Piano sanitario nazionale 2003 - 2005

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    Piano sanitario nazionale 2003 - 2005

    IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
    Visto l'art. 1, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre
    1992, n. 502, e successive modificazioni, che demanda al Governo la
    predisposizione e l'adozione del Piano sanitario nazionale, sentite
    le Commissioni parlamentari competenti per materia e le
    Confederazioni sindacali maggiormente rappresentative, d'intesa con
    la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28
    agosto 1997, n. 281;
    Visto l'art. 8 del citato decreto legislativo n. 281 del 1997;
    Vista la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;
    Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in
    data 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla
    Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2002, recante individuazione
    dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'art. 1, comma 6, del
    decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive
    modificazioni;
    Viste le osservazioni delle Regioni formulate dalla Conferenza
    dei presidenti delle regioni e delle Province autonome nella seduta
    della Conferenza Stato-Regioni del 20 giugno 2002;
    Acquisito il parere delle Confederazioni sindacali maggiormente
    rappresentative;
    Acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari
    della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
    Preso atto dell'intesa intervenuta nell'ambito della Conferenza
    permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
    autonome di Trento e di Bolzano, unificata con la Conferenza
    Stato-citta' ed autonomie locali nella seduta del 15 aprile 2003;
    Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella
    riunione del 18 aprile 2003;
    Sulla proposta del Ministro della salute, di concerto con i
    Ministri per gli affari regionali e dell'economia e delle finanze;
    Decreta:
    Art. 1.
    1. E' approvato il Piano sanitario nazionale 2003-2005 nel testo
    risultante dall'atto di intesa tra Stato e Conferenza unificata, di
    cui all'allegato.
    Il presente decreto, previa registrazione da parte della Corte
    dei conti, sara' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
    italiana.
    Dato a Roma, addi' 23 maggio 2003
    CIAMPI
    Berlusconi, Presidente del Consiglio
    dei Ministri
    Sirchia, Ministro della salute
    La Loggia, Ministro per gli affari
    regionali
    Tremonti, Ministro dell'economia e
    delle finanze
    Visto, il Guardasigilli: Castelli
    Registrato alla Corte dei conti il 13 giugno 2003
    Ufficio di controllo preventivo sui Ministeri dei servizi alla
    persona e dei beni culturali, registro n. 4, foglio n. 113





    PIANO SANITARIO NAZIONALE 2003-2005
    ----
    I N D I C E
    il quadro di riferimento

    |I nuovi scenari e i fondamenti del Servizio sanitario
    1. |nazionale
    ---------------------------------------------------------------------
    1.1. |Il primo Piano sanitario nazionale dopo il cambiamento
    ---------------------------------------------------------------------
    1.1.1.|L'etica del sistema
    ---------------------------------------------------------------------
    |Dalla sanita' alla salute: la nuova visione ed i principi
    1.2. |fondamentali

    Parte Prima: I dieci progetti per la strategia del cambiamento

    2. |I dieci progetti per la strategia del cambiamento
    ---------------------------------------------------------------------
    |Attuare, monitorare e aggiornare l'accordo sui livelli
    |essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste
    2.1. |di attesa
    ---------------------------------------------------------------------
    |Promuovere una rete integrata di servizi sanitari e sociali
    |per l'assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai
    2.2. |disabili
    ---------------------------------------------------------------------
    |La cronicita', la vecchiaia, la disabilita': una realta'
    |della societa' italiana che va affrontata con nuovi mezzi e
    2.2.1. |strategie
    ---------------------------------------------------------------------
    2.2.2. |Le sfide per il Servizio sanitario nazionale
    ---------------------------------------------------------------------
    |Garantire e monitorare la qualita' dell'assistenza sanitaria
    2.3. |e delle tecnologie biomediche
    ---------------------------------------------------------------------
    |Potenziare i fattori di sviluppo (o {capitali}) della
    2.4. |sanita'
    ---------------------------------------------------------------------
    |Realizzare una formazione permanente di alto livello in
    2.5. |medicina e sanita'
    ---------------------------------------------------------------------
    |Promuovere l'eccellenza e riqualificare le strutture
    2.6. |ospedaliere
    ---------------------------------------------------------------------
    |Promuovere il territorio quale primaria sede di assistenza e
    2.7. |di governo dei percorsi sanitari e socio-sanitari
    ---------------------------------------------------------------------
    2.7-bis.|Potenziare i Servizi di urgenza ed emergenza
    ---------------------------------------------------------------------
    |Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella
    2.8. |sui servizi sanitari
    ---------------------------------------------------------------------
    |Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la
    2.9. |comunicazione pubblica sulla salute
    ---------------------------------------------------------------------
    |Promuovere un corretto impiego dei farmaci e la
    2.10. |farmacovigilanza

    Parte Seconda: Gli obiettivi generali

    3. |La promozione della salute
    ---------------------------------------------------------------------
    3.1. |Vivere a lungo, vivere bene
    ---------------------------------------------------------------------
    3.2. |Combattere le malattie
    ---------------------------------------------------------------------
    3.2.1. |Le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari
    ---------------------------------------------------------------------
    3.2.2. |I tumori
    ---------------------------------------------------------------------
    3.2.3. |Le cure palliative
    ---------------------------------------------------------------------
    3.2.4. |Il diabete, le malattie metaboliche
    ---------------------------------------------------------------------
    3.2.5. |I disturbi del comportamento alimentare
    ---------------------------------------------------------------------
    3.2.6. |Le malattie respiratorie e allergiche
    ---------------------------------------------------------------------
    3.2.7. |Le malattie reumatiche ed osteoarticolari
    ---------------------------------------------------------------------
    3.2.8. |Le malattie rare
    ---------------------------------------------------------------------
    3.2.9. |Le malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione
    ---------------------------------------------------------------------
    |La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e le
    3.2.10.|malattie a trasmissione sessuale
    ---------------------------------------------------------------------
    3.3. |Ridurre gli incidenti e le invalidita'
    ---------------------------------------------------------------------
    3.4. |Sviluppare la riabilitazione
    ---------------------------------------------------------------------
    3.5. |Migliorare la medicina trasfusionale
    ---------------------------------------------------------------------
    3.6. |Promuovere i trapianti di organo
    ---------------------------------------------------------------------
    4. |L'ambiente e la salute
    ---------------------------------------------------------------------
    4.1. |I cambiamenti climatici e le radiazioni ultraviolette
    ---------------------------------------------------------------------
    4.2. |L'inquinamento atmosferico
    ---------------------------------------------------------------------
    4.2.1. |L'amianto
    ---------------------------------------------------------------------
    4.2.2. |Il benzene
    ---------------------------------------------------------------------
    4.3. |La carenza dell'acqua potabile e l'inquinamento
    ---------------------------------------------------------------------
    4.4. |Le acque di balneazione
    ---------------------------------------------------------------------
    4.5. |L'inquinamento acustico
    ---------------------------------------------------------------------
    4.6. |I campi elettromagnetici
    ---------------------------------------------------------------------
    4.7. |Lo smaltimento dei rifiuti
    ---------------------------------------------------------------------
    |Pianificazione e risposta sanitaria in caso di eventi
    4.8. |terroristici ed emergenze di altra natura
    ---------------------------------------------------------------------
    4.9 |Salute e sicurezza nell'ambiente di lavoro
    ---------------------------------------------------------------------
    5. |La sicurezza alimentare e la sanita' veterinaria
    ---------------------------------------------------------------------
    6. |La salute e il sociale
    ---------------------------------------------------------------------
    6.1. |Le fasce di poverta' e di emarginazione
    ---------------------------------------------------------------------
    6.2. |La salute del neonato, del bambino e dell'adolescente
    ---------------------------------------------------------------------
    6.3. |La salute mentale
    ---------------------------------------------------------------------
    6.4. |Le tossicodipendenze
    ---------------------------------------------------------------------
    6.5. |La sanita' penitenziaria
    ---------------------------------------------------------------------
    6.6. |La salute degli immigrati

    ----
    IL QUADRO DI RIFERIMENTO
    1. I nuovi scenari e i fondamenti del Servizio sanitario nazionale
    1.1. Il primo Piano sanitario nazionale dopo il cambiamento
    Il Piano 2003-2005 e' il primo ad essere varato in uno scenario
    sociale e politico radicalmente cambiato.
    La missione del Ministero della salute si e' significativamente
    modificata da «pianificazione e governo della sanita» a «garanzia
    della salute» per ogni cittadino. Il Servizio sanitario nazionale e'
    un importante strumento di salute, ma non e' l'unico: infatti il
    benessere psico-fisico si mantiene se si pone attenzione agli stili
    di vita, evitando quelli che possono risultare nocivi.
    Per quanto riguarda lo scenario politico-istituzionale, il
    recente decentramento dei poteri dallo Stato alle Regioni sta
    assumendo l'aspetto di una reale devoluzione. Il decentramento fa
    parte da tempo degli obiettivi della sanita' italiana ed era gia'
    presente fra le linee ispiratrici della legge 23 dicembre 1978, n.
    833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, come del riordino
    degli anni '90, nell'ambito del quale veniva riconosciuto alla
    Regione un ruolo fondamentale nella programmazione, organizzazione e
    gestione dei servizi sanitari.
    La fase attuale rappresenta un ulteriore passaggio dal
    decentramento dei poteri ad una graduale ma reale devoluzione,
    improntata alla sussidiarieta', intesa come partecipazione di diversi
    soggetti alla gestione dei servizi, partendo da quelli piu' vicini ai
    cittadini.
    Significativi passi in avanti sono stati realizzati con la
    modifica del titolo V della Costituzione e, nella seconda meta' del
    2001, con l'Accordo tra Stato e Regioni (8 agosto 2001), alcuni punti
    del quale sono stati recepiti con il successivo decreto attuativo,
    convertito in legge (decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, e legge
    16 novembre 2001, n. 405).
    La legge costituzionale recante «Modifiche al titolo V della
    parte seconda della Costituzione», varata dal Parlamento l'8 marzo
    2001 e approvata in sede di referendum confermativo il 7 ottobre
    2001, ha introdotto i principi della potesta' di legislazione
    concorrente dello Stato e delle Regioni e della potesta'
    regolamentare delle Regioni in materia di sanita'.
    Rientra nella competenza esclusiva dello Stato la «determinazione
    dei Livelli Essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
    e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
    nazionale» (art. 117), definiti secondo quanto stabilito nel novembre
    2001 a stralcio del Piano sanitario nazionale con le procedure
    previste dal decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito poi
    nella legge 16 novembre 2001, n. 405, ferma restando la tutela della
    salute che la Repubblica garantisce ai sensi dell'art. 32 della
    Costituzione. In altri termini lo Stato formula i principi
    fondamentali, ma non interviene sul come questi principi ed obiettivi
    saranno attuati, perche' cio' diviene competenza esclusiva delle
    Regioni.
    Il ruolo dello Stato in materia di sanita' si trasforma, quindi,
    da una funzione preminente di organizzatore e gestore di servizi a
    quella di garante dell'equita' sul territorio nazionale.
    In tale contesto i compiti del Ministero della salute saranno
    quelli di:
    garantire a tutti l'equita' del sistema, la qualita',
    l'efficienza e la trasparenza anche con la comunicazione corretta ed
    adeguata;
    evidenziare le disuguaglianze e le iniquita' e promuovere le
    azioni correttive e migliorative;
    collaborare con le Regioni a valutare le realta' sanitarie e a
    migliorarle;
    tracciare le linee dell'innovazione e del cambiamento e
    fronteggiare i grandi pericoli che minacciano la salute pubblica.
    Nonostante i risultati raggiunti negli ultimi decenni siano
    apprezzabili in termini di maggiore aspettativa di vita e di minore
    prevalenza delle patologie piu' gravi, ulteriori e piu' avanzati
    traguardi e miglioramenti vanno perseguiti nella qualificazione
    dell'assistenza, nell'utilizzo piu' razionale ed equo delle risorse,
    nell'omogeneita' dei livelli di prestazione e nella capacita' di
    interpretare meglio la domanda e i bisogni sanitari.
    Inoltre, non va dimenticato che la popolazione anziana nel nostro
    Paese e' cresciuta e cresce di numero piu' che in altri Paesi europei
    e che e' aumentato il peso delle risorse private investite nella
    salute, sia da parte delle famiglie che del terzo settore e di altri
    soggetti privati.
    Al Piano sanitario nazionale e' affidato il compito di delineare
    gli obiettivi da raggiungere per attuare la garanzia costituzionale
    del diritto alla salute e degli altri diritti sociali e civili in
    ambito sanitario. Tali obiettivi si intendono conseguibili nel
    rispetto dell'Accordo dell'8 agosto 2001, come integrato dalle leggi
    finanziarie per gli anni 2002 e 2003 e nei limiti e in coerenza dei
    programmati Livelli Essenziali di Assistenza di cui al decreto del
    Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 e successive
    integrazioni.
    Cio' avviene, peraltro, in coerenza con l'Unione europea e le
    altre Organizzazioni internazionali, quali l'Organizzazione Mondiale
    della Sanita' (OMS) e il Consiglio d'Europa, che elaborano in modo
    sistematico gli obiettivi di salute e le relative strategie.
    La competenza dell'Unione europea, in materia sanitaria, e' stata
    ulteriormente rafforzata dal Trattato di Amsterdam del 1997, entrato
    in vigore nel 1999, secondo il quale il Consiglio dell'Unione
    europea, deliberando con la procedura di co-decisione, puo' adottare
    provvedimenti per fissare i livelli di qualita' e sicurezza per
    organi e sostanze di origine umana, sangue ed emoderivati nonche',
    nei settori veterinario e fitosanitario, misure il cui obiettivo
    primario sia la protezione della sanita' pubblica.
    Nel mese di settembre 2002 e' entrato in vigore il nuovo
    Programma di Azione Comunitario nel settore della sanita' pubblica
    2003-2008, che individua tra le aree orizzontali di azione
    comunitaria:
    la lotta contro i grandi flagelli dell'umanita', le malattie
    trasmissibili, quelle rare e quelle legate all'inquinamento;
    la riduzione della mortalita' e della morbilita' correlate alle
    condizioni di vita e agli stili di vita;
    l'incoraggiamento ad una maggiore equita' nella sanita'
    dell'Unione europea (U.E.), da perseguire attraverso la raccolta,
    analisi e distribuzione delle informazioni;
    la reazione rapida a pericoli che minacciano la salute
    pubblica;
    la prevenzione sanitaria e la promozione della salute.
    Anche in questo campo, con i commi secondo e quarto dell'art. 117
    del novellato titolo V della Costituzione, alle Regioni sono state
    affidate nuove competenze in materia comunitaria, sia nella fase
    ascendente di formazione degli atti normativi comunitari sia
    nell'attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli
    atti dell'Unione europea.
    Il ruolo del PSN e' significativo in questa prospettiva, tenuto
    conto anche della recente elaborazione della «strategia sociale»
    comunitaria avviata dal Consiglio Europeo di Lisbona, proseguita con
    quello di Nizza ed esplicitata dalla decisione n. 50/2002/CE del
    Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 dicembre 2001, che
    istituisce un programma d'azione comunitaria per incoraggiare la
    cooperazione tra gli Stati membri al fine di combattere
    l'emarginazione sociale e, con la piu' ampia accezione, di garantire
    la coesione sociale in Europa.
    Il Piano sanitario nazionale 2003-2005 tiene conto degli
    obiettivi comunitari in tema di salute e del necessario coordinamento
    con i programmi dell'Unione europea.
    Per rispondere alle esigenze del nuovo scenario il PSN si
    articola in due parti:
    la prima specifica gli obiettivi strategici di salute;
    la seconda individua le linee di sviluppo per gli altri
    obiettivi generali di salute.
    L'efficacia del Piano dipende dall'attuazione di una produttiva
    cooperazione fra i diversi livelli di responsabilita', e per quanto
    di competenza, comuni e province, chiamati a:
    trasformare gli obiettivi in progetti specifici e ad attuarli;
    investire nella qualificazione delle risorse umane;
    adottare soluzioni organizzative e gestionali innovative ed
    efficaci;
    adeguare gli standard quantitativi e qualitativi;
    garantire i Livelli Essenziali di Assistenza su tutto il
    territorio nazionale.
    In questo senso e' necessaria una impostazione intersettoriale
    delle politiche per la tutela della salute, che contempli anche le
    politiche sociali, ambientali ed energetiche, quelle del lavoro,
    della scuola e dell'istruzione, delle politiche agricole e di quelle
    produttive: la tutela della salute, pertanto, si persegue attraverso
    una strategia coordinata di interventi delle diverse istituzioni per
    rispondere pienamente ed in maniera specifica ai nuovi bisogni di
    salute dei cittadini.
    In sintesi, alla luce dei cambiamenti politici e giuridici
    avvenuti e di quelli tuttora in corso, il presente Piano sanitario
    nazionale 2003-2005 si configura come un documento di indirizzo e di
    linea culturale, piu' che come un progetto che stabilisce tempi e
    metodi per il conseguimento degli obiettivi, in quanto questi aspetti
    operativi rientrano nei poteri specifici delle Regioni, cui il
    presente Piano e' diretto e con le quali e' stato costruito.
