peculiarita' del sistema di produzione agro-alimentare dell'Italia;
la partecipazione dell'Italia alle attivita' delle
Organizzazioni internazionali che operano nel campo della sicurezza
degli alimenti e della salute e al benessere degli animali deve
essere rafforzata;
la collaborazione dell'Italia con i Paesi dai quali il sistema
agro-industriale italiano si approvvigiona, deve essere rafforzata,
dando alla cooperazione internazionale un ruolo piu' importante ed
organico.
6. La salute e il sociale
Nessun sistema sanitario, per quanto tecnicamente avanzato, puo'
soddisfare a pieno la propria missione se non e' rispettoso dei
principi fondamentali di solidarieta' sociale e di integrazione
socio-sanitaria.
6.1. Le fasce di poverta' e di emarginazione
Numerosi studi hanno documentato che la mortalita' in Italia,
come in altri Stati, cresce con il crescere dello svantaggio sociale.
Alcuni studi mostrano che le diseguaglianze nella mortalita' non si
riducono nel tempo, anzi sembrano ampliarsi, almeno tra gli uomini
adulti.
Effetti diretti della poverta' e dell'emarginazione sono
misurabili sulla mortalita' delle persone e delle famiglie assistite
dai servizi sociali per problemi di esclusione (malattie mentali,
dipendenze, poverta', disoccupazione), che in alcune zone presentano
uno svantaggio nella aspettativa di vita di 13 anni per gli uomini e
7 per le donne, rispetto al resto della popolazione.
Le cause di morte e di malattia piu' frequentemente associate
alle differenze sociali sono quelle correlate alle dipendenze e al
disagio sociale (droga, alcool e fumo), quelle legate a storie di
vita particolarmente svantaggiate (malattie respiratorie e tumori
allo stomaco), quelle che hanno a che fare con la prevenzione nei
luoghi di lavoro o sulla strada (incidenti), quelle correlate con la
scarsa qualita' dell'assistenza sanitaria (morti evitabili) e, in
minore misura, quelle ischemiche del cuore.
Un'associazione con la condizione socio-economica, misurata in
base al livello d'istruzione della madre, e' stata osservata anche
per il peso alla nascita; la probabilita' di mettere al mondo un
bambino sotto peso risulta 1,5 volte maggiore per le madri con un
basso livello di istruzione (scuola elementare), rispetto alle madri
con un livello di studi universitari.
Per quanto riguarda il ruolo del sistema sanitario sono
documentati svantaggi sociali sia nell'accesso alla prevenzione
primaria e alla diagnosi precoce, sia nell'accesso a cure tempestive
ed appropriate. Per quanto riguarda la prevenzione primaria si
possono citare le diseguaglianze fra il Nord e il Sud d'Italia nella
prevenzione della carie dentaria e nella pratica delle vaccinazioni
obbligatorie nei bambini tra i 12 e i 24 mesi.
Nel campo della prevenzione secondaria occorre ricordare il
minore ricorso allo screening dei tumori femminili delle donne meno
istruite.
Rispetto all'accesso alle cure, merita ricordare le
diseguaglianze nella sopravvivenza per tumori a favore delle sedi che
dispongono di strutture sanitarie in grado di erogare trattamenti
piu' efficaci.
Altri indizi di discriminazione sono ricavabili dall'esame
dell'accesso al by-pass coronarico o alle cure per l'AIDS, o del
ricorso ad una ospedalizzazione inappropriata, che risultano a
vantaggio delle persone di piu' alto stato sociale.
In generale, i gruppi di popolazione che meritano piu'
attenzione, per gli svantaggi sociali che li caratterizzano sono: i
bambini e i ragazzi poveri (0-18 anni), gli anziani poveri (piu' di
65 anni), le madri sole con figli a carico, i disoccupati di lunga
durata (piu' di un anno), i disoccupati giovani (15-24 anni), gli
stranieri immigrati da Paesi poveri a forte pressione migratoria, i
tossicodipendenti, gli alcoolisti e i senza fissa dimora, cioe' da un
lato i gruppi che sono piu' esposti alla marginalita' sociale (si
tratta di bambini, adulti e anziani in difficolta' e in poverta),
dall'altro gli emarginati estremi (i senza fissa dimora), e nel mezzo
le categorie come quelle delle persone affette da una dipendenza (gli
alcoolisti o i tossicodipendenti) e quelle degli stranieri immigrati
che cercano di inserirsi nella societa' italiana con un nuovo
progetto di vita.
Secondo gli obiettivi adottati dall'OMS nel 1999, il divario
nella salute tra diversi gruppi socio-economici dovrebbe essere
ridotto, entro l'anno 2020, di almeno un quarto. In particolare il
divario in termini di aspettativa di vita tra i vari gruppi
socio-economici dovrebbe essere ridotto di almeno il 25%, e i valori
dei principali indicatori di morbilita', disabilita' e mortalita' nei
diversi gruppi socio-economici dovrebbero essere distribuiti piu'
uniformemente. Inoltre, dovrebbero essere migliorate le condizioni
socio-economiche che possono produrre effetti dannosi per la salute,
quali il basso reddito, bassi livelli di istruzione e limitato
accesso al mondo del lavoro, cosi' da ridurre la percentuale di
persone che vivono in poverta'. Infine, i soggetti che hanno bisogni
speciali, in ragione delle proprie condizioni di salute, dovrebbero
essere protetti dall'esclusione e fruire di un agevole accesso a cure
appropriate.
Le azioni prioritarie per conseguire questi obiettivi riguardano
in primo luogo gli interventi sulle cause che generano le
disuguaglianze nella salute soprattutto per quanto riguarda i bambini
in poverta' e le madri sole con figli a carico, i disoccupati, gli
stranieri immigrati ed altri gruppi.
E' ben noto che la lotta alla poverta' e' uno degli strumenti
piu' efficaci per migliorare lo stato di salute. Si tratta, quindi,
di misure di carattere sociale tipiche dello Stato assistenziale per
contrastare la poverta' le quali non rientrano direttamente nella
competenza del Servizio Sanitario Nazionale. E', quindi, molto
importante l'efficace collegamento delle politiche finalizzate alla
riduzione delle disuguaglianze nello stato di salute derivanti dalla
poverta' con le politiche di sviluppo economico e sociale.
Nell'ambito piu' specificamente sanitario si tratta, in
particolare, di assicurare l'accesso ai servizi sanitari superando,
attraverso idonee modifiche organizzative ed appositi programmi di
attivita', le barriere di conoscenza ed, in alcuni casi, linguistiche
che si frappongono alla fruibilita' dei servizi sanitari. Specifici
programmi di formazione e obiettivi di qualita' per il personale
addetto sono auspicabili.