    1.1.1. L'etica del sistema.
    La necessita' di garantire ai cittadini un sistema sanitario equo
    diviene sempre piu' urgente per il nostro Paese. L'equita' dovrebbe
    guidare le politiche sanitarie, ma nel dibattito e' stata finora
    sottovalutata, uscendo spesso perdente nel conflitto con
    l'efficienza. Si sono create cosi' diverse iniquita' di sistema che
    vanno dalle differenze quali-quantitative nei servizi erogati in
    varie aree del Paese, alle disuniformi e lunghe liste d'attesa anche
    per patologie che non possono aspettare, allo scarso rispetto per il
    malato, agli sprechi e all'inappropriatezza delle richieste e delle
    prestazioni, al condizionamento delle liberta' di scelta dei malati,
    alla insufficiente attenzione posta al finanziamento e all'erogazione
    dei servizi per cronici ed anziani. Iniquita' genera iniquita' e le
    lunghe liste di attesa innescano talvolta il sistema perverso della
    raccomandazione, per cui il servizio puo' risultare ottimo o
    accettabile per una parte dei cittadini, ma non altrettanto buono per
    altri.
    Nel 1999 un gruppo di esperti anglosassoni, il cosiddetto Gruppo
    di Tavistock, ha sviluppato alcuni principi etici di massima che si
    rivolgono a tutti coloro che hanno a che fare con la sanita' e la
    salute e che, non essendo settoriali, si distinguono dai codici etici
    elaborati dalle singole componenti del sistema (medici, enti).
    Nel 2000 i cosiddetti 7 principi di Tavistock di seguito
    riportati sono stati aggiornati e offerti alla considerazione
    internazionale.
    1) Diritti. I cittadini hanno diritto alla salute e alle azioni
    conseguenti per la sua tutela.
    2) Equilibrio. La cura del singolo paziente e' centrale, ma anche
    la salute e gli interessi della collettivita' vanno tutelati. In
    altri termini non si puo' evitare il conflitto tra interesse dei
    singoli e interesse della collettivita'. Ad esempio, la
    somministrazione di antibiotici per infezioni minori puo' giovare al
    singolo paziente, ma nuoce alla collettivita' perche' aumenta la
    resistenza dei batteri agli antibiotici.
    3) Visione olistica del paziente, che significa prendersi cura
    di tutti i suoi problemi e assicurargli continuita' di assistenza
    (dobbiamo sforzarci continuamente di essere ad un tempo specialisti e
    generalisti).
    4) Collaborazione degli operatori della sanita' tra loro e con il
    paziente, con il quale e' indispensabile stabilire un rapporto di
    partenariato: «Nulla che mi riguardi senza di me» e' il motto del
    paziente che dobbiamo rispettare (Maureen Bisognano, Institute of
    Health Care Improvement, Boston).
    5) Miglioramento. Non e' sufficiente fare bene, dobbiamo fare
    meglio, accettando il nuovo e incoraggiando i cambiamenti
    migliorativi. Vi e' ampio spazio per migliorare, giacche' tutti i
    sistemi sanitari soffrono di «overuse, underuse, misuse» delle
    prestazioni (uso eccessivo, uso insufficiente, uso improprio).
    6) Sicurezza. Il principio moderno di «Primum non nocere»
    significa lavorare quotidianamente per massimizzare i benefici delle
    prestazioni, minimizzarne i danni, ridurre gli errori in medicina.
    7) Onesta', trasparenza, affidabilita', rispetto della dignita'
    personale sono essenziali a qualunque sistema sanitario e a qualunque
    rapporto tra medico e paziente.
    Altri due principi che alcuni propongono di aggiungere ai 7
    sopraelencati sono la responsabilizzazione di chi opera in sanita' e
    la libera scelta del paziente.
    A questi principi il Piano sanitario nazionale intende ispirarsi,
    proponendo azioni concrete e progressive per la loro attuazione, dal
    momento che e' compito dello Stato garantire ai cittadini i diritti
    fondamentali sanciti dalla Costituzione.
    1.2. Dalla sanita' alla salute: la nuova visione ed i principi
    fondamentali
    La nuova visione della transizione dalla «sanita» alla «salute»
    e' fondata, in particolare, sui seguenti principi essenziali per il
    Servizio sanitario nazionale, che rappresentano altresi' i punti di
    riferimento per l'evoluzione prospettata:
    il diritto alla salute;
    l'equita' all'interno del sistema;
    la responsabilizzazione dei soggetti coinvolti;
    la dignita' ed il coinvolgimento «di tutti i cittadini»;
    la qualita' delle prestazioni;
    l'integrazione socio-sanitaria;
    lo sviluppo della conoscenza e della ricerca;
    la sicurezza sanitaria dei cittadini.
    Il diritto alla salute e alle cure, indipendentemente dal
    reddito, costituisce da tempo parte integrante dei principi che
    costituiscono l'ossatura del patto sociale, ma non ha trovato fino ad
    oggi attuazione sufficiente. Nella nuova visione, esso costituisce un
    obiettivo prioritario. Pertanto e' indispensabile, garantire i
    Livelli Essenziali di Assistenza, concordati fra Stato e Regioni,
    assicurare un'efficace prevenzione sanitaria e diffondere la cultura
    della promozione della salute.
    L'equita' negli accessi ai servizi, nell'appropriatezza e nella
    qualita' delle cure e' un fondamentale diritto da garantire. Troppo
    spesso accade che, a parita' di gravita' ed urgenza, l'assistenza
    erogata sia diversificata a seconda del territorio, delle
    circostanze, delle carenze strutturali e organizzative e di altri
    fattori. In particolare, e' necessario ridurre al minimo la mobilita'
    dei pazienti derivante dalla carenza nel territorio di residenza di
    strutture sanitarie idonee a fornire le prestazioni di qualita'
    richieste.
    La responsabilizzazione piena dei soggetti e delle istituzioni
    incaricati di organizzare ed erogare le prestazioni di cura e'
    fondamentale per promuovere concreti percorsi di salvaguardia delle
    garanzie. In questo senso va sviluppata la piena consapevolezza di
    tutti, in relazione alla complessita' dei bisogni, agli obblighi che
    discendono dal patto costituzionale, alla sempre maggiore ampiezza
    delle possibili risposte in termini professionali e tecnologici e
    alla necessita' di modulare gli interventi sulla base delle linee di
    indirizzo comuni e degli obiettivi prioritari del sistema, nel
    rispetto rigoroso delle compatibilita' economiche.
    La dignita' e la partecipazione di tutti coloro che entrano in
    contatto con i servizi e di tutti i cittadini costituisce nella nuova
    visione della salute un principio imprescindibile, che comprende il
    rispetto della vita e della persona umana, della famiglia e dei
    nuclei di convivenza, il diritto alla tutela delle relazioni e degli
    affetti, la considerazione e l'attenzione per la sofferenza, la
    vigilanza per una partecipazione quanto piu' piena possibile alla
    vita sociale da parte degli ammalati e la cura delle relazioni umane
    tra operatori ed utenti. Il cittadino e la sua salute devono essere
    al centro del sistema, unitamente al rispetto dei principi etici e
    bioetici per la tutela della vita, che sono alla base della
    convivenza sociale.
    La qualita' delle prestazioni deve essere perseguita per il
    raggiungimento di elevati livelli di efficienza ed efficacia
    nell'erogazione dell'assistenza e nella promozione della salute. E',
    inoltre, necessario garantire l'equilibrio fra la complessita' ed
    urgenza delle prestazioni ed i tempi di erogazione delle stesse,
    riducendo la lunghezza delle liste di attesa. La crescita e la
    valorizzazione professionale degli operatori sanitari e' un requisito
    essenziale che deve essere assicurato tramite la formazione
    permanente ed altri meccanismi di promozione.
    L'integrazione tra i servizi sanitari e quelli sociali a livello
    locale e' indispensabile cosi' come la collaborazione tra Istituzioni
    e pazienti e la disponibilita' delle cure specialistiche e
    riabilitative domiciliari per i pazienti cronici, i malati terminali,
    i soggetti deboli e coloro che non sono totalmente autosufficienti;
    inoltre, e' molto rilevante, sotto il profilo sociale, concorrere
    allo sviluppo di forme di supporto ai familiari dei pazienti.
    Lo sviluppo della conoscenza nel settore della salute, attraverso
    la ricerca biomedica e sanitaria, e' fondamentale per vincere le
    nuove sfide derivanti, in particolare, dalle malattie attualmente non
    guaribili, attraverso nuove procedure diagnostiche e terapie
    efficaci.
    La sicurezza sanitaria dei cittadini e' stata messa in evidenza
    in tutta la sua importanza anche dai recenti drammatici avvenimenti
    connessi al terrorismo. La sanita' di questi anni non puo' quindi
    prescindere dal comprendere tra gli elementi costitutivi della nuova
    visione quello dello sviluppo di strategie e strumenti di gestione
    dei rischi, di precauzione rispetto alle minacce, di difesa e
    prevenzione, nonche' ovviamente di cura degli eventuali danni.
    Il raggiungimento di tutti i suddetti obiettivi necessita della
    misurazione e della valutazione comparativa dei risultati ottenuti,
    sul versante sia quantitativo sia qualitativo. Non e' infatti
    possibile assicurare pari dignita' e pari trattamento a tutti gli
    utenti senza disporre di strumenti per la verifica del lavoro fatto e
    della qualita' raggiunta nelle varie realta'. La soddisfazione degli
    utenti e la loro corretta informazione, la qualita' delle
    prestazioni, i risultati ottenuti in termini clinici e sociali,
    nonche' il rapporto tra costi e risultati devono costituire una parte
    significativa degli obiettivi da raggiungere e delle misurazioni e
    valutazioni da effettuare in modo comparativo fra le diverse realta'
    territoriali.
    A seguire, in questa Parte prima, si descrivono le linee di
    pensiero e di azione per l'attuazione dei progetti per la strategia
    del cambiamento, mentre gli obiettivi generali del Servizio sanitario
    nazionale sono trattati nella Parte seconda.
    Parte Prima
    I DIECI PROGETTI
    PER LA STRATEGIA DEL CAMBIAMENTO
    2. I dieci progetti per la strategia del cambiamento
    2.1. Attuare, monitorare ed aggiornare l'accordo sui livelli
    essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste di attesa
    Il primo frutto concreto dell'Accordo stipulato tra il Governo e
    le Regioni in materia sanitaria l'8 agosto 2001 e' costituito dalla
    definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza, da assicurare e
    garantire su tutto il territorio nazionale.
    Tale definizione e' costruita sui seguenti fondamentali principi:
    il livello dell'assistenza erogata, per essere garantita, deve
    poter essere misurabile tramite opportuni indicatori;
    le prestazioni, che fanno parte dell'assistenza erogata, non
    possono essere considerate essenziali se non sono appropriate;
    l'appropriatezza delle prestazioni e' collegata al loro
    corretto utilizzo e non alla tipologia della singola prestazione,
    fatte salve quelle poche considerate non strettamente necessarie;
    gli indicatori di appropriatezza vengono calcolati ai diversi
    livelli di erogazione del servizio (territorio, Ospedale, ambiente di
    lavoro) e verificano la correttezza dell'utilizzo delle risorse
    impiegate in termini di bilanciamento qualita-costi.
    L'introduzione dei Livelli Essenziali di Assistenza costituisce
    l'avvio di una nuova fase per la tutela sanitaria, in quanto per la
    prima volta si da' seguito all'esigenza, emersa da anni, di garantire
    ai cittadini un servizio sanitario omogeneo in termini di quantita' e
    qualita' delle prestazioni erogate e di individuare il corretto
    livello di erogazione dei servizi resi.
    La definizione dei LEA, prima con l'Accordo del 22 novembre 2001
    poi con l'adozione degli stessi con il decreto del Presidente del
    Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001, in attuazione dell'art.
    6 della legge n. 405/2001 ha definito i confini a carico del SSN
    utilizzando due concetti principali:
    a) quello di servizi «essenziali», intesi come accettabili sul
    piano sociale nonche' tecnicamente appropriati ed efficaci, in quanto
    fondati sulle prove di evidenza ed erogati nei modi economicamente
    piu' efficienti;
    b) quello delle «liste negative» consistente nell'individuare
    precisamente cio' che non deve piu' essere erogato con finanziamenti
    a carico del SSN.
    Il significato innovativo dell'introduzione dei LEA e' consistito
    nell'aver definito i diritti sanitari dei cittadini in modo
    complessivo e non in termini residuali (anche per questo i LEA non
    possono esser definiti come livelli minimi) e nell'aver introdotto
    uno strumento per il governo dell'evoluzione del SSN e non un
    semplice modo per ridimensionare la spesa.
    La messa a punto di tale strumento tuttavia ha portato alla luce
    alcune aree di complessita' tra le quali si ritiene opportuno
    segnalare le seguenti:
    i) appropriatezza clinico-assistenziale e organizzativa che
    richiede un processo continuo che va sostenuto sistematicamente da
    parte del livello centrale, regionale, aziendale e professionale del
    SSN per gli aspetti di relativa competenza, per migliorare l'impiego
    delle risorse e la qualita' dei servizi, anche in rapporto alla
    introduzione di nuove tecnologie;
    ii) integrazione socio-sanitaria che richiede di individuare
    ulteriori fonti di finanziamento per le prestazioni che sono state
    escluse totalmente o parzialmente dai LEA.
    La definizione dei livelli di assistenza e' un primo importante
    passo di un percorso che richiede la verifica, sul territorio,
    dell'effettiva erogazione degli stessi e dei relativi costi, a
    garanzia dell'equita' della tutela della salute sul territorio e
    dell'efficienza del sistema.
    In attuazione dell'accordo in materia di spesa sanitaria, sancito
    dalla Conferenza Stato-Regioni l'8 agosto 2001, e' stato istituito,
    nell'ambito della Conferenza Stato-Regioni, il Tavolo di monitoraggio
    e verifica sui LEA effettivamente erogati e sulla corrispondenza ai
    volumi di spesa stimati e previsti, cui sono affidati i compiti
    indicati ai punti 15 degli accordi Governo-Regioni dell'8 agosto
    2001, 5.2 dell'accordo del 22 novembre 2001 sui LEA e lettera a)
    dell'accordo del 14 febbraio 2002 sulle modalita' di accesso alle
    prestazioni diagnostiche e terapeutiche e indirizzi applicativi sulle
    liste di attesa.
    Nel tavolo di monitoraggio e verifica vengono anche definiti
    specifici criteri di monitoraggio all'interno del sistema di garanzie
    introdotto dall'art. 9 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n.
    56, per assicurare trasparenza, confrontabilita' e verifica
    dell'assistenza erogata attraverso i LEA con un sistema di indicatori
    essenziali, pertinenti e caratterizzati da dinamicita' e
    aggiornamento continuo.
    L'accordo del 22 novembre 2001 prevede, inoltre, la costituzione
    di un organismo nazionale ad hoc, cui affidare l'aggiornamento delle
    prestazioni erogate sotto il profilo tecnico-scientifico, valutando
    periodicamente quelle da mantenere, escludere o includere ex novo,
    senza alterarne il profilo economico finanziario. Con la legge
    15 giugno 2002, n. 112, tale organismo e' stato individuato ed
    istituito quale Commissione (C-LEA), per le attivita' di valutazione
    in relazione alle risorse definite, dei fattori scientifici,
    tecnologici ed economici relativi alla definizione ed aggiornamento
    dei LEA e delle prestazioni in esso contenute.
    Con il collegato alla finanziaria 2003 e' stata istituita una
    Commissione unica per i dispositivi medici, cui e' affidato un
    compito di aggiornamento del repertorio dei dispositivi medici e di
    classificazione dei prodotti in classi e sottoclassi specifiche con
    l'indicazione del prezzo di riferimento. Attraverso tale
    classificazione, anche ad integrazione di quanto previsto dalla
    normativa comunitaria, si garantira' un omogeneo sistema di
    caratterizzazione qualitativa di dispositivi medici utilizzabili e si
    porranno le basi per agevolare iniziative di ottimizzazioni delle
    procedure di acquisto rispettose delle esigenze di qualita' e
    sicurezza dei prodotti.
    Con i tre organismi sopra citati si realizza un organico sistema
    di garanzia, articolato secondo il seguente schema:
    il Tavolo di Monitoraggio e verifica dei Livelli essenziali di
    assistenza effettivamente erogati ha il compito di verificarne la
    corrispondenza con i volumi di spesa stimati e previsti, articolati
    per fattori produttivi e responsabilita' decisionali, al fine di
    identificare i determinanti di tale andamento, a garanzia
    dell'efficacia e dell'efficienza del Servizio sanitario nazionale;
    la Commissione nazionale per la definizione e l'aggiornamento
    dei LEA (C-LEA), garantisce, a parita' di risorse impiegate, che
    siano effettuati gli indispensabili interventi di manutenzione degli
    elenchi delle prestazioni ricomprese nei LEA, proponendone
    l'introduzione, la sostituzione o la cancellazione, con le procedure
    previste dalla normativa vigente;
    la Commissione unica per i dispositivi medici (CUD), garantisce
    che l'utilizzo dei dispositivi medici nella varie tipologie di
    prestazioni sia ispirato a criteri di qualita' e sicurezza,
    assicurando anche la congruita' del prezzo.
    Nell'ambito dell'accordo sui LEA, particolare importanza riveste
    la questione della corretta gestione degli accessi e delle attese per
    le prestazioni sanitarie, sottolineata piu' volte anche dal
    Presidente della Repubblica, e anch'essa obiettivo di primaria
    importanza per il cittadino: il tempo di attesa rappresenta, da un
    lato, la prima risposta che egli riceve dal sistema e, dall'altro, il
    fondamentale principio di tutela dei diritti in tema di accesso alle
    cure e di eguaglianza nell'ambito del Servizio sanitario.
    Il diritto all'accesso alle prestazioni diagnostiche e
    terapeutiche, in conseguenza di richieste appropriate, deve essere
    messo in relazione, per i tempi e per i modi, con una ragionevole
    valutazione della prestazione richiesta e della sua urgenza.
    Per contribuire al miglioramento complessivo dell'efficienza
    delle strutture e dell'accessibilita' alle prestazioni sanitarie, e'
    stato sottoscritto il recente accordo relativo alle attivita' di
    chirurgia di giorno (day surgery), che consente una diversificazione
    dell'offerta sanitaria per i cittadini ed una maggiore appropriatezza
    nell'utilizzo delle tipologie di assistenza.
    Gli obiettivi strategici:
    disporre di un consolidato sistema di monitoraggio dei Livelli
    Essenziali di Assistenza, tramite indicatori che operino in modo
    esaustivo a tutti e tre i livelli di verifica (ospedaliero,
    territoriale e ambiente di lavoro), grazie anche all'utilizzo dei
    dati elaborati dal Nuovo Sistema Informativo Sanitario;
    rendere pubblici i valori monitorati dei tempi di attesa,
    garantendo il raggiungimento del livello previsto;
    costruire indicatori di appropriatezza a livello del territorio
    che siano centrati sul paziente e non sulle prestazioni, come avviene
    oggi;
    diffondere i modelli gestionali delle Regioni e delle Aziende
    Sanitarie in grado di erogare i Livelli Essenziali di Assistenza con
    un corretto bilanciamento tra i costi e la qualita' (bench-marking a
    livello regionale ed aziendale);
    promuovere i migliori protocolli di appropriatezza che verranno
    via via sperimentati e validati ai diversi livelli di assistenza;
    attivare tutte le possibili azioni capaci di garantire ai
    cittadini tempi di attesa appropriati alla loro obiettiva esigenza di
    salute, anche sulla base delle indicazioni presenti nell'Accordo
    Stato-Regioni 11 luglio 2002.
    2.2. Promuovere una rete integrata di servizi sanitari e sociali per
    l'assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili
    2.2.1. La cronicita', la vecchiaia, la disabilita': una realta'
    della societa' italiana che va affrontata con nuovi mezzi e strategie
    Il mondo della cronicita' e quello dell'anziano hanno delle
    peculiarita' che in parte li rendono assimilabili:
    sono aree in progressiva crescita;
    richiedono una forte integrazione dei servizi sanitari con
    quelli sociali;
    necessitano di servizi residenziali e territoriali finora non
    sufficientemente disegnati e sviluppati nel nostro Paese;
    hanno una copertura finanziaria insufficiente.
    Piu' che mai si rende necessario, innanzitutto, che si intervenga
    in sede preventiva; prevenire in questo caso significa rallentare e
    ritardare l'instaurarsi di condizioni invalidanti, che hanno in
    comune un progressivo percorso verso la non-autosufficienza e quindi
    verso la necessita' di interventi sociali e sanitari complessi e
    costosi. Per quanto riguarda i diversi approcci praticabili per la
    prevenzione, essi sono di diversa natura: prevenzione primaria (stili
    di vita salutari) e secondaria (diagnosi precoce di alcuni tipi di
    tumore), nonche' profilassi di particolari malattie. Le Regioni,
    pienamente responsabili dell'assistenza sanitaria e della relativa
    spesa, sanno che investire in prevenzione significa risparmiare gia'
    nel medio termine; questa consapevolezza induce a ritenere che le
    misure di prevenzione in questa area avranno in futuro uno sviluppo
    maggiore che in passato.
    Per gli anziani importante e' la possibilita' di mantenere una
    vita attiva sia dal punto di vista fisico che intellettuale, in
    quanto spesso essi tendono ad isolarsi e a trascurare gli stili di
    vita piu' appropriati. Le Campagne istituzionali di comunicazione
    possono essere di grande aiuto anche in tal senso.
    L'anziano vive meglio nel proprio domicilio e nel contesto di una
    famiglia. Spesso, tuttavia, la famiglia ha difficolta' economiche e
    logistiche ad assistere in casa l'anziano che necessita di cure. E',
    quindi, necessario supportare la famiglia in questo compito.
    A fronte di un fabbisogno stimato in circa 15 miliardi di euro
    per anno, oggi l'Italia spende per l'assistenza sociale circa 6,5
    miliardi di euro. Tutti i Paesi del mondo occidentale hanno avuto il
    problema di finanziare adeguatamente un settore dell'assistenza che
    solo 30 anni or sono era di dimensioni insignificanti, ma che ora,
    con l'allungamento dell'aspettativa media di vita, e' in aumento
    progressivo. Oggi nel Nord Italia quasi il 10% della popolazione ha
    piu' di 75 anni (poco meno nel Sud del Paese) e sappiamo che la
    disabilita' in questa fascia di popolazione raggiunge il 30%.
    Anche gli altri Paesi europei sono intervenuti a sostegno della
    non-autosufficienza, con modalita' differenti. Tutte le modalita',
    tuttavia, come ben evidenziato da Costanzo Ranci (2001) nella ricerca
    «L'assistenza agli anziani in Italia e in Europa», sembrano
    condividere, pur con accentuazioni ed enfasi diverse, il seguente
    aspetto: tentare di combinare interventi di trasferimento monetario
    alle famiglie con l'erogazione di servizi finali, allo scopo di
    sostenere il lavoro familiare ed informale di cura (cash and care).
    Rispetto ai principali Paesi europei, l'Italia ancora spicca
    soprattutto per l'assenza di un pensiero e di una proposta forti che
    affrontino il problema della non-autosufficienza, un problema di
    dimensione crescente, che tanto disagio provoca a molte persone
    anziane e disabili e alle loro famiglie.
    Occorre puntare pertanto a:
    rendere piu' efficace ed efficiente la gestione dei servizi
    esistenti tramite l'introduzione di meccanismi competitivi;
    attribuire maggiore capacita' di scelta ai beneficiari finali
    dei servizi;
    sostenere maggiormente le famiglie che si incaricano
    dell'assistenza;
    regolarizzare e stimolare la pluralita' dell'offerta di
    servizi;
    sostenere la rete di assistenza informale ed il volontariato;
    sperimentare nuove modalita' di organizzazione dei servizi
    anche ricorrendo a collaborazioni con il privato;
    attivare sistemi di garanzia di qualita' e adeguati controlli
    per gli erogatori di servizi sociali e sanitari.
    2.2.2. Le sfide per il Servizio sanitario nazionale.
    Non vi e' dubbio che il Servizio sanitario nazionale debba
    prepararsi a soddisfare una domanda crescente di assistenza di natura
    diversa da quella tradizionale e caratterizzata da nuove modalita' di
    erogazione, basate sui principi della continuita' delle cure per
    periodi di lunga durata e dell'integrazione tra prestazioni sanitarie
    e sociali erogate in ambiti di cura molto diversificati tra loro
    (assistenza continuativa integrata).
    Le categorie di malati interessate a questo nuovo modello di
    assistenza sono sempre piu' numerose: pazienti cronici, anziani non
    autosufficienti o affetti dalle patologie della vecchiaia in forma
    grave, disabili, malati afflitti da dipendenze gravi, malati
    terminali.
    Gli obiettivi di questa assistenza sono la stabilizzazione della
    situazione patologica in atto e la qualita' della vita dei pazienti,
    raramente quelle della loro guarigione.
    Deve pertanto svilupparsi, nel mondo sanitario, un nuovo tipo di
    assistenza basata su un approccio multidisciplinare, volto a
    promuovere i meccanismi di integrazione delle prestazioni sociali e
    sanitarie rese sia dalle professionalita' oggi presenti, sia da
    quelle nuove da creare nei prossimi anni.
    Innanzitutto e' indispensabile che la continuita' delle cure sia
    garantita tramite la presa in carico del paziente da parte dei
    Servizi e delle Istituzioni allo scopo di coordinare tutti gli
    interventi necessari al superamento delle condizioni che ostacolano
    il completo inserimento nel tessuto sociale, quando possibile, o che
    limitano la qualita' della vita.
    A tale scopo i Servizi e le Istituzioni devono divenire nodi di
    una rete di assistenza nella quale viene garantita al paziente
    l'integrazione dei servizi sociali e sanitari, nonche' la continuita'
    assistenziale nel passaggio da un nodo all'altro, avendo cura che
    venga ottimizzata la permanenza nei singoli nodi in funzione
    dell'effettivo stato di salute. Dovra' essere, di conseguenza,
    ridotta la permanenza dei pazienti negli Ospedali per acuti e
    potenziata l'assistenza riabilitativa e territoriale.
    La gestione dei servizi in rete comporta che le Aziende Sanitarie
    Locali ed i Comuni individuino le forme organizzative piu' adatte
    affinche' le prestazioni sanitarie e sociali siano disponibili per il
    paziente in modo integrato. Per permettere il maggior recupero
    raggiungibile dell'autosufficienza e la diminuzione della domanda
    assistenziale, gli interventi vanno integrati, nei casi in cui e'
    opportuno, con l'erogazione dell'assistenza protesica.
    Gli obiettivi strategici:
    la realizzazione di una sorgente di finanziamento adeguata al
    rischio di non autosufficienza della popolazione;
    la realizzazione di reti di servizi di assistenza integrata,
    economicamente compatibili, rispettose della dignita' della persona;
    il corretto dimensionamento dei nodi della rete (ospedalizzazione
    a domicilio, assistenza domiciliare integrata, centri diurni
    integrati, residenze sanitarie assistenziali e istituti di
    riabilitazione) in accordo con il loro effettivo utilizzo;
    la riduzione del numero dei ricoveri impropri negli Ospedali per
    acuti e la riduzione della durata di degenza dei ricoveri
    appropriati, grazie alla presenza di una rete efficace ed efficiente;
    il miglioramento della autonomia funzionale delle persone
    disabili, anche in relazione alla vita familiare ed al contesto
    sociale e lavorativo;
    l'introduzione di misure che possono prevenire o ritardare la
    disabilita' e la non autosufficienza, che includono le informazioni
    sugli stili di vita piu' appropriati e sui rischi da evitare.
    2.3. Garantire e monitorare la qualita' dell'assistenza sanitaria e
    delle tecnologie biomediche
    Un obiettivo importante da perseguire nell'ambito del diritto
    alla salute e' quello della qualita' dell'assistenza sanitaria. E' la
    cultura della qualita' che rende efficace il sistema, consentendo di
    attuare un miglioramento continuo, guidato dai bisogni dell'utente.
    Sempre piu' frequentemente emerge in sanita' l'intolleranza
    dell'opinione pubblica verso disservizi ed incidenti, che originano
    dalla mancanza di un sistema di garanzia di qualita' e che vanno
    dagli errori medici alle lunghe liste d'attesa, alle evidenti
    duplicazioni di compiti e servizi, alla mancanza di piani formativi
    del personale strutturati e documentati, alla mancanza di procedure
    codificate, agli evidenti sprechi.
    La qualita' in sanita' riguarda un insieme di aspetti del
    servizio, che comprendono sia la dimensione tecnica, che quella
    umana, economica e clinica delle cure e va perseguita attraverso la
    realizzazione di una serie articolata di obiettivi, dalla efficacia
    clinica, alla competenza professionale e tecnica, all'efficienza
    gestionale, all'equita' degli accessi, alla appropriatezza dei
    percorsi terapeutici.
    Per l'aspetto umano, e' opportuno che venga misurata anche la
    qualita' percepita da parte dei pazienti, che rappresenta un
    importante indicatore della soddisfazione dell'utente.
    Gli obiettivi strategici:
    promuovere, divulgare e monitorare esperienze di miglioramento
    della qualita' all'interno dei servizi per la salute;
    coinvolgere il maggior numero di operatori in processi di
    informazione e formazione sulla qualita';
    valorizzare la partecipazione degli utenti al processo di
    definizione, applicazione e misurazione della qualita';
    promuovere la conoscenza dell'impatto clinico, tecnico ed
    economico dell'uso delle tecnologie, anche con comparazione tra le
    diverse Regioni italiane;
    mantenere e sviluppare banche dati sui dispositivi medici e sulle
    procedure diagnostico-terapeutiche ad essi associati, con i relativi
    costi;
    attivare procedure di bench-marking sulla base di dati attinenti
    agli esiti delle prestazioni.
    2.4. Potenziare i fattori di sviluppo (o «capitali») della sanita'
    Le organizzazioni complesse utilizzano tre forme di «capitale»:
    umano, sociale e fisico in ordine di importanza. Questo concetto,
    ripreso recentemente anche nel Piano Sanitario inglese, e' in linea
    con il pensiero espresso fin dalla meta' del secolo scorso da Carlo
    Cattaneo, grande filosofo ed «economista pubblico». Nonostante gli
    sforzi compiuti, nessuna delle tre risorse citate e' stata ancora
    valorizzata nella nostra sanita' in misura sufficiente.
    Il «capitale umano», ossia il personale del Servizio sanitario
    nazionale, e' quello che presenta aspetti di maggiore delicatezza. La
    Pubblica amministrazione, che gestisce la maggior parte dei nostri
    ospedali, non rivolge sufficiente attenzione alla motivazione del
    personale e alla promozione della professionalita' e molti strumenti
    utilizzati a questo scopo dal privato le sono sconosciuti.
    Solo oggi si comincia in Italia a realizzare un organico
    programma di aggiornamento del personale sanitario. Dal 2002 e'
    diventata, infatti, realta' l'acquisizione dei crediti per tutti gli
    operatori sanitari che partecipano agli eventi autorizzati dalla
    Commissione Nazionale per l'Educazione Medica Continua. Ben piu'
    importante, secondo l'accordo del 20 dicembre 2001 con le Regioni, e
    grazie all'adesione di varie organizzazioni e associazioni, inclusi
    gli Ordini delle Professioni Sanitarie, la Federazione dei Direttori
    Generali delle Aziende Sanitarie e le Societa' scientifiche italiane,
    inizia l'aggiornamento aziendale, che prevede un impegno delle
    Aziende Sanitarie ad attivare postazioni di educazione e corsi
    aziendali per il personale, utilizzando anche la rete informatica.
    Un personale aggiornato e' garanzia, per il malato, di buona
    qualita' delle cure, ma l'aggiornamento sistematico costituisce anche
    un potente strumento di promozione dell'autostima del personale
    stesso, che sa di migliorare in tal modo la propria immagine
    professionale e la propria credibilita' verso la collettivita'.
    Ovviamente l'aggiornamento sistematico e' solo uno degli strumenti di
    valorizzazione del personale. Operare in un sistema nel quale vi sia
    certificazione della qualita' e' un altro elemento di gratificazione
    per gli operatori sanitari. Un ulteriore elemento e' costituito da un
    rapporto di lavoro che premi la professionalita' ed il merito e
    liberi il medico da una serie di vincoli e limitazioni per rendere
    piu' efficace la sua opera.
    Altrettanto necessaria appare la valorizzazione della professione
    infermieristica e delle altre professioni sanitarie, per le quali si
    impone la nascita di una nuova «cultura della professione», cosi' che
    il ruolo dell'infermiere sia ricondotto, nella percezione sia della
    classe medica sia dell'utenza, all'autentico fondamento
    epistemologico del nursing. Il capitale sociale va inteso come quella
    rete di relazioni che devono legare in un rapporto di partnership
    tutti i protagonisti del mondo della salute impegnati nei settori
    dell'assistenza, del volontariato e del no profit, della
    comunicazione, dell'etica, dell'innovazione, della produzione, della
    ricerca, che possono contribuire ad aumentare le risorse per l'area
    del bisogno socio-sanitario, oggi largamente sottofinanziato. Tutta
    questa rete sociale, grande patrimonio del vivere civile, e' ancora
    largamente da valorizzare ed e' la cultura di questo capitale sociale
    che va prima di tutto sviluppata. L'altro punto da valorizzare e' il
    capitale «fisico» del S.S.N.: gli investimenti per l'edilizia
    ospedaliera e per le attrezzature risalgono per la maggior parte alla
    legge 11 marzo 1988, n. 67 e molti dei fondi da allora impegnati non
    sono ancora stati utilizzati per una serie di difficolta' incontrate
    sia dallo Stato sia dalle Regioni in fase di progettualita' e di
    realizzazioni. E' necessario provvedere, come per i LEA, ad una
    manutenzione continua del patrimonio fisico, partendo da un
    monitoraggio dello stesso perche' il sistema possa essere
    effettivamente competitivo in termini di qualita' dell'offerta.