Un'altra serie di interventi di carattere piu' strettamente
sanitario riguarda quelli finalizzati al contenimento dei danni delle
disuguaglianze (specie per gli anziani poveri e i soggetti dipendenti
da sostanze o alcool), nonche' ad interrompere i processi di
esclusione che nascono da problemi di salute, quali
l'istituzionalizzazione degli anziani poveri e la segregazione dei
malati poveri.
Si richiamano qui, in quanto rilevanti, integralmente le analisi
e le proposte sviluppate nel presente Piano in materia di: (i) malati
cronici, anziani e disabili (Parte I, Sezione 2.2); (ii) stili di
vita salutari, prevenzione e comunicazione pubblica sulla salute
(Parte I, Sezione 2.9); (iii) salute mentale (Parte II, Sezione 6.3);
(iv) tossicodipendenze (Parte II, Sezione 6.4); e (v) salute degli
immigrati (Parte II, Sezione 6.6). Prezioso in tale ambito e
specialmente per l'assistenza dei senza fissa dimora, e' la
collaborazione tra le strutture del Servizio Sanitario Nazionale e le
Organizzazioni del volontariato che dispongono di una maggiore
flessibilita' e capacita' di integrazione con questo gruppo di
emarginati. La messa a punto di incentivi a carattere settoriale ed
intersettoriale per facilitare azioni congiunte e' fortemente
auspicabile.
Infine, e' molto importante continuare l'approfondimento dei
determinanti sociali, economici ed ambientali piu' direttamente
collegati con i problemi della salute, associati alla poverta', e la
sistematica valutazione delle diverse iniziative ed opportunita' per
alleviare o rimuovere le difficolta' esistenti.
6.2. La salute del neonato, del bambino e dell'adolescente
Premesso che il Progetto Obiettivo Materno-Infantile del PSN
1998-2000 ancora non ha avuto piena applicazione, pur conservando in
linea di massima la sua validita', vengono focalizzati in questo
capitolo solo alcuni aspetti che riguardano la salute del bambino.
Dal 1975 ad oggi il tasso di mortalita' infantile (morti entro il
primo anno di vita per 1.000 nati vivi) in Italia e' sceso di piu'
del 76%, dal 20,5 del 1975 al 4,9/1.000 del 1999. Si tratta di uno
dei piu' significativi miglioramenti registrati nell'Europa
occidentale durante questo periodo. Tuttavia vi sono ancora notevoli
differenze tra le Regioni italiane: in alcune Regioni meridionali
(Puglia, Sicilia, Basilicata) il tasso di mortalita' infantile nel
1999 era di 7,33/1.000 nati vivi, rispetto al 3,0 delle Regioni con
il tasso di mortalita' piu' basso (Friuli-Venezia Giulia, Liguria,
Lombardia). La mortalita' neonatale (entro le prime quattro settimane
di vita, ed in particolare entro la prima) piu' elevata nelle Regioni
del Centro-Sud, e' responsabile della maggior parte di tale
mortalita'.
Obiettivo fondamentale e' quindi innanzitutto ridurre le
disparita' regionali nei tassi di mortalita' neonatale, avvicinando
la media nazionale a quella della regione con indice di mortalita'
piu' basso. Per quanto riguarda la mortalita' nel primo anno di vita,
le malformazioni congenite rappresentano, insieme alla prematurita',
l'83% di tutte le cause. Confronti sulla base dei registri della
popolazione in alcune aree d'Italia che partecipano alla rete EUROCAT
(«European Registration of Congenital Anomalies»), indicano che il
tasso di malformazioni congenite in Italia e' simile a quello di
altre aree d'Europa.
Nella valutazione dello stato di salute della popolazione
infantile un importante indicatore e' il peso alla nascita dei
neonati a termine. Esso e' influenzato dallo stato sociale e da altri
fattori come il fumo. In Italia il tasso di basso peso alla nascita
nel 1995 era del 4,7% (4,1% maschi e 5,3% femmine, dati ISTAT).
L'incidenza di basso peso alla nascita non e' cambiata in maniera
significativa nel corso degli ultimi 15 anni.
Per raggiungere l'obiettivo adottato dall'OMS per l'anno 2020, la
prevalenza dei bambini sottopeso alla nascita dovrebbe diminuire al
valore globale di 3,8% (3,3% per i maschi e 4,2% per le femmine).
La tutela della salute del prodotto del concepimento deve
iniziare gia' in epoca preconcezionale e deve realizzarsi gia' con il
coinvolgimento dei medici di famiglia, dei pediatri di libera scelta,
della scuola, dei centri di aggregazione sociale e dei mezzi di
comunicazione di massa.
La promozione della salute consiste nel dare corrette
informazioni sul possibile rischio genetico, sulla contraccezione,
sulla necessita' di abolire il fumo, l'alcool e le droghe, sulle
problematiche della nutrizione, sulla necessita' di profilassi con
acido folico e di un supporto sociale ed emozionale tempestivo. Vanno
inoltre date precise informazioni sull'esistenza nel territorio di
reparti e centri ostetrici-neonatologici specificamente indirizzati
all'assistenza delle gravidanze normali e ad alto rischio.
Infatti, un fattore molto importante per prevenire le patologie
del prodotto del concepimento e' certamente la promozione
dell'assistenza preconcezionale al fine di ridurre i fattori di
rischio ed in particolare la prematurita'. L'educazione a
comportamenti corretti in gravidanza, soprattutto per quanto riguarda
il fumo, e' a tal riguardo di fondamentale importanza. Esistono,
inoltre, molte disuguaglianze sul piano organizzativo e gestionale
nelle strutture dove avviene la nascita e questo pesa negativamente
sulla mortalita' perinatale e sugli esiti a distanza (handicap).
Occorre anche ridurre le morti improvvise in culla, prima causa
di mortalita' infantile dopo la prima settimana di vita, attraverso
campagne informative atte a ridurre i fattori di rischio.
Per quanto riguarda il gruppo di eta' tra 1 e 14 anni, il tasso
di mortalita' ha mostrato un importante declino negli ultimi 25 anni,
da 49,9/100.000 all'attuale 19,7. Le maggiori cause di morte in
questo gruppo di eta' sono gli incidenti (5/100.000) e il cancro
(5/100.000). Le differenze geografiche riscontrate in Italia nel 1997
indicano una mortalita' piu' elevata (+14% circa) al Sud che al Nord.
L'obiettivo della riduzione della mortalita' per incidenti, sia
domestici che stradali, deve prevedere misure legislative, di
controllo, ed una forte campagna di prevenzione con misure di
educazione stradale e di sicurezza in casa e nelle scuole.
Le condizioni morbose croniche prevalenti nei bambini e negli
adolescenti sia in Italia che nel resto dell'Europa, con un andamento
in continua crescita, sono l'asma e l'obesita'. E' significativo che
le due condizioni morbose piu' frequenti siano legate a problematiche
ambientali e a comportamenti alimentari errati, rispettivamente: la
prevenzione, in termini di salvaguardia ambientale (con lotta
all'inquinamento e al fumo passivo) e di educazione alimentare nella
popolazione, deve essere l'obiettivo fondamentale della politica
sanitaria per l'immediato futuro.