    Gli obiettivi strategici:
    dare piena attuazione alla Educazione Continua in Medicina;
    valorizzare le figure del medico e degli altri operatori
    sanitari;
    garantire una costante manutenzione strutturale e tecnologica dei
    presidi sanitari del SSN, rilanciando il programma di investimenti
    per l'edilizia sanitaria e per le attrezzature, secondo quanto
    stabilito dall'Accordo dell'8 agosto 2001;
    strutturare un piano di sviluppo della ricerca capace di attirare
    anche gli investitori privati ed i ricercatori italiani e stranieri;
    alleggerire le strutture pubbliche ed il loro personale dai
    vincoli e dalle procedure burocratiche che limitano le capacita'
    gestionali e rallentano l'innovazione, consentendo loro una gestione
    imprenditoriale finalizzata anche all'autofinanziamento;
    investire per il supporto dei valori sociali, intesi come cemento
    della societa' civile e strumento per rapportare i cittadini alle
    Istituzioni ed ai servizi sanitari pubblici e privati.
    2.5. Realizzare una formazione permanente di alto livello in medicina
    e sanita'
    L'Educazione Continua in Medicina (ECM), vale a dire la
    formazione permanente nel campo delle professioni sanitarie, deve
    rispondere alla esigenza di garantire alla collettivita' il
    mantenimento della competenza professionale degli operatori. Come
    tale, essa si configura come un elemento di tutela dell'equita'
    sociale e riassume in se' i concetti di responsabilita' individuale e
    collettiva, insiti nell'esercizio di ogni attivita' volta alla tutela
    e alla promozione della salute della popolazione.
    Gia' nel 1999 (Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n. 229), e nel
    2000 (Decreto Ministeriale 5 luglio 2000) ne sono state delineate
    l'infrastruttura amministrativa, decisionale e politica, ed e' stato
    valorizzato il ruolo sociale della formazione permanente, in una
    situazione nella quale le iniziative, pur numerose, e prevalentemente
    di tipo congressuale, erano focalizzate quasi esclusivamente sulla
    professione medica, interessando le altre professioni dell'area
    sanitaria solo in maniera frammentaria.
    La volontarieta' era, del resto, la caratteristica portante di
    queste iniziative: nonostante il valore spesso molto elevato di
    alcune di esse, non e' sempre stata data sufficiente importanza alla
    dimensione deontologica della formazione professionale, intesa non
    solo come un dovere di valorizzazione della propria professionalita'
    e di autoarricchimento, ma anche come una responsabilita' forte nei
    riguardi della collettivita'.
    L'accordo in Conferenza Stato-Regioni del 20 dicembre 2001 ha
    sancito, in maniera positiva, la convergenza di interesse tra
    Ministero della Salute e Regioni nella pianificazione di un programma
    nazionale che, partendo dal lavoro compiuto dalla Commissione
    Nazionale per la Formazione Continua, si estenda capillarmente cosi'
    da creare una forte coscienza della autoformazione e
    dell'aggiornamento professionale estesa a tutte le categorie
    professionali impegnate nella sanita'.
    La Commissione Nazionale per la Formazione Continua, istituita
    nel 2000 e rinnovata il 1° febbraio 2002, ha affrontato innanzitutto
    il problema dell'impostazione ex novo del sistema della formazione
    permanente e dell'aggiornamento sia sotto il profilo organizzativo ed
    amministrativo sia sotto quello della cultura di riferimento,
    attraverso confronti nazionali e regionali con diversi attori del
    sistema sanitario: cio' ha portato alla attivazione di un programma
    nazionale di formazione continua attivo dal gennaio 2002.
    Un elemento caratterizzante del programma e' la sua estensione a
    tutte le professioni sanitarie, con una strategia innovativa rispetto
    agli altri Paesi. Il razionale sotteso a questo approccio e'
    evidente: nel momento in cui si afferma la centralita' del paziente e
    muta il contesto dell'assistenza, con la nascita di nuovi
    protagonisti e con l'emergere di una cultura del diritto alla
    qualita' delle cure, risulta impraticabile la strada di una
    formazione elitaria, limitata ad una o a poche categorie
    professionali e diviene obbligo morale la garanzia della qualita'
    professionale estesa trasversalmente a tutti i componenti della
    equipe sanitaria, una utenza di oltre 800.000 addetti delle diverse
    professioni sanitarie e tecniche.
    In una prospettiva ancora piu' ampia, la formazione continua
    potra' diventare uno degli strumenti di garanzia della qualita'
    dell'esercizio professionale, divenendo un momento di sviluppo di una
    nuova cultura della responsabilita' e del giusto riconoscimento della
    eccellenza professionale.
    Partendo dalle premesse culturali e sociali sopra delineate, il
    programma si pone l'obiettivo di disegnare le linee strategiche della
    formazione continua, nella quale i contenuti ed i fini della
    formazione siano interconnessi con gli attori istituzionali. E cio'
    e' particolarmente significativo per quanto concerne la ripartizione
    tra obiettivi formativi di rilevanza nazionale, di rilevanza
    regionale e di libera scelta.
    Gli obiettivi nazionali devono discendere, attraverso una intesa
    tra Ministero della salute e Regioni, dal presente Piano e stimolare
    negli operatori una nuova attenzione alle dimensioni della salute
    - in aggiunta a quelle della malattia - alla concretezza dei problemi
    sanitari emergenti ed ai nuovi problemi di natura socio-sanitaria.
    Gli obiettivi formativi di interesse regionale devono rispondere
    alle specifiche esigenze formative delle amministrazioni regionali,
    chiamate ad una azione piu' capillare legata a situazioni
    epidemiologiche, socio-sanitarie e culturali differenti. Il ruolo
    delle Regioni, nel campo della formazione sanitaria continua, diviene
    cosi' un ulteriore strumento per il pieno esercizio delle competenze
    attribuite dalla Costituzione alle Regioni stesse: elemento di
    crescita degli operatori sanitari, di loro sensibilizzazione alle
    realta', in una parola, di coerenza e di compliance della qualita'
    professionale con le specifiche richieste dei cittadini e del
    territorio.
    Infine, gli obiettivi formativi di libera scelta dell'operatore
    sanitario rappresentano l'elemento eticamente forse piu' rilevante
    della nuova formazione permanente: essi, infatti, si richiamano
    direttamente alla capacita' dell'operatore di riconoscere le proprie
    esigenze formative, ammettere i propri limiti e decidere di colmarli.
    Un ulteriore elemento di novita' e' rappresentato dal
    coinvolgimento di Ordini, Collegi e Associazioni professionali, non
    solo quali attori della pianificazione della formazione, ma anche
    quali organismi di garanzia della sua aderenza agli standard europei
    ed internazionali. Sotto quest'ultimo profilo, attenzione dovra'
    essere posta proprio all'armonizzazione tra il sistema formativo
    italiano e quello europeo, in coerenza con i principi della libera
    circolazione dei professionisti.
    Ancora, le Societa' Scientifiche dovranno trovare ampia
    valorizzazione nel sistema della formazione continua, garanti non
    solo della solidita' delle basi scientifiche degli eventi formativi,
    ma anche della qualita' pedagogica e della loro efficacia.
    Da ormai molti anni la maggior parte delle Societa' Medico
    Scientifiche Italiane si e' riunita nella Federazione Italiana delle
    Societa' Medico Scientifiche (FISM), che ha operato per dare agli
    specialisti italiani un ruolo di interlocuzione con le Istituzioni,
    inteso primariamente come contributo culturale ed operativo
    all'identificazione ed allo sviluppo delle attivita' sanitarie e
    mediche nel Paese. Oggi le Societa' Scientifiche hanno trovato pieno
    riconoscimento del loro ruolo per l'ECM, la cui organizzazione si e'
    cosi' arricchita di risorse culturali ed umane.
    Nel sistema che si sta creando, dovra' anche essere dedicata
    attenzione al mondo della editoria, sia cartacea che on-line, in
    maniera da garantire che i prodotti immessi in circolazione siano
    coerenti con le finalita' del sistema formativo.
    Da ultimo, ma non meno importante, e' il coinvolgimento degli
    Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, delle Aziende
    Ospedaliere e delle Universita' nonche' delle altre strutture
    sanitarie pubbliche e private: esse rappresentano la naturale sede
    della formazione continua, in quanto in grado di offrire quella
    «formazione in contesto professionale», eminentemente pratica ed
    operativa, senza la quale la formazione continua rimane un mero
    esercizio cognitivo, privo di qualsiasi possibilita' di ricaduta
    concreta sulla qualita' delle cure.
    2.6. Promuovere l'eccellenza e riqualificare le strutture ospedaliere
    Per molti anni l'ospedale ha rappresentato nella sanita' il
    principale punto di riferimento per medici e pazienti: realizzare un
    Ospedale ha costituito per piccoli e grandi Comuni italiani un giusto
    merito, ed il poter accedere ad un Ospedale situato a breve distanza
    dalla propria residenza e' diventato un elemento di sicurezza e di
    fiducia per la popolazione, che ha portato l'Italia a realizzare ben
    1.440 Ospedali, di dimensioni e potenzialita' variabili.
    Ancora fino agli anni '70 gli strumenti diagnostici e terapeutici
    dei medici e degli Ospedali erano relativamente limitati: non
    esistevano le apparecchiature sofisticate di oggi e quindi non era
    necessario disporre di superspecialisti. Gli importanti sviluppi
    intervenuti successivamente, basta citare l'impetuoso affermarsi
    delle tecnologie sanitarie basate sulle bio-immagini, che ha visto il
    progressivo diffondersi delle ecografie, TAC, NMR, e PET a fianco
    della radiologia tradizionale hanno comportato l'obsolescenza di
    costosissime apparecchiature nel giro di pochi anni. Negli ultimi 20
    anni e' cambiata la tecnologia, ed e' cambiata la demografia:
    l'aspettativa di vita e' cresciuta fino a raggiungere i 76,0 anni per
    gli uomini e gli 82,4 anni per le donne, cosicche' la patologia
    dell'anziano, prevalentemente di tipo cronico, sta progressivamente
    imponendosi su quella dell'acuto. Si sviluppa conseguentemente anche
    il bisogno di servizi socio-sanitari, in quanto molte patologie
    croniche richiedono non solo interventi sanitari, ma soprattutto
    servizi per la vita di tutti i giorni, la gestione della
    non-autosufficienza, l'organizzazione del domicilio e della famiglia,
    sulla quale gravano maggiormente i pazienti cronici. Nasce la
    necessita' di portare al domicilio del paziente le cure di
    riabilitazione e quelle palliative con assiduita' e competenza, e di
    realizzare forme di ospedalizzazione a domicilio con personale
    specializzato, che eviti al paziente di muoversi e di affrontare il
    disagio di recarsi in Ospedale.
    Alla luce di questo nuovo scenario la nostra organizzazione
    ospedaliera, un tempo assai soddisfacente, necessita oggi di un
    ripensamento.
    Un Ospedale piccolo sotto casa non e' piu' una sicurezza, in
    quanto spesso non puo' disporre delle attrezzature e del personale
    che consentono di attuare cure moderne e tempestive.
    Solo se si sapra' cogliere, con questa ed altre modalita', il
    cambiamento ed il nuovo che avanza in sanita', se si sapra' attuare
    una buona comunicazione con i cittadini per far loro capire come sia
    necessario, nel loro interesse, assecondare il cambiamento ed
    adeguarvisi, se si sapra' gestire il servizio pubblico con mentalita'
    imprenditoriale sara' offerta al Paese una sanita' piu' efficace,
    piu' moderna ed anche economicamente piu' vantaggiosa, modificando
    una realta' che continua ad assorbire risorse per mantenere servizi
    di limitata utilita'.
    E' importante sottolineare che l'Italia recentemente, ha ritenuto
    strategico il collegamento in rete degli Ospedali di eccellenza e di
    questi con gli Ospedali Italiani nel mondo. Si tratta di oltre 40
    strutture distribuite nei vari Continenti, con le quali il
    collegamento offre potenziali vantaggi in quanto contribuisce a
    legare le comunita' italiane all'estero, ma che ha vantaggi evidenti
    soprattutto per i Paesi africani dove esistono ben 20 strutture
    italiane per le quali si puo' ipotizzare la costruzione di una rete
    verticale anziche' orizzontale. Verticale nel senso che presso questi
    Ospedali si puo' realizzare un teleconsulto e un sistema educativo
    via rete per l'aggiornamento del personale italiano che, a sua volta,
    puo' trasferire queste conoscenze al personale locale, creando in
    loco le capacita' professionali per rendere questi Paesi piu'
    autonomi dal punto di vista sanitario.
    Gli obiettivi strategici:
    sostenere le Regioni nel loro programma di ridisegno della rete
    ospedaliera, con la finalita' da un lato di convertire la funzione di
    alcuni Ospedali minori e di attivare la ospedalita' a domicilio, e
    dall'altro di realizzare Centri avanzati di Eccellenza;
    attivare, da parte delle Regioni e dello Stato, una forte azione
    di comunicazione con la popolazione, tesa a chiarire il senso
    dell'operazione, che e' quello di fornire ai cittadini servizi
    ospedalieri piu' efficaci e piu' moderni, riducendo i cosiddetti
    viaggi della speranza ed i relativi disagi e costi, attivando nel
    contempo servizi per i pazienti cronici ed alleviando il peso che
    questi comportano per le rispettive famiglie;
    concordare con le Regioni una metodologia di misura della
    qualita' degli erogatori dei servizi sanitari.
    2.7. Promuovere il territorio quale primaria sede di assistenza e di
    governo dei percorsi Sanitari e Socio-Sanitari
    Piu' in generale, si rende evidente la necessita' ormai
    inderogabile di organizzare meglio il territorio spostandovi risorse
    e servizi che oggi ancora sono assorbiti dagli ospedali, in una
    logica di sanita' ospedalocentrica che oggi non e' piu' sostenibile.
    Ancora una volta quindi l'attenzione si sposta sui MMG e pediatri di
    libera scelta, ai quali si deve pero' chiedere di giocare un ruolo
    maggiore che in passato.
    Il nuovo piano Sanitario Nazionale, e' lo strumento per
    individuare un nuovo assetto dell'organizzazione della medicina nel
    territorio. I problemi economici, le liste di attesa, il
    sotto-utilizzo e l'utilizzo improprio di risorse nel sistema,
    impongono una reinterpretazione del rapporto territorio-ospedale.
    Il gradimento dei cittadini verso l'assistenza di base, consiglia
    di recuperare a pieno questa risorsa riportandola al centro della
    risposta sanitaria e di governo dei percorsi sanitari. Cio' in
    raccordo con le altre presenze nel territorio.
    Questo dovra' uniformarsi con un governo unitario della Sanita'
    nel territorio, espresso nella partecipazione alle scelte di
    programmazione, che dovra' essere sintonizzato con gli obiettivi di
    salute della programmazione e quindi premiare la professionalita', la
    qualita' e la quantita' di lavoro, nonche' un conseguente
    riconoscimento nel sistema sanitario.
    Obiettivo di questo riordino sono:
    la garanzia di una appropriata erogazione dei servizi a partire
    dei LEA;
    il mantenimento nel territorio di tutte le attivita'
    ambulatoriali;
    un'efficace continuita' assistenziale;
    la fornitura di attivita' specialistiche;
    l'abbattimento delle liste d'attesa;
    la riduzione di ricoveri ospedalieri impropri;
    la attivazione dei percorsi assistenziali.
    L'obiettivo prioritario e' la realizzazione di un processo di
    riordino che garantisca un elevato livello di integrazione tra i
    diversi servizi sanitari e sociali, realizzato con il supporto del
    medico dell'assistenza sanitaria di base. Un processo teso a fornire,
    l'unitarieta' tra prestazioni sanitarie e sociali, la continuita' tra
    azioni di cura e riabilitazione, la realizzazione di percorsi
    assistenziali integrati, l'intersettorialita' degli interventi,
    unitamente al conseguente riequilibrio di risorse finanziarie e
    organizzative in rapporto all'attivita' svolta tra l'ospedale e il
    territorio a favore di quest'ultimo.
    E' noto quanto sia importante il coordinamento degli interventi
    ed a tale scopo individuare nel territorio soluzioni innovative,
    organizzative e gestionali per orientare diversamente la domanda di
    prestazioni.
    Il territorio e' sempre stato considerato erogatore di servizi
    extra ospedalieri, oggi e' necessario indirizzare chiaramente una
    nuova e razionale offerta di prestazioni sul territorio, che
    configuri l'intervento ospedaliero come assistenza extra territoriale
    sempre piu' riservato alle patologie acute.