In Italia si riscontra una bassa percentuale di gravidanze in
eta' adolescenziale (2,25%), paragonabile ai tassi osservati in altri
Paesi europei quali Germania, Danimarca, Finlandia, Svezia e Francia.
I dati riguardanti le Regioni italiane relativi al 1995 mostrano
marcate differenze geografiche: nelle Regioni meridionali si registra
una percentuale piu' elevata di gravidanze in eta' adolescenziale in
confronto alle Regioni del Nord anche se questo avviene nel contesto
di unioni legali.
Obiettivo di questo settore dovra' essere la prevenzione primaria
delle gravidanze non desiderate in eta' adolescenziale con una
appropriata educazione sessuale, che deve vedere coinvolti tutti gli
educatori e il personale sociosanitario, accanto alle famiglie,
nell'ambito di un progetto di educazione volto alla procreazione
responsabile e alla prevenzione delle malattie trasmissibili per via
sessuale.
La rete ospedaliera pediatrica, malgrado i tentativi di
razionalizzazione, appare ancora decisamente ipertrofica rispetto ad
altri Paesi europei, con un numero di strutture pari a 504 nell'anno
1999, mentre la presenza del pediatra dove nasce e si ricovera un
bambino e' garantita nel 50% degli Ospedali, l'attivita' di pronto
soccorso pediatrico e' presente solo nel 30% degli Ospedali. La
guardia medico-ostetrica 24 ore su 24 nelle strutture dove avviene il
parto e' garantita solo nel 45% dei reparti. Inoltre, malgrado la
forte diminuzione della natalita', il numero dei punti nascita e'
ancora molto elevato, 605 in strutture pubbliche o private
accreditate: tra queste poco meno della meta' ha meno di 500 parti
all'anno, soprattutto nelle Regioni del Sud del Paese.
L'attuale organizzazione ospedaliera, insieme alla mancanza di
una continuita' assistenziale sul territorio, ha determinato, nel
1999 un tasso di ospedalizzazione del 119 %, un valore
significativamente piu' elevato rispetto a quello dei Paesi europei,
quali ad esempio il Regno Unito (51 %) e la Spagna (60 %). E'
necessario aggiungere che i fattori sopra indicati hanno una
distribuzione geografica diversa, e sono tra i piu' importanti
determinanti delle differenze interregionali nei tassi di mortalita'
infantile e neonatale a sfavore delle Regioni del Sud, anche sulla
base di differenti sistemi organizzativi e gestionali delle unita'
operative pediatriche.
Gli stessi fattori condizionano anche l'elevato numero di parti
per taglio cesareo nel nostro Paese, ben il 33% nel 1999, piu'
frequenti nelle strutture del Centro-Sud con un basso numero di nati,
fino a raggiungere in Campania il 51%, mentre le Regioni Trentino
Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia hanno una percentuale di parti per
taglio cesareo pari al 20%, valori di poco superiori a quelli
riportati dalla maggior parte dei Paesi dell'Unione Europea. Fattori
economici relativi al sistema di rimborso delle prestazioni come
anche fattori organizzativi del sistema sanitario hanno contribuito
in questi anni ad incrementare il ricorso al parto cesareo, a scapito
di quello per via naturale.
Peraltro, va notato che la pratica del parto indolore ancora non
e' garantita in Italia dal Servizio Sanitario Nazionale, e cio'
induce alcune gravide ad effettuare parto cesareo o a recarsi
all'estero per partorire.
Malgrado la Convenzione Internazionale di New York e la Carta
Europea dei bambini degenti in ospedale (con la risoluzione del
Parlamento Europeo del 1986), ancora piu' del 30% dei pazienti in
eta' evolutiva viene ricoverato in reparti per adulti e non in area
pediatrica. L'area pediatrica e' «l'ambiente in cui il Servizio
Sanitario Nazionale si prende cura della salute dell'infanzia con
caratteristiche peculiari per il neonato, il bambino e
l'adolescente».
Gli obiettivi strategici:
attivare i programmi specifici per la protezione della maternita'
e migliorare l'assistenza ostetrica e pediatrico/neonatologica nel
periodo perinatale;
educare alla salute e all'igiene i giovani e le famiglie, col
contributo essenziale della scuola e degli enti territoriali e dei
servizi socio-assistenziali competenti con particolare riguardo alla
prevenzione dei maltrattamenti, abusi e sfruttamento minorile,
dell'obesita', delle malattie sessualmente trasmesse, con particolare
riguardo alla prevenzione della tossicodipendenza, e degli infortuni
ed incidenti;
valorizzare la centralita' di ruolo del pediatra di libera scelta
e del medico di base nella definizione di percorsi
diagnostico-terapeutici e la sua funzione di educazione sanitaria
individuale;
attivare in ogni Regione il Servizio di trasporto di emergenza
dei neonati e delle gestanti a rischio;
ridurre il tasso di ospedalizzazione con l'obiettivo di ridurlo
del 10% per anno;
elaborare Linee Guida e percorsi diagnostico-terapeutici
condivisi anche in ambito locale con particolare attenzione alle
patologie che comportano il maggior numero di ricoveri in eta'
pediatrica e alle patologie chirurgiche piu' a rischio di interventi
inappropriati;
diminuire la frequenza dei parti per taglio cesareo, e ridurre le
forti differenze regionali attualmente esistenti, arrivando entro il
triennio ad un valore nazionale pari al 20%, in linea con i valori
medi degli altri Paesi europei, anche tramite una revisione dei DRG
relativi;
ottimizzare il numero dei punti nascita;
riqualificare i consultori-ambulatori che operino sul
territorio ed in ospedale gia' in epoca preconcezionale per una
promozione attiva di tutte le iniziative atte a ridurre i rischi
durante la gravidanza;
promuovere campagne informative rivolte alle gestanti e alle
puerpere sulle norme comportamentali di prevenzione quali la
promozione dell'allattamento al seno, l'estensione delle
vaccinazioni, il corretto trasporto in auto del bambino, ricordando
l'importanza della prevenzione della morte in culla del lattante:
posizione nel sonno supina, evitare il fumo di sigaretta e
temperature ambientali elevate.
6.3. La salute mentale
I problemi relativi alla salute mentale rivestono, in tutti i
Paesi industrializzati, un'importanza crescente, perche' la loro
prevalenza mostra un trend in aumento e perche' ad essi si associa un
elevato carico di disabilita' e di costi economici e sociali, che
pesa sui pazienti, sui loro familiari e sulla collettivita'.
Numerose evidenze tratte dalla letteratura scientifica
internazionale segnalano che nell'arco di un anno il 20% circa della
popolazione adulta presenta uno o piu' dei disturbi mentali elencati
nella Classificazione Internazionale delle Malattie
dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'.
Tra i disturbi mentali piu' frequenti vi sono i disturbi d'ansia,
il cui tasso di prevalenza supera il 15%, con un incremento degli
attacchi di panico e delle forme ossessivo-compulsive.
La depressione nelle sue varie forme cliniche colpisce tutte le
fasce d'eta' e il tasso di prevalenza supera il 10%. Spesso
depressione e disturbi d'ansia coesistono. Significativa anche la
prevalenza dei disturbi della personalita' e dei disturbi
dell'alimentazione (anoressia e bulimia). Il tasso di prevalenza
delle psicosi schizofreniche, che rappresentano senza dubbio uno dei
piu' gravi disturbi mentali, e' pari a circa lo 0,5%.
Occorre considerare, inoltre, i disturbi mentali che affliggono
la popolazione anziana, soprattutto le demenze nelle loro diverse
espressioni. Va segnalata, infine, la complessa problematica relativa
alle condizioni di comorbidita' tra disturbi psichiatrici e disturbi
da abuso di sostanze e tra disturbi psichiatrici e patologie
organiche (con particolare riferimento alle patologie
cronico-degenerative: neoplasie, infezione da HIV, malattie
degenerative del Sistema Nervoso Centrale).
Recenti studi hanno documentato che molti disturbi mentali
dell'eta' adulta sono preceduti da disturbi dell'eta'
evolutiva-adolescenziale. In particolare, l'8% circa dei bambini e
degli adolescenti presenta un disturbo mentale, che puo' determinare
difficolta' interpersonali e disadattamento; non va dimenticato che
il suicidio rappresenta la seconda causa di morte tra gli
adolescenti.
Le condizioni cliniche citate presentano un differente indice di
disabilita': i disturbi ansioso-depressivi, pur numerosi, possono,
quando appropriatamente trattati, presentare una durata e gradi di
disabilita' non marcati, anche se alcuni casi di sindrome
ossessivo-compulsiva o di agorafobia sono seriamente invalidanti.
D'altro canto le psicosi (schizofreniche, affettive e le
depressioni maggiori ricorrenti) impegnano i servizi sanitari e
sociali in maniera massiccia, per via della gravita', del rischio di
suicidio, della lunga durata e delle disabilita' marcate che le
caratterizzano.
Nel nostro Paese, il processo di adeguamento dell'assistenza
psichiatrica alle necessita' reali dei malati ed agli orientamenti
piu' attuali della sanita' pubblica, avviato con la legge 23 dicembre
1978, n. 833, ha determinato l'integrazione dell'assistenza
psichiatrica nel Servizio Sanitario Nazionale, l'orientamento
comunitario dell'assistenza alle persone con disturbi mentali, il
superamento del modello custodialistico rappresentato dall'Ospedale
Psichiatrico.
Le aree critiche che si rilevano nella tutela della salute
mentale, al momento attuale, sono:
la disomogenea distribuzione dei Servizi sul territorio
nazionale, con particolare riferimento ai Servizi Psichiatrici di
Diagnosi e Cura ospedalieri, ai Centri Diurni ed alle Strutture
Residenziali per attivita' riabilitative, insieme ad una mancanza di
coordinamento fra i servizi sociali e sanitari per l'eta' evolutiva,
i servizi per gli adulti ed i servizi per i soggetti anziani;
la mancanza di un numero adeguato di Strutture residenziali per
le condizioni psichiatriche che prevedono una piu' elevata intensita'
e durata dell'intervento riabilitativo;
la carenza di sistemi informativi nazionali e regionali per il
monitoraggio quali-quantitativo delle prestazioni erogate e dei
bisogni di salute della popolazione;
la scarsa diffusione delle conoscenze scientifiche in materia
di interventi basati su prove di efficacia e la relativa adozione di
Linee Guida da parte dei servizi, nonche' di parametri per
l'accreditamento delle strutture assistenziali pubbliche e private;
la presenza di pregiudizi ed atteggiamenti di esclusione
sociale nella popolazione;
la scarsa attenzione alla prevenzione primaria e secondaria, ai
problemi della salute mentale in eta' evolutiva e nell'eta' «di
confine», che si concretizza in un'offerta di servizi insufficiente
ed alla quale e' utile rispondere anche con il contributo, almeno in
fase sperimentale, di strutture accreditate del privato sociale ed
imprenditoriale;
la carente gestione delle condizioni di comorbidita' tra
disturbi psichiatrici e disturbi da abuso di sostanze, e tra disturbi
psichiatrici e patologie organiche;
la scarsa attenzione alla presenza di disturbi mentali nelle
carceri. Tale evidenza segnala l'importanza della sperimentazione in
corso in alcune Regioni sulla base di quanto previsto dal Decreto
Legislativo 22 giugno 1999, n. 230, e dal relativo progetto
obiettivo, anche ai fini della valutazione della rispondenza del
modello organizzativo ivi delineato.
Gli obiettivi strategici da realizzare sono rappresentati da:
la riduzione dei comportamenti suicidari, con particolare
attenzione all'eta' adolescenziale e a quella anziana;
la riduzione delle interruzioni non concordate di trattamento,
mediante attuazione di programmi terapeutico-riabilitativi
multidisciplinari integrati in risposta ai bisogni di salute mentale
dei pazienti e delle famiglie;
la riduzione dei tempi d'attesa per l'accesso ai trattamenti,
ivi compresi quelli psicoterapici;
il miglioramento delle conoscenze epidemiologiche sui bisogni
di salute mentale nella popolazione e sull'efficacia degli
interventi;
la promozione della salute mentale nell'intero ciclo della
vita, garantendo l'integrazione tra servizi sanitari e sociali -
pubblici e del privato sociale ed imprenditoriale - con particolare
riferimento agli interventi a favore dei soggetti maggiormente a
rischio;
la cooperazione dei servizi di salute mentale con soggetti non
istituzionali (Associazioni dei familiari, dei pazienti,
volontariato, Associazioni di Advocacy), il privato sociale ed
imprenditoriale;
la promozione dell'informazione e della conoscenza sulle
malattie mentali nella popolazione, al fine di:
1) realizzare interventi di prevenzione primaria e secondaria
(informazione sui disturbi mentali, sui servizi, collegamenti tra le
strutture sanitarie, i servizi sociali, le scuole, le associazioni di
volontariato);
2) incrementare la lotta allo stigma verso la malattia
mentale e la promozione di una maggiore solidarieta' nei confronti
delle persone affette da disturbi mentali gravi;
3) diffondere e sviluppare la cultura del volontariato,
dell'associazionismo, dell'auto-aiuto, per uno sforzo congiunto nella
cura delle malattie mentali.