    E' una linea che inverte il tradizionale sistema di offerta
    sanitaria fondata prioritariamente sull'ospedale che attende i
    cittadini ai servizi, a favore di una linea che identifica il
    territorio quale soggetto attivo che intercetta il bisogno sanitario
    e si fa carico in modo unitario delle necessita' sanitarie e
    socio-assistenziali dei cittadini.
    2.7.-bis Potenziare i Servizi di Urgenza ed Emergenza
    Per quanto attiene al sistema di emergenza-urgenza attivo in
    Italia, sono state emanate nell'aprile 1996 le Linee Guida che
    forniscono le indicazioni sui requisiti organizzativi e funzionali
    della rete dell'emergenza e sulle Unita' operative che compongono i
    Dipartimenti di Urgenza ed Emergenza (DEA) di I e II livello. Sulla
    base di tali indicazioni il sistema dell'emergenza sanitaria risulta
    costituito da:
    un sistema di allarme sanitario, assicurato dalla centrale
    operativa, alla quale affluiscono tutte le richieste di intervento
    sanitario in emergenza tramite il numero unico telefonico nazionale
    (118);
    un sistema territoriale di soccorso costituito da idonei mezzi
    di soccorso distribuiti sul territorio;
    una rete di servizi e presidi ospedalieri, funzionalmente
    differenziati e gerarchicamente organizzati.
    Relativamente a particolari specialita' le Linee Guida sopra
    citate prevedono l'elaborazione di successivi documenti di
    approfondimento sulla gestione di tematiche specifiche. Tra queste,
    le Linee Guida sulla chirurgia e microchirurgia della mano e quelle
    sul triage intraospedaliero sono state approvate dalla Conferenza
    Stato-Regioni e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 7 dicembre
    2001 mentre quelle sull'Organizzazione di un sistema integrato di
    assistenza ai pazienti traumatizzati con mielolesioni e/o
    cerebrolesioni sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del
    24 giugno 2002.
    Il miglioramento dei servizi di urgenza ed emergenza riveste
    infine un particolare rilievo per le Isole minori e le localita'
    montane disagiate, per le quali sono stati previsti specifici
    interventi sia dall'Accordo sui Livelli Essenziali di Assistenza sia
    dalla legge Finanziaria del 28 dicembre 2001, n. 448. Infatti, mentre
    l'Accordo garantisce l'erogazione delle prestazioni previste dai
    livelli, con particolare riguardo a quelle di emergenza-urgenza, alle
    popolazioni delle Isole minori e delle comunita' montane disagiate,
    la legge Finanziaria facilita il reclutamento del personale da
    impiegare a tale scopo.
    Gli obiettivi strategici:
    riorganizzazione strutturale dei Pronto Soccorso e dei
    Dipartimenti d'emergenza e accettazione;
    integrazione del territorio con l'Ospedale;
    integrazione della rete delle alte specialita' nell'ambito
    dell'emergenza per la gestione del malato critico e
    politraumatizzato.
    2.8. Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella sui
    servizi sanitari
    La realizzazione degli obiettivi di salute dipende in larga parte
    dai risultati della ricerca, in quanto il progresso scientifico
    contribuisce in maniera determinante alla scoperta di nuove terapie e
    procedure diagnostiche ed alla individuazione di nuovi procedimenti e
    di nuove modalita' organizzative nell'assistenza e nell'erogazione
    dei servizi sanitari.
    Il sostegno della ricerca comporta dei costi, ma determina a
    lungo termine il vantaggio, anche economico, di ridurre l'incidenza
    delle malattie, e di migliorare lo stato di salute della popolazione.
    Il convincimento che le sfide piu' importanti si possano vincere
    soltanto con l'aiuto della ricerca e dei suoi risultati ci spinge a
    considerare il finanziamento della ricerca un vero e proprio
    investimento e la sua organizzazione un obiettivo essenziale.
    Alla luce di tutto questo aver mantenuto la spesa pubblica
    italiana per la ricerca tra le piu' basse in Europa, rispetto al
    prodotto interno lordo nazionale, ha rappresentato un grave danno per
    il nostro Paese. Da piu' parti si e' elevato a questo proposito il
    monito che, uscendo dalle difficolta' economiche momentanee, l'Italia
    debba approntare un piano strategico di rilancio della ricerca che
    inizi con l'attribuire a questo settore maggiori risorse pubbliche.
    Tuttavia va anche ricordato che il rilancio della ricerca non dipende
    solo dalla disponibilita' di fondi pubblici.
    Per quanto riguarda la ricerca nell'ambito dell'Unione Europea e'
    fondamentale che l'Italia svolga a pieno il ruolo che le spetta
    nell'ambito del Sesto Programma Quadro (2002-2006) di Azione
    Comunitaria di Ricerca, Sviluppo Tecnologico e Dimostrazione per la
    Realizzazione dello Spazio Europeo della Ricerca, dotato di
    importanti risorse finanziarie. Cio' non solo perche' il Programma
    Quadro contribuira' a modificare nell'arco di cinque anni in modo
    radicale l'assetto della ricerca in Europa, ma anche perche' l'Italia
    ha il dovere di sviluppare la ricerca a sostegno delle politiche
    comunitarie e di quelle destinate a rispondere alle esigenze
    emergenti.
    Gli obiettivi strategici:
    la semplificazione delle procedure amministrative e burocratiche
    per la autorizzazione ed il finanziamento della ricerca;
    la promozione delle collaborazioni e delle reti di scambio tra
    ricercatori, istituti di ricerca, istituti di cura, associazioni
    scientifiche ed associazioni di malati;
    la elaborazione dello studio di modelli che creino le condizioni
    favorevoli per l'accesso alla ricerca e per favorire la mobilita' dei
    ricercatori tra le varie Istituzioni;
    la promozione delle collaborazioni tra Istituzioni pubbliche e
    private nel campo della ricerca;
    l'attivazione di strumenti di flessibilita' e convenienza per i
    ricercatori, capaci di attirare ricercatori operanti all'estero,
    inclusi i rapporti con i capitali e gli istituti privati italiani e
    stranieri, in rapporto di partenariato o di collaborazione senza
    limiti burocratici eccessivi;
    l'attivazione di una politica che renda vantaggioso per le
    imprese investire nella ricerca in Italia, utilizzando modelli gia'
    sperimentati negli altri Paesi;
    il perseguimento degli obiettivi prioritari previsti dal sesto
    Programma Quadro Comunitario in tema di ITC, Biotecnologie e nuovi
    materiali, nano e microtecnologie;
    il perseguimento degli obiettivi previsti dai quattro assi di
    intervento previsti dal PNR.
    2.9. Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la
    comunicazione pubblica sulla salute
    Le conoscenze scientifiche attuali dimostrano che l'incidenza di
    molte patologie e' legata agli stili di vita.
    a) Oltre ad una crescente quota di popolazione in sovrappeso,
    numerose patologie sono correlate, ad esempio, ad una alimentazione
    non corretta. Tra queste, alcuni tipi di tumori, il diabete mellito
    di tipo 2, le malattie cardiovascolari ischemiche, l'artrosi,
    l'osteoporosi, la litiasi biliare, lo sviluppo di carie dentarie e le
    patologie da carenza di ferro e carenza di iodio. Una caratteristica
    della prevenzione delle malattie connesse all'alimentazione e' la
    necessita' di coinvolgere gran parte della popolazione e non soltanto
    i gruppi ad alto rischio. La strategia di prevenzione deve essere
    rivolta pertanto all'intera popolazione, presso la quale occorre
    diffondere raccomandazioni per una sana alimentazione in termini di
    nutrienti, di scelta di profili alimentari salutari, ma anche
    coerenti con le consuetudini, che tengano conto dei fattori culturali
    e socio-economici. L'accento va posto sulla lettura ed utilizzazione
    della etichettatura nutrizionale, adottata per un numero crescente di
    alimenti preconfezionati, che puo' facilitare scelte idonee ed
    indurre il settore industriale a migliorare la qualita' nutrizionale
    degli alimenti prodotti.
    I disturbi del comportamento alimentare (anoressia nervosa,
    bulimia, altri disturbi del comportamento alimentare) mostrano, a
    partire dagli anni '70, un significativo incremento di incidenza e
    prevalenza. I valori attuali di prevalenza in Italia nelle donne di
    eta' compresa tra i 12 e i 25 anni (soggetti a rischio) sono i
    seguenti (dati riguardanti solo le sindromi complete e non i disturbi
    sub clinici): anoressia nervosa 0,3-0,5%; bulimia nervosa 1-3%; altri
    disturbi del comportamento alimentare 6%.
    Un problema che riveste un interesse prioritario e' quello della
    dieta e del sovrappeso, sul quale ha richiamato l'attenzione di
    recente il Consiglio dei Ministri Europeo e per il quale si rimanda
    all'apposito capitolo.
    Anche su questi temi vanno attuate, a fini di prevenzione,
    campagne di sensibilizzazione anche nella scuola, nei consultori
    adolescenziali e presso i medici di medicina generale.
    b) Nell'ambito dell'adozione di stili di vita sani, l'attivita'
    fisica riveste un ruolo fondamentale. Il ruolo protettivo
    dell'esercizio fisico regolare e' stato dimostrato soprattutto nei
    confronti delle patologie cardiovascolari e cerebrovascolari, di
    quelle osteoarticolari (in particolare l'osteoporosi), metaboliche
    (diabete), della performance fisica e psichica degli anziani.
    L'esercizio fisico regolare aiuta a controllare il peso corporeo,
    riduce l'ipertensione arteriosa e la frequenza cardiaca ed aumenta il
    benessere psicofisico.
    c) Il fenomeno del tabagismo e' molto complesso sia per i
    risvolti economici, psicologici e sociali sia, soprattutto, per la
    pesante compromissione della salute e della qualita' di vita dei
    cittadini, siano essi soggetti attivi (fumatori) o soggetti passivi
    (non fumatori).
    Oggi la comunita' scientifica e' unanime nel considerare il fumo
    di tabacco la principale causa di morbosita' e mortalita'
    prevenibile. Infatti e' scientificamente dimostrato l'aumento della
    mortalita' nei fumatori rispetto ai non fumatori per molte neoplasie
    quali ad esempio il tumore del polmone, delle vie aeree superiori
    (labbra, bocca, faringe e laringe), della vescica e del pancreas.
    Il fumo e' causa anche di un aumento della mortalita' per
    affezioni cardiovascolari, aneurisma dell'aorta e broncopneumopatie
    croniche ostruttive.
    Si stima che, ad oggi, i fumatori nel mondo siano circa 1
    miliardo e 100 mila, 1/3 della popolazione globale sopra i 15 anni e
    1/3 di questi siano donne. In Europa sono stati stimati 230 milioni
    di fumatori, cioe' circa il 30% dell'intera popolazione europea.
    In Italia, dalle indagini multiscopo dell'Istat risulta che nel
    2000 la percentuale di fumatori era pari al 24,1%: il 31,5% della
    popolazione maschile, il 17,2% della popolazione femminile e ben il
    21,3% dei giovani tra i 14 e i 24 anni. I fumatori piu' accaniti, in
    termini di numero medio di sigarette fumate al giorno, sono gli
    uomini con 16 sigarette al giorno contro le 12 delle donne.
    Nel nostro Paese nel 1998 si sono verificati 570.000 decessi: il
    15% di questi, pari a 84.000 sono stati attribuiti al fumo, 72.000
    nella popolazione maschile e 12.000 in quella femminile.
    Attualmente il tumore al polmone e' la decima causa di morte nel
    mondo. Alcuni studi predicono che, qualora non si adottino piu'
    concrete politiche antifumo, il tumore al polmone sara' nel 2020 tra
    le prime 5 cause di morte al mondo.
    L'analisi della distribuzione percentuale dei fumatori negli
    ultimi 10 anni (1991-2000), che non mostra diminuzioni significative,
    ci induce a pensare che le politiche intraprese finora dai vari
    Governi e supportate anche da Organizzazioni sopranazionali, quali
    l'OMS, non hanno ottenuto i risultati attesi.
    La normativa nazionale sul divieto di fumo nei locali pubblici
    utilizzata finora, risulta essere limitata ed inefficace nella sua
    applicazione. Il divieto di fumo, cosi' come regolamentato
    sostanzialmente dalla legge n. 584 dell'11 novembre 1975 e dalla
    direttiva 14 dicembre 1995, non e' sufficiente. Questa normativa, nel
    tentativo di puntualizzare i luoghi ove e' vietato fumare e di
    affidare il rispetto delle norme a responsabili sprovvisti
    dall'autorita' necessaria, ha, di fatto, creato incertezze e
    difficolta' che hanno vanificato lo sforzo del legislatore.
    Un ulteriore sviluppo normativo approvato in via definitiva dal
    Parlamento il 21 dicembre 2002 prevede l'applicazione del divieto di
    fumo a tutti gli spazi confinati, ad eccezione di quelli adibiti ad
    uso privato e a quelli eventualmente riservati ai fumatori che
    dovranno essere dotati di appositi dispositivi di ricambio d'aria per
    tutelare la salute dei lavoratori addetti.
    Gli interventi legislativi, comunque, devono essere coniugati con
    maggiori e piu' incisive campagne di educazione ed informazione sui
    danni procurati dal fumo attivo e/o passivo, la cui efficacia potra'
    essere maggiore se verranno rivolte soprattutto ai giovani in eta'
    scolare e alle donne in eta' fertile.
    Una campagna indirizzata ai ragazzi di 14 e 15 anni e' stata
    iniziata nelle scuole dal Ministero della Salute e da quello
    dell'Istruzione, Universita' e Ricerca scientifica con l'iniziativa
    denominata «Missione Salute» che si propone di supportare
    l'educazione alla Salute nelle nostre scuole.
    In particolare per i giovani va tenuto conto che si e' registrato
    un abbassamento dell'eta' in cui questi iniziano a fumare (15 anni) e
    che il 90% dei fumatori inizia a consumare sigarette prima dei 20
    anni. Inoltre, se si considera che l'iniziazione alle sigarette e'
    fortemente influenzata, sia nelle ragazze sia nei ragazzi, da
    pressioni sociali, da bisogni psicologici, da condizionamenti legati
    a compagni ed amici e da fattori familiari quali la presenza di
    genitori che fumano, risulta evidente che un appropriato intervento
    deve essere perseguito con un adeguato comportamento di coloro che
    rivestono ruoli percepiti dai ragazzi come carismatici, inclusi i
    genitori, gli insegnanti, gli operatori sanitari e i mass media.
    Sara' da modificare in particolare il modello proposto nei decenni
    precedenti che presentava il fumatore come un personaggio emancipato
    e carismatico; al contrario la nuova politica adottata negli USA, che
    attribuisce al fumatore un basso livello socio-culturale, e' quella
    che piu' si avvicina alle realta' e che meglio puo' contrastare la
    cultura del secolo scorso.
    Essendo scientificamente provata la correlazione tra fumo e
    patologie del feto, risulta di particolare rilievo l'intervento di
    sensibilizzazione destinato alle donne in eta' fertile. Infatti, ad
    esempio, il deficit congenito di un arto, nel quale una parte o tutto
    l'arto del feto puo' non svilupparsi, e' doppio nelle donne fumatrici
    rispetto alle non fumatrici. L'aborto spontaneo, si produce in quasi
    4.000 donne su 100.000 che fumano e il rischio di gravidanza ectopica
    e' doppio rispetto alle non fumatrici. I bambini di madri fumatrici
    pesano alla nascita in media 150-200 grammi in meno. Le donne
    fumatrici sono piu' soggette a fenomeni quali la placenta previa, il
    distacco di placenta, le emorragie gestazionali, la rottura precoce
    della membrana amniotica, le infezioni del liquido amniotico. Inoltre
    alcuni studi dimostrano che l'esposizione dei neonati al fumo passivo
    aumenta il rischio di SIDS (Sudden Infant Death Sindrome) ed in
    particolare e' direttamente proporzionale al consumo di sigarette
    fumate dalla madre e al numero di sigarette fumate in presenza dei
    neonati.
    d) La riduzione dei danni sanitari e sociali causati dall'alcool
    e', attualmente, uno dei piu' importanti obiettivi di salute
    pubblica, che la gran parte degli Stati persegue per migliorare la
    qualita' della vita dei propri cittadini. Numerose evidenze
    dimostrano che gli individui (ed i giovani in particolare) che
    abusano dell'alcool risultano piu' frequentemente inclini a
    comportamenti ad alto rischio per se' e per gli altri (quali guida di
    autoveicoli e lavoro in condizioni psico-fisiche inadeguate) nonche'
    al fumo e/o all'abuso di droghe rispetto ai coetanei astemi. L'alcool
    agisce come «ponte» per gli individui piu' giovani, rappresentando
    una delle possibili modalita' di approccio a sostanze illegali, le
    cui conseguenze spesso si estendono ben oltre la salute della persona
    che ne fa direttamente uso. Benche' il consumo di bevande alcooliche
    in Italia sia andato diminuendo dal 1981, notevoli sforzi devono
    essere posti in essere per raggiungere gli obiettivi adottati
    dall'OMS e, in particolare, dall'Unione Europea con la recente
    approvazione di una specifica strategia per la riduzione dei pericoli
    connessi all'alcool.