Inoltre e' necessario pianificare azioni volte a:
ridurre le disomogeneita' nella distribuzione dei servizi
all'interno del territorio nazionale superando le discrepanze
esistenti tra il nord e il sud del Paese ed all'interno delle singole
realta' regionali;
concludere il processo di superamento dei manicomi pubblici e
privati superando, finalmente, qualunque approccio custodialistico;
pianificare interventi di prevenzione, diagnosi precoce e
terapia dei disturbi mentali in eta' infantile ed adolescenziale
attivando stretti collegamenti funzionali tra strutture a carattere
sanitario (neuropsichiatria infantile, dipartimento
materno-infantile, pediatria di base), ed altri servizi sociali ed
Istituzioni a carattere educativo, scolastico e giudiziario;
assicurare la presa in carico e la continuita' terapeutica dei
problemi di salute mentale del paziente, qualunque sia il punto di
accesso;
promuovere la formazione e l'aggiornamento continuo di tutto il
personale operante nel campo della salute mentale;
attuare interventi di sostegno ai gruppi di auto-aiuto di
familiari e di pazienti;
attivare interventi per la prevenzione e cura del disagio
psichico nelle carceri, secondo quanto previsto dal Decreto
Legislativo 22 giugno 1999, n. 230;
aumentare l'accessibilita' dei servizi, superando procedure
farraginose e burocratiche, per garantire tempestivita' nelle
risposte;
migliorare l'assetto del DSM ai fini di una maggiore
flessibilita' nell'attuazione dei percorsi di cura, soprattutto per i
pazienti affetti da disturbi mentali gravi;
rinforzare la rete di interventi domiciliari, anche in
situazioni di urgenza, e sviluppare una forte continuita'
terapeutico-assistenziale;
incrementare la dotazione di strutture semiresidenziali e
residenziali, a differente gradiente di intensita' riabilitativa e
assistenziale, finalizzate agli interventi sulle disabilita' ed
all'integrazione familiare e sociale;
sviluppare strategie di intervento precoce, al fine di ridurre
il tempo che intercorre tra l'esordio della patologia e la presa in
carico, migliorando cosi' sensibilmente le prospettive di guarigione;
definire in modo piu' appropriato le procedure per gli
accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori, specificando le
responsabilita' e le titolarita' dell'intervento, senza abbassare i
livelli di garanzia per il paziente ma rinforzandoli in relazione al
diritto all'accesso ad una cura tempestiva ed efficace;
mettere in atto programmi adeguati per il sostegno alle
famiglie ai fini di non disperdere risorse e relazioni che sono
fondamentali nei processi di cura;
coniugare gli aspetti organizzativi con la possibilita' che il
paziente sia partecipe ad ogni livello del programma d'intervento,
anche attraverso la scelta consapevole del luogo di cura e del
curante per migliorare la adesione al trattamento;
mettere in campo nuovi strumenti per l'integrazione sociale e
lavorativa del paziente, nel contesto del tessuto sociale e non in
surrogati di esso, superando barriere e stigmatizzazioni che ancora
oggi riducono le opportunita' per pazienti e familiari;
migliorare il funzionamento in rete dei servizi, pubblici e
privati, puntando all'integrazione e all'incremento della qualita'
dell'assistenza erogata;
favorire il coinvolgimento dei pazienti e delle associazioni
dei familiari nella individuazione delle priorita' e nella verifica
di efficienza dei servizi;
sviluppare adeguate iniziative di formazione ed aggiornamento,
per migliorare costantemente la competenza e la motivazione degli
operatori.
6.4. Le tossicodipendenze
In un tessuto sociale, educativo e culturale fortemente segnato
dalla crisi della famiglia e dai modelli di deresponsabilizzazione
individuale e talora istituzionale, nonche' di solitudine subita e
talora ricercata, la diffusione dei vari tipi di droghe interessa un
numero considerevole di giovani e di giovanissimi troppo spesso
inconsapevoli dei pericoli cui vanno incontro, ma anche privi di
stimoli ed orientamenti positivi per la propria vita.
Adeguate strategie pubbliche contro la droga richiedono che le
Amministrazioni dello Stato promuovano una cultura istituzionale
idonea a contrastare l'idea della sostanziale innocuita' delle droghe
e l'atmosfera di «normalita» in cui il loro uso, non di rado, si
diffonde determinando un pericoloso abbassamento dell'allarme
sociale, fattori questi che contribuiscono a determinare un oggettivo
vantaggio per il mercato criminale nell'offerta di droghe.
Asse portante della nuova linea di politica sociale in materia di
droghe dovra' essere, pertanto, la considerazione che la
tossicodipendenza e l'uso delle sostanze illecite non possono essere
fronteggiati con scelte tecnico-politiche fondate sul puro controllo
farmacologico del problema. Si correrebbe in tal caso, e purtroppo si
e' corso, il rischio di contribuire al rafforzamento di una
condizione invalidante e di dipendenza cronica, rinunciando a
perseguire l'obiettivo del pieno recupero personale e sociale della
persona.
Nel corso del mese di novembre 2001, di fronte al Comitato
Interministeriale di Coordinamento per l'azione anti-droga,
costituito ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n.
309 del 1990, si e' insediato il Commissario straordinario di
Governo, in qualita' di responsabile del Dipartimento Nazionale per
le Politiche Antidroga, che avra' il compito di coordinare le
politiche e le competenze oggi distribuite in diversi Ministeri,
cosi' da progettare un Piano Nazionale piu' incisivo ed efficace.
Le azioni e gli interventi indicati di seguito sono quelli
contenuti nel Piano predisposto e approvato dal Governo il
14 febbraio 2002, che avranno attuazione con il coinvolgimento di
tutte le componenti istituzionali direttamente interessate.
Alla luce dei dati piu' recenti e' possibile affermare che il
fenomeno della tossicodipendenza riguarda oggi, in misura largamente
prevalente, l'uso contemporaneo di piu' sostanze, dalle cosiddette
droghe leggere, alle amfetamine, all'eroina e alla cocaina.
E' anche accertato come l'eta' del primo approccio con le
sostanze sia in continua e progressiva diminuzione: recenti ricerche
hanno posto in evidenza come essa sia collocabile, per la stragrande
maggioranza dei consumatori di droghe, fra gli 11 e i 17 anni, con la
media della «prima esperienza» stabilizzata ormai al di sotto dei 13
anni.
Dai dati ufficiali risulta inoltre che:
il consumo di eroina, nonostante in alcune zone del Paese il
trend dei nuovi consumatori di tale sostanza sia in contrazione, e'
in aumento, specialmente attraverso nuove modalita' di assunzione
(fumo, inalazione);
continua il progressivo aumento, peraltro gia' rilevato, del
consumo di cocaina, che da droga di «elite» si e' trasformata
rapidamente in una droga di massa. L'assunzione della sostanza
riguarda, infatti, fasce sempre piu' diversificate e giovani di
utilizzatori;
si evidenzia un costante aumento dei consumi di «ecstasy» e di
amfetamine, come indirettamente confermato dall'aumento esponenziale
dei sequestri di questo tipo di droghe;
il consumo di cannabinoidi coinvolge ormai, secondo le
statistiche piu' attendibili, oltre un terzo degli adolescenti ed e'
un comportamento considerato «normale» da una parte consistente
dell'opinione pubblica, dei mezzi di informazione e perfino da alcuni
soggetti istituzionali.
Panorama internazionale.
L'andamento del fenomeno negli altri Paesi dell'Unione Europea
non si discosta significativamente dalla situazione italiana con
punte di forte diffusione del consumo di sostanze sintetiche in Gran
Bretagna e nei Paesi Bassi, di cannabis in Francia e Spagna e di
eroina in Germania.
Al fine di contrastare tale situazione, e facendo seguito agli
impegni sottoscritti in occasione dell'Assemblea generale dell'ONU
(giugno 1998), il Consiglio Europeo ha adottato ufficialmente (giugno
2000) un Piano d'Azione sulle droghe per gli anni 2000-2004,
indicando con precisione i seguenti sei obiettivi strategici ed
impegnando i Paesi aderenti al loro integrale recepimento:
ridurre in misura rilevante, nell'arco di cinque anni, il
consumo di droghe illecite e il numero di nuovi consumatori,
soprattutto tra i giovani di eta' inferiore ai diciotto anni;
abbassare in misura sostanziale l'incidenza dei danni causati
alla salute dall'uso di sostanze stupefacenti nonche',
conseguentemente, anche il numero di decessi correlati all'uso di
droghe;
aumentare in misura rilevante il numero dei tossicodipendenti
sottoposti con successo a trattamento;
diminuire considerevolmente la reperibilita' di droghe
illecite;
ridurre in misura significativa il numero di reati correlati
alla droga;
contrastare in maniera sempre piu' efficace il riciclaggio di
denaro sporco ed il traffico illecito delle sostanze chimiche
impiegate nella produzione di droghe.
Il contesto nazionale.
Nel nostro Paese risultano attivi 555 SerT (Servizi per le
Tossicodipendenze), che hanno in carico 150.400 soggetti
tossicodipendenti; tale dato presenta un aumento di circa il 2,2%
rispetto all'anno precedente. La maggioranza degli utenti dei SerT
(81,4 %) e' dipendente principalmente da eroina, mentre i soggetti
che fanno uso solamente di cannabis, ecstasy e cocaina costituiscono
una percentuale del tutto irrilevante.
Nelle strutture socio-riabilitative residenziali e
semi-residenziali, gestite nella maggioranza dei casi da soggetti del
privato sociale, risultano invece assistiti 19.465 soggetti; tale
valore manifesta una diminuzione di circa l'1% rispetto all'anno
precedente.
Per quanto riguarda gli utenti dei SerT i dati mostrano una
costante crescita dei trattamenti farmacologici con metadone,
trattamenti che superano ormai la meta' dei casi seguiti (51,2%
rispetto al 49,5% del 1999 e al 43% del 1995). All'interno dei
trattamenti metadonici aumentano inoltre i casi di «terapia di lunga
durata» (30,9% nel 2001 rispetto al 27 del 1999) a scapito di quelli
a breve termine (8,5% nel 2001 rispetto al 10,2% del 1999).
I dati sopra riferiti evidenziano, in sostanza, come l'approccio
farmacologico alla tossicodipendenza rappresenti la principale
attivita' svolta dai SerT.
Le nuove politiche del Governo in materia di tossicodipendenza.
Il Governo italiano intende dare piena attuazione al piano di
azione comunitario e degli indirizzi ONU in materia di riduzione
della domanda e dell'offerta di droga, potenziando, in coerenza con
quanto affermato nel DPEF 2002-2006, le iniziative orientate alla
prevenzione della tossicodipendenza, al recupero del valore della
persona nella sua interezza e al suo reinserimento a pieno titolo
nella societa' e nel mondo del lavoro.
Prevenzione del disagio giovanile e delle dipendenze.
Gli interventi di prevenzione debbono rappresentare il punto
centrale delle politiche sociali.
Occorre, in particolare, ampliare e diversificare le tipologie di
intervento e rivolgerle in modo efficace ad una piu' vasta platea di
soggetti destinatari, considerato che il disagio giovanile non
riguarda ormai piu' «categorie a rischio», ma puo' prodursi in
maniera del tutto asintomatica e poi esplodere in forme di devianza
imprevedibile, tra le quali, appunto, l'uso di sostanze stupefacenti
e/o psicotrope.
In tale ottica risulta, quindi, indispensabile definire un
sistema coordinato ed integrato di interventi, che coinvolgano la
societa' civile nel suo insieme e, in particolare, le principali
agenzie educative: famiglia e scuola.
Gli interventi debbono pertanto essere orientati, pur nelle
differenti specificita' e contesti di riferimento, sia al sostegno
della progettualita' e dell'autonomia dei giovani (in alternativa al
modello massificante della droga) e alla realizzazione di un patto di
intenti tra famiglia e scuola, nell'interesse del futuro dei giovani,
libero dall'uso di qualunque sostanza.
I progetti dovranno essere orientati a:
promuovere lo sviluppo integrale della persona;
offrire occasioni di miglioramento dei processi di
partecipazione attiva e di riconoscimento della propria identita';
contribuire a creare consapevolezza e capacita' decisionali ed
imprenditoriali nei giovani;
offrire concrete occasioni di inserimento nel mondo della
formazione e del lavoro;
qualificare la vita in termini complessivi, come valore
insostituibile.
Per quanto riguarda, poi, le campagne informative, si intende
fare riferimento a dati e ricerche autorevoli, scientificamente
credibili e facilmente «acquisibili» dai giovani, evitando messaggi
approssimativi e contraddittori. Una campagna di prevenzione non puo'
ovviamente basarsi sulla sola informazione. Non ci si puo', infatti,
limitare a spiegare la formula chimica di una droga ed i suoi
effetti, ma occorre promuovere e illustrare stili di vita
responsabili e rispettosi di se' e degli altri.
Gli obiettivi della campagna informativa nazionale di prevenzione
devono pertanto essere quelli di ridurre il consumo di droghe,
promuovere stili di vita responsabili, valorizzare tra i giovani,
coloro che non praticano comportamenti a rischio e fornire
intelligente e valido sostegno a tutte le agenzie educative.
Strutture socio-riabilitative.
Le Istituzioni intendono assicurare la disponibilita' dei
principali trattamenti relativi alla cura e alla riabilitazione
dall'uso di sostanze stupefacenti e garantire la liberta' di scelta
del cittadino/tossicodipendente e della sua famiglia di intraprendere
i programmi riabilitativi presso qualunque struttura autorizzata su
tutto il territorio nazionale, sia essa pubblica che del privato
sociale.
I tossicodipendenti in carcere.