    Una corretta informazione sui problemi della salute, sulle
    malattie, e sui comportamenti e le soluzioni piu' adatte a promuovere
    lo stato di salute sta alla base di una moderna societa' del
    benessere. Molti sono infatti gli strumenti che la scienza e la
    tecnologia moderna mettono a disposizione della collettivita' per
    tutelare le condizioni di vita e di salute. Molti sono anche,
    peraltro, i fattori di minaccia per la salute, vecchi e nuovi,
    dall'inquinamento agli errori alimentari, agli abusi di sostanze
    potenzialmente dannose, alla mancata prevenzione. Anche sostanze
    innocue come il sale da cucina, se assunto in quantita' eccessive
    possono essere causa di malattie a carico dell'apparato
    cardio-vascolare.
    Va inoltre sottolineata l'importanza di sottoporsi a periodici
    controlli e a test di screening consigliati per la diagnosi precoce
    dei tumori nelle eta' e con i tempi appropriati.
    Alcune importanti informazioni di carattere sanitario non sono o
    sono scarsamente accessibili ai pazienti. Questo e', ad esempio, il
    caso delle informazioni:
    sulle possibili terapie alternative per particolari malattie;
    sullo sviluppo di alcuni approcci terapeutici;
    sull'esito di alcune sperimentazioni cliniche;
    sulle caratteristiche delle diverse strutture sanitarie e le
    diverse possibilita' di cura;
    sulle modalita' di accesso alle cure.
    Le informazioni necessarie ai pazienti per orientarsi sulle
    decisioni in materia di salute dovrebbero essere fornite in modo
    comprensibile e aggiornato. Benche' il ruolo del medico e del
    farmacista rimanga fondamentale nell'informare i pazienti, e'
    necessario tenere conto del fatto che lo sviluppo della societa'
    dell'informazione offre numerosi altri strumenti, ivi incluso
    Internet, il cui impatto potrebbe essere altamente benefico se
    opportunamente utilizzati. In effetti, esistono gia' numerosi siti
    web che forniscono una varieta' di informazioni di carattere
    sanitario, ma la qualita' dell'informazione fornita non e' sempre
    soddisfacente ed, in alcuni casi, e' addirittura fuorviante.
    Costituisce un obbligo prioritario per il Servizio Sanitario
    Nazionale quello di fornire ai cittadini corretti strumenti di
    informazione, che consentano di evitare i rischi, di attuare
    comportamenti salutari, e di conoscere e saper individuare
    adeguatamente ed in tempo utile i possibili segnali di squilibrio
    psicofisico e di malattia.
    Oltreche' all'importanza della informazione sulla salute rivolta
    ai cittadini, il Servizio Sanitario Nazionale deve prestare
    attenzione anche alle opportunita' dello sviluppo di una corretta
    comunicazione tra cittadini ed Istituzioni. Fino ad un recente
    passato il rapporto terapeutico era inteso quasi esclusivamente «a
    senso unico», nel quale le informazioni passavano dal medico, o
    dall'operatore sanitario, al paziente, o ai suoi familiari. In uno
    stato moderno, nel quale i cittadini possiedono livelli di cultura
    piu' elevati, e soprattutto ambiscono a partecipare attivamente ai
    processi sociali ed economici che li riguardano, la relazione
    bi-direzionale tra operatori e utenti e' d'obbligo.
    Le Istituzioni sanitarie devono rispondere a numerose istanze sul
    complesso e articolato tema della salute, moltiplicando in tal modo
    la quantita' dei temi e dei messaggi, che rischiano cosi' di
    disperdersi in piu' percorsi di comunicazione, non potendo avere una
    sufficiente massa critica di risorse.
    Si nota inoltre su alcune tematiche di pubblico valore, oggetto
    in passato di attivita' comunicazionale, un mancato coordinamento a
    livello di obiettivi strategici desiderati, o addirittura una
    sovrapposizione degli sforzi da parte di diversi enti, che anziche'
    creare valore incrementale alla comunicazione rischiano di
    indirizzare ai cittadini messaggi incoerenti o poco chiari.
    L'insieme di queste considerazioni evidenzia la necessita' di
    modificare l'approccio alla comunicazione istituzionale in campo
    sanitario se si vuole raggiungere risultati significativi su
    questioni di altissimo impatto.
    Gli obiettivi strategici
    Occorre orientare l'attivita' e gli impegni del Servizio
    Sanitario Nazionale affinche' esso si muova nella direzione dello
    sviluppo di un sistema di monitoraggio e comunicazione per tutti gli
    utenti, effettivi e potenziali, sugli stili di vita sani e la
    prevenzione sanitaria.
    Cio' implica la necessita' di:
    acquisire gli elementi necessari per comprendere le esigenze di
    informazione dei cittadini in tema di salute e di sanita';
    avviare un processo di valutazione ed interpretazione della
    domanda di salute;
    individuare i nodi critici della comunicazione tra operatori e
    utenti;
    mettere a fuoco le lacune in tema di capacita' diffuse di
    prevenzione;
    progettare una banca-dati di informazioni aggiornate sulla rete
    dei servizi sanitari e socio-sanitari e sulle prestazioni offerte, ed
    un relativo sistema di trasmissione e distribuzione delle
    informazioni;
    contribuire al consolidamento di una corretta cultura della
    salute nel Paese;
    coinvolgere soggetti plurimi, pubblici e privati, in comuni
    imprese ed iniziative di comunicazione ed informazione sulla salute e
    la sanita';
    portare a regime un piano pluriennale di comunicazione
    istituzionale sulla salute.
    2.10. Promuovere un corretto impiego dei farmaci e la
    farmacovigilanza
    L'uso razionale dei medicinali rappresenta un obiettivo
    prioritario e strategico del Piano Sanitario Nazionale, per il ruolo
    che il farmaco riveste nella tutela della salute.
    A seguito dell'emanazione della legge 16 novembre 2001 n. 405, i
    farmaci rappresentano uno dei settori piu' avanzati di applicazione
    del processo di devoluzione di competenze alle Regioni, in un quadro
    peraltro di garanzia per tutti i cittadini di accesso ai farmaci
    essenziali.
    L'attuazione del Programma Nazionale di Farmacovigilanza,
    costituisce lo strumento attraverso il quale valutare costantemente
    il profilo di beneficio-rischio dei farmaci, e garantire la sicurezza
    dei pazienti nell'assunzione dei medicinali. Piu' in generale,
    bisogna puntare sul buon uso del farmaco.
     
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    In tale contesto, si inserisce l'invio a tutte le famiglie
    italiane dell'opuscolo «Pensiamo alla salute. 20 regole per un uso
    corretto dei farmaci», a cura del Ministero della Salute. Tale
    iniziativa intende costituire un supporto di conoscenza e di
    informazione per tutti i cittadini sul corretto ruolo dei farmaci nel
    contesto della salute, mettendo in relazione l'uso dei medicinali con
    l'attenzione a stili di vita adeguati.
    L'Italia ritiene necessario l'aggiornamento della normativa
    europea in materia di medicinali e a tal fine si adoperera' per
    mettere a punto nuovi sviluppi basati sulla collaborazione degli
    Stati membri e della Commissione Europea secondo quanto delineato dal
    gruppo di lavoro ad alto livello su «Innovazione e disponibilita' dei
    medicinali» (cosiddetto gruppo G-10 medicinali) che ha adottato 14
    raccomandazioni in materia di politica farmaceutica relative ad
    innovazione, accessibilita', bench-marking, diritti di informazione
    dei pazienti ed impatto dell'allargamento dell'U.E.
    Gli obiettivi strategici
    Gli obiettivi strategici nel settore del buon uso del farmaco
    possono essere cosi' definiti:
    offrire un supporto sistematico alle Regioni sull'andamento
    mensile della spesa farmaceutica, attraverso informazioni validate ed
    oggettive, che consentano un puntuale monitoraggio della spesa, la
    valutazione dell'appropriatezza della farmacoterapia e l'impatto
    delle misure di contenimento della spesa adottate dalle Regioni in
    base alla citata legge n. 405 del 2001;
    attuare il Programma Nazionale di Farmacovigilanza per
    assicurare un sistema capace di evidenziare le reazioni avverse e di
    valutare sistematicamente il profilo di rischio-beneficio dei
    farmaci;
    porre il farmaco fra i temi nazionali dell'ECM;
    rafforzare l'informazione sui farmaci rivolta agli operatori
    sanitari e ai cittadini;
    promuovere l'appropriatezza delle prescrizioni e dei consumi;
    rilanciare la sperimentazione clinica dei farmaci e il ruolo
    dei comitati etici locali;
    assicurare l'accesso agevole e rapido ai medicinali innovativi
    per tutti i cittadini.
    Parte Seconda
    GLI OBIETTIVI GENERALI
    3. La promozione della salute
    L'aumento della longevita' in Italia potra' essere conseguito
    soprattutto attraverso la diminuzione della mortalita' per malattie
    cardiovascolari, la riduzione della mortalita' prematura per cancro e
    una migliore prevenzione degli incidenti e degli infortuni. Sono
    numerose in Italia, come in altri Stati, le cause di morte che
    potrebbero essere prevenute da un intervento medico o di salute
    pubblica appropriato (morti evitabili). Un primo gruppo comprende le
    malattie per le quali i fattori etiologici sono stati identificati e
    il cui impatto dovrebbe essere ridotto attraverso idonei programmi di
    prevenzione primaria. Un secondo gruppo include le malattie
    neoplastiche la cui diagnosi precoce, unitamente alla terapia
    adeguata, ha dimostrato di aumentare notevolmente il tasso di
    sopravvivenza dei pazienti. Un terzo gruppo, piu' eterogeneo, e'
    formato da malattie associate a condizioni igieniche scarse, quali ad
    esempio l'epatite virale A, e da altre malattie fortemente
    influenzate dall'efficienza del sistema sanitario nel provvedere una
    diagnosi corretta e un tempestivo trattamento appropriato. Secondo
    alcune stime recenti, vi sarebbero state in Italia nel 1998 circa 80
    mila morti evitabili per il 57,7% mediante la prevenzione primaria,
    per il 9,9% attraverso diagnosi precoci e per la restante parte con
    una migliore assistenza sanitaria. L'incremento del numero delle
    persone anziane pone la necessita' di promuovere la loro
    partecipazione alla vita sociale, contrastando l'emarginazione e
    rafforzando l'integrazione fra politiche sociali e sanitarie al fine
    di assicurare l'assistenza domiciliare per evitare ogni volta che sia
    possibile l'istituzionalizzazione.
    3.1. Vivere a lungo, vivere bene
    L'aspettativa di vita a 65 anni in Italia ha evidenziato la
    tendenza ad un progressivo aumento a partire dal 1970 per entrambi i
    sessi: nel corso degli anni fra il 1983 e il 1993, l'aspettativa di
    vita a 65 anni e' aumentata di 2,3 anni per le femmine (+13,5%) e di
    2 anni per i maschi (+14,5%). Nell'anno 2000 l'aspettativa di vita
    alla nascita e' stata stimata essere pari a 82,4 anni per le donne e
    a 76,0 anni per gli uomini. Tuttavia, l'aumento della longevita' e'
    un risultato valido se accompagnato da buona salute e da piena
    autonomia. A tale scopo e' stato sviluppato il concetto di
    «aspettativa di vita sana (o esente da disabilita)». I dati
    disponibili, pur limitati, suggeriscono che l'aspettativa di vita
    esente da disabilita', sia per i maschi che per le femmine, si
    avvicini in Italia alla semplice aspettativa di vita maggiormente di
    quanto non avvenga in altri Paesi.
    Secondo gli obiettivi adottati nel 1999 dall'OMS (Organizzazione
    Mondiale della Sanita) per gli Stati europei, ivi inclusa l'Italia,
    entro l'anno 2020:
    vi dovrebbe essere un aumento, almeno del 20%, dell'aspettativa
    di vita e di una vita esente da disabilita' all'eta' di 65 anni;
    vi dovrebbe essere un aumento, di almeno il 50%, nella
    percentuale di persone di 80 anni che godono di un livello di salute
    che permetta loro di mantenere la propria autonomia e la stima di
    se'.
    3.2. Combattere le malattie
    3.2.1. Le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari
    Le malattie cardiovascolari sono responsabili del 43% dei decessi
    registrati in Italia nel 1997, per il 31% dovute a patologie
    ischemiche del cuore e per il 28% ad accidenti cerebrovascolari.
    Notevoli differenze si registrano in diverse parti d'Italia sia
    nell'incidenza sia nella mortalita' associata a queste malattie.
    I principali fattori di rischio a livello individuale e
    collettivo sono il fumo di tabacco, la ridotta attivita' fisica, gli
    elevati livelli di colesterolemia e di pressione arteriosa ed il
    diabete mellito; la presenza contemporanea di due o piu' fattori
    moltiplica il rischio di andare incontro alla malattia ischemica del
    cuore e agli accidenti cardiovascolari.
    Per quanto riguarda gli interventi finalizzati alla riduzione
    della letalita' per malattie cardiovascolari e' ormai dimostrato come
    la mortalita' ospedaliera per infarto acuto del miocardio, rispetto a
    quanto avveniva negli anni '60 prima dell'apertura delle Unita' di
    Terapia Intensiva Coronaria (UTIC), sia notevolmente diminuita e,
    dopo l'introduzione della terapia trombolitica, si sia ridotta
    ulteriormente. Cio' che resta invariata nel tempo e', invece, la
    quota di pazienti affetti da infarto miocardio acuto che muore a
    breve distanza dall'esordio dei sintomi prima di giungere
    all'osservazione di un medico. Per quanto riguarda l'ictus (circa
    110.000 cittadini sono colpiti da ictus ogni anno mentre piu' di
    200.000 sono quelli con esiti di ictus pregressi), si rende
    indispensabile riorganizzare operativamente e promuovere
    culturalmente l'attenzione all'ictus cerebrale come emergenza medica
    curabile. E' necessario, quindi, prevedere un percorso integrato di
    assistenza al malato che renda possibile sia un intervento
    terapeutico in tempi ristretti per evitare l'instaurarsi di danni
    permanenti, e dall'altro canto un tempestivo inserimento del paziente
    gia' colpito da ictus in un sistema riabilitativo che riduca
    l'entita' del danno e favorisca il recupero funzionale.
    Per contrastare sia le malattie cardiovascolari sia quelle
    cerebrovascolari, e' molto importante intensificare gli sforzi nella
    direzione della prevenzione primaria e secondaria, attraverso:
    la modificazione dei fattori di rischio quali fumo, inattivita'
    fisica, alimentazione errata, ipertensione, diabete mellito;
    il trattamento con i farmaci piu' appropriati.
    E' necessario anche migliorare le attivita' di sorveglianza degli
    eventi acuti.
    L'obiettivo adottato nel 1999 dall'Organizzazione Mondiale della
    Sanita' per gli Stati dell'Europa per l'anno 2020 e' quello di una
    riduzione della mortalita' cardiovascolare in soggetti al di sotto
    dei 65 anni di eta' pari ad almeno il 40%.
    3.2.2. I tumori
    Il cancro costituisce la seconda causa di morte nel nostro Paese.
    Nel 1998 i decessi per tumore sono stati circa 160.000, il 28% circa
    della mortalita' complessiva. Il maggior numero assoluto di decessi
    e' attribuibile ai tumori polmonari, seguono quelli del colon-retto,
    dello stomaco e della mammella.
    Si stima che in Italia siano diagnosticati circa 270.000 nuovi
    casi di tumore all'anno.
    L'incidenza dei tumori nella popolazione italiana anziana e'
    ancora in aumento, mentre i tassi di incidenza, aggiustati per eta',
    sono stimati stabili. Nei dati dei Registri Tumori Italiani, il
    tumore del polmone e' quello con il massimo livello di incidenza,
    seguono i tumori della mammella, del colon-retto e dello stomaco.
    La distribuzione geografica del cancro in Italia e'
    caratterizzata dall'elevata differenza di incidenza e di mortalita'
    fra grandi aree del Paese, in particolare fra Nord e Sud. In entrambi
    i sessi e per la maggior parte delle singole localizzazioni tumorali
    ed in particolare per i tumori a maggiore frequenza, il rischio di
    ammalare e' molto superiore al Nord che al Sud del Paese. Nel 1997 i
    tassi standardizzati per eta' della mortalita' per cancro sono stati
    per 1.000 abitanti pari a:
    uomini: Nord-Ovest: 3,85; Nord-Est: 3,63; Centro: 3,35; Sud e
    Isole: 3,03;
    donne: Nord-Ovest: 1,93; Nord-Est: 1,83; Centro: 1,76; Sud e
    Isole: 1,57.
    La sopravvivenza in presenza della malattia e' costantemente
    aumentata nel tempo, a partire dal 1978, anno dal quale si dispone di
    dati. L'incremento in Italia e' stato il piu' forte tra tutti quelli
    osservati nei Paesi europei. Le probabilita' di sopravvivenza a 5
    anni, nell'ultimo periodo disponibile (pazienti diagnosticati fino al
    1994), sono complessivamente del 47% (39% negli uomini e 56% nelle
    donne). Nel corso di 5 anni, rispetto alle osservazioni precedenti,
    la sopravvivenza e' migliorata del 7% negli uomini e del 6% nelle
    donne.