Un problema prioritario e' rappresentato dalle migliaia di
detenuti tossicodipendenti ai quali occorre garantire il diritto di
accedere, se ne fanno richiesta e secondo le normative vigenti, a
percorsi riabilitativi alternativi alla detenzione. Si dovranno,
pertanto, snellire le procedure amministrative e potenziare le
presenze di educatori e volontari all'interno delle strutture
penitenziarie, per motivare il maggior numero di tossicomani detenuti
a scegliere la strada del cambiamento e della riabilitazione. Si
rende, infine, necessaria la realizzazione di specifiche strutture «a
custodia attenuata», inserite nel quadro del Dipartimento di
Amministrazione Penitenziaria, gestite in collaborazione con le
realta' del privato sociale e propedeutiche al successivo inserimento
delle persone in programmi riabilitativi «drug-free», sia presso il
carcere che in comunita' vigilate.
Reinserimento lavorativo.
Un Piano di azione efficace e completo contro le dipendenze deve
necessariamente prevedere la fase fondamentale del reinserimento
lavorativo di coloro che hanno concluso con successo un programma di
riabilitazione dalla tossicodipendenza. A tal fine il Governo intende
incentivare i programmi riabilitativi che prevedano e/o includano,
fra le finalita', azioni di formazione professionale orientate a
facilitare l'inserimento nel mondo del lavoro degli
ex-tossicodipendenti.
Sono stati, in proposito, prioritariamente individuati i seguenti
interventi:
applicazione dell'Atto di Intesa Stato-Regioni, laddove esso
prevede «programmi di formazione ed avviamento al lavoro dei
tossicodipendenti tramite l'inserimento in attivita' interne alle
comunita' o in realta' esterne nell'ambito di accordi predefiniti»;
inclusione degli ex-tossicodipendenti tra le «categorie
svantaggiate» previste dal comma 1, dell'art. 4 della legge
8 novembre 1991, n. 381, in materia di Cooperative Sociali;
incentivazione all'avviamento di attivita' imprenditoriali da
parte di ex-tossicodipendenti;
ampliamento e miglioramento della normativa che prevede congrui
periodi di aspettativa per i lavoratori che si sottopongono ad un
programma riabilitativo in una struttura riconosciuta, eliminando la
disparita' di trattamento tra i diversi contratti pubblici e privati.
In sintesi quindi l'azione in questo campo deve tenere conto di
due direttrici strategiche:
la prima direttrice si snoda sulla valorizzazione delle buone
esperienze gia' in atto nel sistema pubblico e nel privato sociale
accreditato in materia di prevenzione, trattamento, cura e recupero
del tossicodipendente;
la seconda direttrice prevede, da parte del Ministero della
Salute:
1) l'assunzione - nell'ambito delle linee strategiche
definite dal «Programma triennale del Governo per la lotta alla
produzione, al traffico, allo spaccio ed al consumo di sostanze
stupefacenti e psicotrope 2002-2004», e degli indirizzi definiti dal
Dipartimento nazionale per le politiche anti-droga istituito presso
la Presidenza del Consiglio dei Ministri - di un ruolo di
coordinamento del settore rispetto agli altri Ministeri coinvolti
(Lavoro e Politiche Sociali, Istruzione, Beni Culturali,
Comunicazioni, Giustizia, Interno);
2) la creazione del necessario raccordo programmatico con le
Regioni, in quanto titolari di competenza in materia di
tossicodipendenze; cio' dovra' aver luogo nel rispetto e
valorizzazione dei legami specifici con il territorio che ciascuna
Regione ha gia' in atto con il servizio pubblico e privato
accreditato;
3) l'attivazione di momenti di verifica, valutazione e
coordinamento delle informazioni inerenti i dati, gli indicatori
sanitari e sociali, i risultati, le azioni svolte, sia dal sistema di
risposta pubblico sia da parte di tutto il privato sociale.
In conclusione si possono identificare i seguenti obiettivi
prioritari:
promuovere la partecipazione delle associazioni delle famiglie
sin dal momento programmatorio, prevedendone il coinvolgimento nella
logica dell'integrazione interistituzionale;
inserire nel programma di abbattimento dell'uso e dell'abuso,
oltreche' le sostanze illegali, anche la tematica della prevenzione
dell'alcoolismo (soprattutto giovanile) e del tabagismo e estendere
l'azione anche a settori innovativi di intervento come le dipendenze
comportamentali (es.: gioco d'azzardo);
attivare programmi di prevenzione e informazione nella scuola;
promuovere e attivare sperimentazioni e ricerche su effetti,
danni e patologie derivati da uso e abuso di sostanze stupefacenti;
produrre Linee Guida e protocolli terapeutici per gli
interventi in campo sociale e sanitario;
attivare sinergie con le Forze dell'Ordine sia sulla
repressione del fenomeno sia, soprattutto, sul loro ruolo
fondamentale di prevenzione attraverso le informazioni, le analisi e
i collegamenti internazionali;
concordare con le Regioni le modalita' per il recupero globale
della persona evitando quando possibile il ricorso esclusivo alla
terapia farmacologica di lunga durata;
attivare il monitoraggio delle informazioni e della
comunicazione dei mass media e delle campagne della stampa
quotidiana.
6.5. La sanita' penitenziaria
Nell'anno 2000 le persone detenute erano 53.340 (51.074 uomini e
2.266 donne), nonostante le infrastrutture avessero una
disponibilita' di 35.000 posti distribuiti nei 200 istituti
esistenti. Dei suddetti detenuti 13.668 (25,63%) erano
extracomunitari, 14.602 (27,38%) tossicodipendenti, di cui 1.548
(2,9% dei detenuti) sieropositivi per HIV (9,8% dei sieropositivi in
AIDS conclamata), oltre 4.000 (7,5%) sofferenti di turbe psichiche e
695 (1,3%) alcooldipendenti.
Nel 1999 la sanita' penitenziaria ha subito profonde
modificazioni a seguito dell'emanazione del Decreto Legislativo
22 giugno 1999, n. 230, che stabilisce il trasferimento al Servizio
Sanitario Nazionale delle competenze in tema di assistenza sanitaria
ai detenuti e agli internati.
Le funzioni sanitarie svolte dall'amministrazione penitenziaria
con riferimento ai soli settori della prevenzione e dall'assistenza
ai detenuti e agli internati tossicodipendenti sono gia' state
trasferite al Servizio Sanitario Nazionale.
Tra le problematiche sanitarie di piu' vasto impatto in ambito
penitenziario, individuate anche dal Progetto Obiettivo, vi sono le
malattie infettive (specialmente epatiti virali, HIV, tubercolosi,
scabbia e dermatofitosi), le tossicodipendenze e la salute mentale.
E' indispensabile prevedere misure di prevenzione, sistemi di
sorveglianza e modalita' di trattamento. Per contrastare tali
patologie e' di primaria importanza migliorare la formazione degli
operatori sanitari e degli agenti di polizia penitenziaria e
l'informazione dei detenuti.
La crescente presenza nelle carceri di cittadini provenienti da
altri Paesi rende opportuno prevedere la presenza di mediatori
culturali, persone qualificate non soltanto sul piano linguistico, ma
anche culturale, che consentano di superare le difficolta' nei
rapporti con i detenuti.
Obiettivi prioritari in questo campo sono i seguenti:
attivare programmi di prevenzione primaria per la riduzione del
disagio ambientale e rendere disponibili programmi di riabilitazione
globale della persona;
attivare programmi per la riduzione dell'incidenza delle
malattie infettive fra i detenuti;
migliorare la qualita' delle prestazioni di diagnosi, cura e
riabilitazione a favore dei detenuti.
6.6. La salute degli immigrati
Al 1° gennaio 2001 gli stranieri ufficialmente registrati dal
Ministero dell'Interno erano in Italia 1.338.153. Se si aggiungono ad
essi i richiedenti il permesso di soggiorno, il numero complessivo di
stranieri regolarmente presenti sul territorio risulta di 1.686.606
persone, pari a circa il 2,9% dell'intera popolazione italiana (la
media europea e' del 5,1%). Il 27% degli immigrati proviene dai Paesi
dell'Europa centro-orientale, il 29,1% dall'Africa settentrionale, il
7,3% dall'Asia centro meridionale, il 10,5% dall'Asia orientale. Il
67% circa ha una eta' compresa tra 19 e 40 anni; il numero dei minori
e' stimato intorno al 15% e gli ultrasessantenni sono circa il 10%.
Meno del 45% degli stranieri e' di sesso femminile. La presenza
irregolare e' stata stimata ufficialmente dal Governo pari a circa
400.000 unita' sulla base del numero di domande di regolarizzazione
presentate entro il termine del 15 dicembre 1998 sulla base della
legge n. 40 del 1998.
Negli ultimi anni i flussi dall'Europa dell'Est, in particolare
ex-Yugoslavia, Polonia e Albania, sono fortemente cresciuti,
superando quelli del Nord Africa, prevalenti fino a poco tempo fa. Il
fenomeno dei «ricongiungimenti familiari» sta rapidamente
riequilibrando la composizione per eta' e genere degli stranieri
immigrati, che ancora agli inizi degli anni '90 era prevalentemente
rappresentata da giovani adulti maschi.
Il tempo intercorso dal momento della migrazione configura
esperienze di svantaggio molto diverse. In prossimita'
dell'immigrazione prevalgono il trauma del distacco dalla casa e dal
Paese di origine e le condizioni di estremo disagio nella ricerca di
un tetto e di un lavoro, di relazioni sociali, di affetti, e di un
riconoscimento giuridico. In questa fase, gli immigrati condividono
con gli italiani senza fissa dimora condizioni di svantaggio estremo.
In un secondo momento, diventano piu' importanti le difficolta'
di integrazione o di interazione e convivenza con la cultura ospite e
con il sistema dei servizi e le difficolta' di apprendere la lingua
accrescono le barriere alla fruizione dei servizi ed alla
soddisfazione delle necessita' quotidiane.
Osservando il flusso di utilizzo di alcuni servizi sanitari da
parte degli stranieri, si evidenzia una sostanziale mancanza di
elasticita' dell'offerta di servizi, a fronte dei nuovi problemi di
salute di questi nuovi gruppi di clienti.
Tra i 25.000 bambini nati da almeno un genitore straniero sono
piu' frequenti la prematurita', il basso peso alla nascita, la
mortalita' neonatale e i calendari vaccinali sono effettuati in
ritardo o in modo incompleto specie nelle popolazioni nomadi.
Per quanto riguarda la salute della donna, i temi emergenti sono
l'alto tasso di abortivita', la scarsa informazione (con conseguente
ridotta domanda di assistenza alla gravidanza), la presenza di
mutilazioni genitali femminili. Un'indagine coordinata dall'Istituto
Superiore di Sanita' ha evidenziato che le I.V.G. effettuate da donne
straniere sono passate da 4.500 nel 1980 a 20.500 nel 1998, con un
trend fortemente decrescente dalle eta' piu' giovani a quelle in eta'
piu' avanzate.
Anche la percentuale dei casi di tubercolosi in cittadini
stranieri e' in costante aumento; secondo i dati dell'Istituto
Superiore di Sanita' essa e' passata dall'8,1% nel 1992 al 16,6% nel
1998. Questa tendenza e' confermata anche da altri studi
epidemiologici europei effettuati dall'International Centre for
Migration and Health dell'OMS. Questa patologia colpisce pazienti
irregolari che vivono in condizioni igienico-abitative peggiori sia
rispetto alla popolazione generale sia rispetto agli stranieri con
regolare permesso di soggiorno.
Una maggiore frequenza, in confronto alla popolazione italiana,
dei ricoveri causati da traumatismi (5,7% negli stranieri, 4,8% negli
italiani), segnalata dalle schede di dimissione ospedaliera, potrebbe
essere la spia di un maggior numero di incidenti sul lavoro ai quali
vanno incontro i lavoratori immigrati. L'analisi delle schede di
dimissione ospedaliera mostra, inoltre, tra le cause piu' frequenti
di ricovero quelle legate alla patologia della gravidanza (7,3% dei
ricoveri nelle straniere, 3,2% nelle italiane), alle infezioni delle
vie aeree (3,1% negli stranieri di cui 0,8% per tubercolosi, 1,8%
negli italiani, di cui 0,1% per tubercolosi), agli aborti indotti
(1,7% nelle straniere, 0,5% nelle italiane).
Nel quadro dei molteplici interventi necessari per superare
l'emarginazione degli immigrati bisognosi, un importante aspetto e'
quello di assicurare l'accesso delle popolazioni immigrate al
Servizio Sanitario Nazionale adeguando l'offerta di assistenza
pubblica in modo da renderla visibile, facilmente accessibile,
attivamente disponibile e in sintonia con i bisogni di questi nuovi
gruppi di popolazione, in conformita' a quanto previsto dal testo
unico sulla immigrazione che ha sancito il diritto alle cure urgenti
ed essenziali e alla continuita' della cura anche per gli immigrati
irregolari. In tale contesto, sono necessari, fra l'altro, sia
interventi di tipo informativo dell'utenza immigrata sull'offerta dei
servizi da parte delle ASL che l'individuazione all'interno di
ciascuna ASL di unita' di personale esperte e particolarmente idonee
per questo tipo di rapporti.
Altre azioni prioritarie riguardano i seguenti aspetti:
migliorare l'assistenza alle donne straniere in stato di
gravidanza e ridurre il ricorso alle I.V.G.;
ridurre l'incidenza dell'HIV, delle malattie sessualmente
trasmesse e delle tubercolosi tramite interventi di prevenzione
mirata a questa fascia di popolazione;
raggiungere una copertura vaccinale della popolazione infantile
immigrata pari a quella ottenuta per la popolazione italiana;
ridurre gli infortuni sul lavoro tra i lavoratori immigrati,
tramite gli interventi previsti a tal fine per i lavoratori italiani.
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