    La differenza tra sessi e' dovuta soprattutto alla minore
    letalita' dei tumori specifici della popolazione femminile.
    Il fumo e le abitudini alimentari scorrette (compreso l'eccessivo
    consumo di alcool) sono fattori di rischio riconosciuti, per molte
    categorie di tumori, con peso etiologico variabile, e possono
    spiegare circa i 2/3 di tutti i casi di tumore. Gli interventi per
    contrastare questi fattori, cui sono dedicati specifici capitoli del
    presente Piano Sanitario, sono, quindi, di fondamentale importanza.
    La diagnosi precoce, che consenta la rimozione del tumore prima
    della diffusione nell'organismo di cellule metastatiche, sarebbe in
    via di principio, risolutiva almeno per i tumori solidi. Essa avrebbe
    inoltre un riscontro quasi immediato nelle statistiche di mortalita'.
    In pratica la diagnosi precoce clinica puo' non essere sufficiente a
    salvare la vita del paziente, anche se puo' in molti casi allungarne
    il tempo di sopravvivenza e migliorarne la qualita' della vita. Deve
    essere incentivato e reso disponibile l'approfondimento diagnostico
    anche in soggetti con sintomi lievi e con basso potere predittivo,
    con particolare attenzione alla popolazione anziana.
    Alle persone sane vanno proposti solo esami di screening di
    comprovata efficacia nella riduzione del tasso di mortalita' e di
    morbilita' dovute al cancro, che allo stato delle attuali conoscenze
    sono il Paptest, la mammografia e la ricerca del sangue occulto nelle
    feci.
    Tra i problemi che affliggono l'erogazione di un'adeguata
    assistenza ai cittadini affetti da neoplasia maligna, oltre alla
    mancanza di «ospedalizzazione a domicilio», vi e' la scarsita' di
    adeguate strutture ospedaliere specializzate nel trattamento del
    cancro. Gli aspetti negativi di questa situazione sono essenzialmente
    due: 1) la gran variabilita' della casistica clinica non consente ai
    tecnici di focalizzare il loro interesse professionale alla diagnosi
    e terapia di questa patologia; 2) la necessita' di fronteggiare tutte
    le patologie e la limitatezza dei fondi disponibili non consentono a
    tutti di acquisire le apparecchiature necessarie per erogare
    prestazioni adeguate (basta pensare alle poche Unita' di Radioterapia
    presenti sul territorio nazionale).
    L'oncologia e' una disciplina che coinvolge molti enti con
    diverso interesse principale, perche' non essendo ancora nota la
    causa etiologica e' necessaria un'intensa attivita' di ricerca che
    comprende la ricerca di base, la ricerca cosiddetta traslazionale e
    la ricerca clinica propriamente detta.
    Si e' pero' venuta a creare una situazione non bene definita,
    perche' questa suddivisione di compiti ha confini molto sfumati
    essenzialmente per la mancanza di un accordo formale sulla
    suddivisione di compiti tra enti diversi.
    Sia a livello nazionale sia a livello europeo sta per iniziare
    una discussione su questo problema: l'Unione Europea ha lanciato
    un'iniziativa definita «European Cancer Research Iniziative» il cui
    scopo essenziale e' di aiutare la Commissione Europea a definire i
    contenuti della parte oncologica del VI Programma Quadro. Nel corso
    della discussione e' pero' emersa come prioritaria la necessita' di
    risolvere i problemi dei pazienti a livello individuale e di salute
    pubblica. La proposta formulata dalle Associazioni Oncologiche
    europee e' di definire un modello di centro oncologico cui dare tre
    obiettivi prioritari:
    1) migliorare gli standard di prevenzione, diagnosi e terapia;
    2) favorire la parita' tra pazienti e medici;
    3) migliorare l'accesso alle strutture di diagnosi e cura in
    Europa.
    3.2.3. Le cure palliative
    In Italia muoiono ogni anno oltre 159.000 persone a causa di una
    malattia neoplastica (Istat, 1998) ed il 90% di esse (143.100)
    necessita di cure palliative che si realizzano attraverso la
    formulazione e l'offerta di un piano personalizzato di cura ed
    assistenza in grado di garantire la migliore qualita' di vita residua
    possibile durante gli ultimi mesi di vita al paziente stesso e alla
    sua famiglia. Tale fase, definita comunemente «fase terminale», e'
    caratterizzata per la persona malata da una progressiva perdita di
    autonomia, dal manifestarsi di sintomi fisici e psichici spesso di
    difficile e complesso trattamento, primo fra tutti il dolore, e da
    una sofferenza globale, che coinvolge anche il nucleo familiare e
    quello amicale e tale da mettere spesso in crisi la rete delle
    relazioni sociali ed economiche del malato e dei suoi cari.
    La fase terminale non e' caratteristica esclusiva della malattia
    oncologica, ma rappresenta una costante della fase finale di vita di
    persone affette da malattie ad andamento evolutivo, spesso cronico, a
    carico di numerosi apparati e sistemi, quali quello respiratorio (ad
    es. insufficienza respiratoria refrattaria in persone affette da
    malattie polmonari croniche), cardio-circolatorio (ad es. persone
    affette da miocardiopatie dilatative), neurologico (ad es. malattie
    degenerative quali la sclerosi multipla), epatico (ad es. cirrosi) e
    di persone colpite da particolari malattie infettive, in primo luogo
    l'A.I.D.S.
    Le cure palliative si rivolgono ai pazienti colpiti da una
    malattia che non risponde piu' a trattamenti specifici e la cui
    diretta conseguenza e' la morte. Il controllo del dolore e degli
    altri sintomi, l'attenzione agli aspetti psicologici, sociali e
    spirituali e', quindi, di fondamentale importanza. Lo scopo delle
    cure palliative e' il raggiungimento della migliore qualita' di vita
    possibile per i pazienti e le loro famiglie. Alcuni interventi
    palliativi sono applicabili anche precocemente nel decorso della
    malattia, in aggiunta al trattamento specifico.
    La filosofia cui le cure palliative si ispirano, quindi, e' tesa
    a produrre azioni finalizzate al miglioramento della qualita' di vita
    del paziente.
    Esse:
    affermano la vita e considerano il morire come un evento
    naturale;
    non accelerano ne' ritardano la morte;
    provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri disturbi;
    integrano gli aspetti psicologici e spirituali dell'assistenza;
    aiutano i pazienti a vivere in maniera attiva fino alla morte;
    sostengono la famiglia durante la malattia e durante il lutto.
    La maggior parte delle regioni ha gia' provveduto a definire la
    programmazione della rete degli interventi di cure palliative, anche
    se con modalita' tra loro in parte differenti: molte hanno elaborato
    programmi regionali specifici per le cure palliative ed altre hanno
    inserito lo sviluppo delle cure palliative all'interno del piu' vasto
    programma di riorganizzazione della rete di interventi domiciliari
    sanitari, socio-sanitari ed assistenziali (rete per la cura ed
    assistenza domiciliare).
    Cio' che emerge e' la necessita' di un modello di intervento di
    cure palliative flessibile ed articolabile in base alle scelte
    regionali, ma che, garantisca in tutto il Paese la risposta ottimale
    ai bisogni della popolazione, sia a quelli dei malati sia a quelli
    delle famiglie.
    La necessita' di offrire livelli assistenziali a complessita'
    differenziata, adeguati alle necessita' del malato, mutevoli anche in
    modo rapido ed imprevedibile, rende necessario programmare un sistema
    a rete che offra la maggior possibilita' di integrazione tra
    differenti modelli e livelli di intervento e tra i differenti e
    numerosi soggetti professionali coinvolti.
    La rete deve essere composta da un sistema di offerta nel quale
    la persona malata e la sua famiglia, ove presente, possano essere
    guidati e coadiuvati nel percorso assistenziale tra il proprio
    domicilio, sede di intervento privilegiata ed in genere preferita dal
    malato e dal nucleo familiare, e le strutture di degenza,
    specificamente dedicate al ricovero/soggiorno dei malati non
    assistibili presso la loro abitazione. La rete sanitaria e
    socio-sanitaria deve essere strettamente integrata con quella
    socio-assistenziale, al fine di offrire un approccio completo alle
    esigenze della persona malata.
    Ai fini di promuovere la diffusione delle cure palliative e'
    necessario quindi:
    rivedere alcuni aspetti normativi riguardo all'uso di farmaci
    antidolorifici, migliorando la disponibilita' degli oppiacei,
    semplificando la prescrizione medica, prolungando il ciclo di terapia
    e rendendone possibile l'uso anche a casa del paziente;
    individuare precise Linee Guida in materia di terapia antalgica
    per prevenire gli abusi ed orientare il medico nella prescrizione;
    implementare la rete assistenziale;
    attivare un sistema di valutazione;
    realizzare programmi di comunicazione e sensibilizzazione della
    popolazione;
    sostenere specifici programmi di ricerca;
    promuovere l'integrazione nella rete di cure palliative delle
    Organizzazioni no-profit operanti in questo settore, attraverso la
    valorizzazione delle Associazioni di Volontariato.
    3.2.4. Il diabete e le malattie metaboliche
    Le malattie metaboliche, in progressivo aumento anche in rapporto
    con l'innalzamento della vita media della popolazione, rappresentano
    una causa primaria di morbilita' e mortalita' nel nostro Paese.
    Il diabete di tipo 1, dipendente da carenza primaria di insulina,
    necessita di trattamento specifico insulinico sostitutivo, ma la
    gravita' della prognosi e' strettamente legata ad una corretta
    gestione, da parte degli stessi pazienti, dello stile di vita in
    generale e di quello alimentare in particolare.
    Pertanto e' opportuno attivare:
    programmi di prevenzione primaria e secondaria, in particolare
    per il diabete mellito in eta' evolutiva, con l'obiettivo di ridurre
    i tassi di ospedalizzazione ed i tassi di menomazione permanente
    (cecita', amputazioni degli arti);
    strategie per migliorare la qualita' di vita dei pazienti,
    attraverso programmi di educazione ed informazione sanitaria.
    L'incidenza del diabete di tipo 2 (non dovuto alla carenza di
    insulina, cosiddetto dell'adulto) e' in aumento in tutto il mondo,
    sia in quello occidentale che nei Paesi in via di sviluppo, anche
    perche' la diagnosi viene posta in fase piu' precoce rispetto al
    passato.
    L'incremento epidemico dei casi di obesita', d'altra parte,
    rappresenta di per se' un'importante fattore di rischio per la
    comparsa clinica della malattia diabetica.
    Vi e' oggi convincente evidenza che il counselling individuale
    finalizzato a ridurre il peso corporeo, a migliorare le scelte
    alimentari (riducendo il contenuto di grassi totali e di grassi
    saturi e aumentando il contenuto in fibre della dieta) e ad aumentare
    l'attivita' fisica, riduce il rischio di progressione verso il
    diabete del 58% in 4 anni.
    Le complicanze del diabete sono prevalentemente a carico
    dell'apparato cardiocircolatorio e possono essere decisamente
    penalizzanti per la qualita' e la durata della vita. In massima parte
    possono essere prevenute dalla diagnosi precoce, dal miglioramento
    del trattamento specifico e da programmi di educazione sanitaria
    orientati all'autogestione della malattia. In particolare, la
    riduzione ed il controllo del peso corporeo, oltre a ridurre il
    rischio di comparsa clinica del diabete, contribuisce anche a ridurre
    il rischio delle sue complicanze, specie quelle di eventi
    cardiovascolari.
    L'OMS ha posto come obiettivo per l'anno 2020 la riduzione di un
    terzo dell'incidenza delle complicanze legate al diabete.
    Due milioni di italiani hanno dichiarato di soffrire di diabete
    secondo l'indagine multiscopo ISTAT con notevoli differenze
    geografiche di prevalenza autopercepita e questo dato e' coerente con
    la rilevazione della rete di osservatori cardiovascolari relativa
    alla distribuzione della glicemia ed alla proporzione di diabetici.
    E' pero' assai probabile che il numero di italiani diabetici, senza
    sapere di esserlo, sia altrettanto alto.
    Una strategia di educazione comportamentale, di prevenzione
    globale delle patologie metaboliche e di conseguenza della morbilita'
    e mortalita' da danno vascolare e cardiaco, non puo' prescindere
    dall'affrontare il problema del sovrappeso e dell'obesita'.
    L'obesita' e' la seconda causa di morte prevenibile, dopo il
    fumo. Nel mondo industrializzato, circa meta' della popolazione e' in
    eccesso di peso. In Italia negli ultimi dieci anni la prevalenza
    dell'obesita' e' aumentata del 50% e questo e' piu' evidente nei
    soggetti in eta' pediatrica, soprattutto nelle classi
    socio-economiche piu' basse. I costi socio-sanitari dell'obesita'
    hanno superato, negli Stati Uniti, i 100 miliardi di dollari l'anno,
    mentre per l'Italia, i costi diretti dell'obesita' sono stimati in
    circa 23 miliardi di euro l'anno. La maggior parte di tali costi
    (piu' del 60 %), e' dovuta a ricoveri ospedalieri, ad indicare quanto
    il sovrappeso e l'obesita' siano i reali responsabili di una serie di
    gravi patologie cardiovascolari, metaboliche, osteoarticolari,
    tumorali e respiratorie che comportano una ridotta aspettativa di
    vita ed un notevole aggravio per il Sistema Sanitario Nazionale.
    3.2.5 I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA)
    I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) in particolare
    l'anoressia nervosa e la bulimia nervosa, sono malattie mentali che
    comportano gravi danni somatici, con un rischio di morte dodici volte
    maggiore di quello dei soggetti normali della stessa eta': essi
    rappresentano un problema socio-sanitario molto importante per tutti
    i Paesi sviluppati, e quindi anche per l'Italia. A livello
    internazionale, gli studi di prevalenza, condotti su donne fra i 12 e
    25 anni, hanno indicato valori compresi tra 0.2 e 0.8% per
    l'anoressia nervosa e tra 0.5 e 1.5% per la bulimia nervosa.
    L'incidenza dell'anoressia nervosa negli ultimi anni risulta
    stabilizzata su valori di 4-8 nuovi casi annui per 100.000 abitanti,
    mentre quella della bulimia nervosa risulta in aumento, ed e'
    valutata in 9-12 nuovi casi/anno. La maggior parte degli studi e'
    stata effettuata in paesi anglosassoni e in Italia sono stati
    rilevati dati sovrapponibili.
    Per quanto attiene all'obesita' e' oramai dimostrato che nel suo
    trattamento l'intervento di ordine psico-comportamentale e'
    fondamentale nel determinare il successo terapeutico, anche se deve
    essere ribadito che si tratta di una condizione definita su base
    morfologica ma non ancora adeguatamente inquadrata su base
    psicopatologica.
    Lo studio e la cura della obesita' e piu' in generale della
    Sindrome Metabolica, si intrecciano profondamente e indissolubilmente
    con lo studio e la cura del comportamento alimentare e dei suoi
    disturbi (anoressia nervosa, bulimia nervosa, binge eating disorder,
    night eating syndrome, etc.) per quanto suddetto e per almeno tre
    altri motivi:
    per tutte queste patologie nessuna cura e' efficace se non
    implica un cambiamento profondo del comportamento alimentare e dello
    stile di vita;
    cure inadeguate dell'obesita' sono corresponsabili del grande
    aumento dei disordini alimentari nel mondo contemporaneo;
    come la cura dell'obesita', anche quella dei DCA e'
    multidisciplinare e impone la collaborazione tra internisti,
    nutrizionisti, psichiatri e psicologi.
    Sia per l'obesita' che per i disturbi del comportamento
    alimentare si segnalano la gravissima insufficienza delle strutture
    sanitarie, l'inadeguatezza della formazione attuale di base e la
    necessita' di un approccio multidimensionale.
    La lotta all'obesita' ed ai DCA mira a diminuire il numero di
    persone che si ammalano di questi stati morbosi e ad aumentare, in
    coloro che ne sono affetti, la probabilita' di migliorare o di
    sopravvivere in condizioni soddisfacenti. Le strategie si possono
    articolare in aree che hanno caratteristiche e tempi di realizzazione
    differenti: prevenzione primaria, prevenzione secondaria, assistenza,
    formazione, ricerca. Queste azioni potranno beneficiare delle
    informazioni ottenute attraverso gli strumenti epidemiologici, il cui
    obiettivo prioritario e' quello di:
    controllare prevalenza e incidenza della SM, dell'obesita' e
    dei DCA con lo scopo di identificare i casi secondo le categorie
    previste dall'OMS e valutare il numero di nuovi malati in relazione
    alla popolazione residente;
    individuare i soggetti ad alto rischio per indirizzare con
    maggiore precisione le politiche di intervento;
    valutare l'efficacia degli interventi mediante controlli a
    distanza di tempo.
    3.2.6. Le malattie respiratorie e allergiche
    Le malattie polmonari croniche ostruttive hanno un grave impatto
    sulla qualita' della vita, sulla disabilita', sui costi per
    l'assistenza sanitaria, nonche' sull'assenteismo dal lavoro in molti
    Paesi europei ed anche in Italia, anche se rispetto ad altri Paesi
    europei, l'Italia mostra un tasso di mortalita' al di sotto della
    media dell'Unione Europea. In Italia, inoltre, il tasso di mortalita'
    per malattie croniche respiratorie, quasi interamente attribuibile a
    bronchite cronica ed enfisema polmonare, mostra una tendenza alla
    diminuzione, che dovrebbe essere ulteriormente rafforzata attraverso
    l'intensificazione della prevenzione alle esposizioni ambientali e
    occupazionali ed il miglioramento dei trattamenti terapeutici.
    La presenza di rinite allergica stagionale e perenne e' invece in
    costante aumento da tempo e cosi' pure l'asma allergica. I fattori
    principali alla base dell'aumento della prevalenza delle malattie
    allergiche sono l'inquinamento intramurale causato da acari della
    polvere, pelo di gatto e miceti; il fumo di tabacco; l'inquinamento
    atmosferico causato da ozono, materiale particolato, NO2 e SO2; le
    abitudini alimentari; gli stili di vita (sempre piu' tempo trascorso
    in ambienti chiusi); le condizioni igieniche nonche' l'introduzione
    di nuove sostanze nei prodotti e nell'ambiente.
    Fra le altre malattie allergiche, l'incidenza cumulativa di
    dermatite atopica prima dei 7 anni di eta' e' aumentata in modo
    esponenziale e si stima che essa sia pari all'1% circa nella
    popolazione generale. Molto diffusa e' anche la dermatite allergica
    da contatto che si stima interessi circa l'1% della popolazione; il
    nickel e' considerato il principale responsabile della
    sensibilizzazione da contatto.
    La diffusione dell'asma bronchiale e' un problema di sanita'
    pubblica rilevante (l'asma e' malattia sociale riconosciuta dal
    1999), perche' e' la malattia cronica piu' frequente tra i bambini,
    per i quali rappresenta anche una causa importante di mortalita',
    nonostante i miglioramenti terapeutici.
    L'asma richiede un approccio multidisciplinare, che comprende la
    diagnosi accurata, l'educazione dei pazienti, modifiche del
    comportamento, l'individuazione e la rimozione delle condizioni
    scatenanti l'attacco di asma, una appropriata terapia, e frequenti
    controlli medici.
    Si rende necessario migliorare, tramite sistemi di sorveglianza
    mirati, la conoscenza della epidemiologia dell'asma e delle patologie
    allergiche e del ruolo etiologico di fattori genetici, personali ed
    ambientali, nonche' dell'efficacia dei metodi per la riduzione
    dell'esposizione agli allergeni nell'ambiente e negli alimenti e la
    valutazione dell'impatto di tali metodi sulla salute. E' necessario
    inoltre promuovere campagne di educazione e formazione per il
    personale sanitario, per i pazienti e le loro famiglie.
    3.2.7. Le malattie reumatiche ed osteoarticolari
    Le malattie reumatiche comprendono un variegato numero di
    patologie, caratterizzate da una progressiva compromissione della
    qualita' della vita delle persone affette per la perdita di
    autonomia, per i disturbi ed i disagi lamentati ed a causa della
    mancanza di significative aspettative di miglioramento o guarigione.
    Tali patologie rappresentano la piu' frequente causa di assenze
    lavorative e la causa del 27% circa delle pensioni di invalidita'
    attualmente erogate in Italia. Il numero delle persone affette e'
    stimato in circa 6 milioni, pari al 10% della popolazione generale.
    La caratteristica cronicita' di queste malattie, la mancanza di
    terapie che portino a favorevoli risoluzioni dei quadri clinici per
    alcune forme gravi, la disabilita' provocata, con progressiva
    diminuzione della funzionalita', specie a carico degli arti e
    dell'apparato locomotorio e la conseguente diminuzione della
    capacita' lavorativa e del grado di autonomia delle persone affette,
    nonche' l'elevato numero degli individui colpiti, rappresentano ad
    oggi i maggiori punti di criticita'.
    Le azioni prioritarie riguardano l'estensione della diagnosi
    precoce della malattia ed il miglioramento della prestazione di
    fisioterapia e riabilitazione. E', inoltre, necessario ridurre
    l'impatto dei fattori di rischio associati a queste patologie e
    sviluppare nuovi medicinali per il trattamento. Anche l'efficace
    prevenzione dell'osteoporosi rappresenta un obiettivo prioritario.
    L'osteoporosi e' una patologia del metabolismo osseo di
    prevalenza e incidenza in costante incremento che rappresenta un
    rilevante problema sanitario. La malattia coinvolge un terzo delle
    donne tra i 60 e i 70 anni e due terzi delle donne dopo gli 80 anni,
    e si stima che il rischio di avere una frattura da osteoporosi sia
    nella vita della donna del 40% contro un 15% nell'uomo.
    Particolarmente temibile e' la frattura femorale per l'elevata
    mortalita' (dal 15 al 30%) e per le invalidanti complicanze croniche
    ad essa associate. I piu' noti e importanti fattori di rischio per
    l'osteoporosi sono la presenza di fratture patologiche nel
    gentilizio, la presenza anamnestica di fratture da traumi di lieve
    entita', la menopausa precoce per le donne, l'amenorrea prolungata,
    il fumo, l'abuso di alcolici, la magrezza, l'uso di corticosteroidi,
    il malassorbimento intestinale, alcune patologie endocrine. Nessuna
    terapia consente di recuperare la massa ossea persa, ma solo di
    bloccarne la progressione riducendo il rischio di fratture.
    Fondamentale quindi e' la prevenzione, con misure volte a migliorare
    lo stile di vita alimentare e fisico nei soggetti giovani e anziani.
    3.2.8. Le malattie rare
    Le malattie rare costituiscono un complesso di oltre 5000
    patologie, spesso fatali o croniche invalidanti, che rappresentano il
    10% delle patologie che affliggono l'umanita'. Malattie considerate
    rare nei Paesi occidentali sono, a volte, molto diffuse nei Paesi in
    via di sviluppo. Nel programma di azione per la lotta alle malattie
    rare, la Commissione Europea ha definito rare quelle patologie la cui
    incidenza non e' superiore a 5 su 10.000 abitanti. L'80% delle
    malattie rare, circa 4000, e' di origine genetica, mentre il restante
    20% sono acquisite, ma non per questo meno gravi e invalidanti.
    Per la loro rarita', queste malattie sono difficili da
    diagnosticare e, spesso, sono pochi i Centri specializzati nella
    diagnosi e nella cura; per molte di esse, inoltre, non esistono
    ancora terapie efficaci. La scarsa incidenza delle patologie rare e
    la frammentazione dei pazienti affetti da tali patologie in diversi
    Centri sono un ostacolo alle innovazioni terapeutiche possibili
    attraverso studi clinici controllati. Inoltre, le industrie
    farmaceutiche, a causa del mercato limitato, hanno scarso interesse a
    sviluppare la ricerca e la produzione dei cosiddetti farmaci orfani,
    potenzialmente utili per tali patologie.
    Le malattie rare, essendo croniche e invalidanti, rappresentano
    un importante problema sociale. La loro scarsa conoscenza comporta,
    per coloro che ne sono affetti e per i loro familiari, notevoli
    difficolta' nell'individuare i Centri specializzati nella diagnosi e
    nella cura, e, quindi, accedere a eventuali trattamenti, peraltro
    scarsamente disponibili.
    Cio' rende indispensabile un intervento pubblico coordinato al
    fine di ottimizzare le risorse disponibili.
    A livello della Unione Europea le malattie rare sono state
    oggetto di attenzione con l'approvazione della Decisione N.
    1295/1999/CE del 29 aprile 1999 il cui programma d'azione prevede:
    il miglioramento delle conoscenze sulle malattie rare,
    incentivando la creazione di una rete europea d'informazione per i
    pazienti e le loro famiglie;
    la formazione e l'aggiornamento degli operatori sanitari, al
    fine di migliorare la diagnosi precoce;
    il rafforzamento della collaborazione internazionale tra le
    organizzazioni di volontariato e professionali impegnati
    nell'assistenza;
    il sostegno del monitoraggio delle malattie rare negli Stati
    membri.
    Rispetto a tali problematiche, il Decreto Ministeriale 18 maggio
    2001, n. 279, emanato in attuazione dell'art. 5, comma 1, lettera b)
    del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, prevede:
    l'istituzione di una rete nazionale dedicata alle malattie
    rare, mediante la quale sviluppare azioni di prevenzione, attivare la
    sorveglianza, migliorare gli interventi volti alla diagnosi e alla
    terapia, promuovere l'informazione e la formazione, ridurre l'onere
    che grava sui malati e sulle famiglie. La rete e' costituita da
    presidi accreditati, appositamente individuati dalle Regioni per
    erogare prestazioni diagnostiche e terapeutiche;
    l'ottimizzazione del Registro delle Malattie Rare, istituito
    presso l'Istituto Superiore di Sanita', per poter avere a livello
    nazionale dati sulla prevalenza, incidenza e fattori di rischio delle
    diverse malattie rare;
    la definizione di 47 gruppi di malattie comprendenti 284
    patologie (congenite e acquisite) ai fini dell'esenzione dalla
    partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie correlate;
    la promozione di protocolli diagnostici e terapeutici comuni,
    lo sviluppo delle attivita' di ricerca tese al miglioramento delle
    conoscenze e la realizzazione di programmi di prevenzione.
    Infine l'accordo Stato-Regioni siglato in data 11 luglio 2002
    promuove l'istituzione di un gruppo tecnico interregionale permanente
    cui partecipano il Ministero della salute e l'Istituto Superiore di
    Sanita' per il coordinamento ed il monitoraggio delle attivita'
    assistenziali per le malattie rare, al fine di ottimizzare il
    funzionamento delle reti regionali e salvaguardare il principio di
    equita' dell'assistenza per tutti i cittadini.
    3.2.9. Le malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione
    Ottimi risultati si sono registrati recentemente in Italia in
    termini di controllo di alcune malattie prevenibili con le
    vaccinazioni. La difterite e' stata eliminata e il nostro Paese ha da
    poco ricevuto la certificazione ufficiale di eradicazione della
    poliomielite. Il tetano colpisce quasi esclusivamente persone anziane
    non vaccinate. L'epatite B e' in continuo declino, in modo
    particolare nelle classi di eta' piu' giovani, interessate fin dal
    1991 dalla vaccinazione universale.
    Non mancano, tuttavia, in Italia numerose malattie per le quali
    e' necessario un controllo piu' efficace attraverso le vaccinazioni.
    La vaccinazione contro il morbillo (incidenza nel 1999 pari a 5,05
    casi su 100.000) e' raccomandata, ma il livello stimato di copertura
    di immunizzazione e' ancora il piu' basso tra i Paesi dell'Europa
    occidentale (56% nel 1998), con profonde differenze tra aree diverse
    del Paese. La rosolia e' ancora frequente (incidenza di 5,76 per
    100.000 nel 1998) e nel 1999 sono stati denunciati in Italia piu' di
    40.400 casi di parotite (tasso di incidenza: 70,2 per 100.000),
    nonostante l'esistenza del vaccino combinato per parotite, morbillo e
    rosolia (vaccino MMR), il cui uso e' pero' volontario, sebbene
    raccomandato.
    L'incidenza della pertosse e' ancora elevata (circa 7 per 100.000
    abitanti nel 1999, anno in cui sono stati notificati 3.797 casi); la
    vaccinazione e' volontaria ma il livello stimato di copertura
    vaccinale e' stato piuttosto alto nel 1998 (87,9%, con un intervallo
    tra 70,5% e 97,6%) nei bambini di 24 mesi di eta'.
    Per quanto l'incidenza di epatite B stia lentamente diminuendo in
    Italia (nel 1999 essa e' stata del 2,74 per 100.000), il livello
    permane ancora fra i piu' elevati dell'Europa occidentale; la
    vaccinazione contro l'epatite B e' obbligatoria in Italia per i
    bambini fin dal 1991 e la stima della copertura, osservata nel 1998,
    e' stata a livello nazionale del 90%, con solo tre Regioni con
    copertura inferiore al 90%.
    La vaccinazione contro l'Haemophilus influenzae di tipo B puo'
    anche prevenire forme invasive della malattia quali meningiti e
    polmoniti. La vaccinazione in Italia e' volontaria ed il livello di
    copertura vaccinale e' molto basso e non uniformemente distribuito
    nelle diverse Regioni.
    L'influenza rappresenta ancora, in Italia, un'importante causa di
    morte per patologia infettiva, e nel corso di epidemie estese il
    tasso d'attacco dell'infezione puo' variare dal 5% al 30%, con
    conseguenti importanti ripercussioni negative sull'attivita'
    lavorativa e sulla funzionalita' dei servizi di pubblica utilita', in
    primo luogo di quelli sanitari. La copertura vaccinale negli anziani
    di eta' pari o superiore a 64 anni non ha superato nel periodo
    1999-2000 il 41% circa a livello nazionale.
    La recente disponibilita' di efficaci vaccini contro la varicella
    e contro le infezioni invasive da pneumococco, consente l'avvio di
    iniziative mirate di prevenzione vaccinale orientate alla riduzione
    dell'incidenza di queste importanti patologie.
    Occorre procedere con decisione nella direzione della attuazione
    degli obiettivi adottati dall'OMS per questo gruppo di malattie:
    entro il 2007 il morbillo dovrebbe essere eliminato ed entro il
    2010 tale eliminazione deve essere certificata in ogni Paese;
    entro l'anno 2010 tutti i Paesi dovrebbero avere un'incidenza
    inferiore ad 1 per 100.000 abitanti per parotite, pertosse e malattie
    invasive causate da Haemophilus influenzae di tipo B.
    Essendo disponibili per queste malattie vaccini efficaci, questi
    risultati possono essere conseguiti attraverso una serie di
    iniziative che consentano il raggiungimento di appropriate coperture
    vaccinali. In tale quadro e' anche importante:
    individuare ed effettuare indagini rapide riguardanti gli
    eventi epidemici;
    sorvegliare la frequenza di eventi avversi associabili a
    vaccinazione;
    sorvegliare le infezioni nosocomiali e quelle a trasmissione
    iatrogena;
    controllare le patologie infettive acquisite in occasioni di
    viaggi;
    diffondere le informazioni sulla frequenza e prevenzione delle
    malattie infettive;
    partecipare efficacemente al sistema di sorveglianza
    epidemiologico per il controllo delle malattie infettive dell'Unione
    Europea;
    combattere il crescente problema della resistenza acquisita
    alla maggior parte degli antibiotici disponibili da parte di
    microrganismi patogeni, soprattutto batteri, con gravi implicazioni
    sul trattamento delle malattie infettive. Apposite Linee Guida sono
    state adottate dal Consiglio dell'Unione Europea nel 2000 e 2001
    sull'uso prudente degli antibiotici nella medicina umana e in altri
    settori per minimizzare gli inconvenienti derivanti da questa
    situazione.
    Appare nel prossimo futuro la possibilita' di realizzare diversi
    nuovi vaccini tra i quali due in particolare di grande rilevanza:
    1) vaccini anti-HIV. L'Istituto Superiore di Sanita' (ISS) ha
    recentemente sviluppato e brevettato un nuovo vaccino sia di tipo
    preventivo che terapeutico. Tale vaccino basato sull'uso della
    proteina regolatoria TAT o del suo DNA ha dato lusinghieri risultati
    di protezione nelle scimmie. In base a questi risultati l'ISS insieme
    ad altri Centri clinici nazionali iniziera' in primavera i trials
    clinici di fase I. Un secondo vaccino basato sull'uso di componenti
    strutturali (Env, Gag) del virus e' stato sviluppato e brevettato
    dalla Chiron con risultati anche essi promettenti, la cui
    sperimentazione clinica di fase I iniziera' entro l'anno.
    Recentemente l'ISS e la Chiron hanno realizzato un accordo per lo
    sviluppo di un vaccino combinato, che contenendo le tre componenti
    (TAT, Env, Gag) e' destinato potenzialmente ad avere una maggiore
    efficacia rispetto ai singoli componenti;
    2) vaccino anti-HPV. Si tratta di un vaccino terapeutico contro
    il carcinoma della cervice uterina brevettato negli Stati Uniti che
    inizia prossimamente il suo cammino sperimentale nella donna. Anche
    per questo vaccino l'Istituto Superiore di Sanita' sta realizzando
    rapporti di partenariato con i produttori.
    3.2.10. La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e le
    malattie a trasmissione sessuale
    In Italia, il numero cumulativo di casi di AIDS segnalati
    dall'inizio dell'epidemia ha raggiunto quota 50.000, ma a partire da
    meta' del 1996 si e' osservato un decremento nel numero di nuovi
    casi, dovuto in parte all'effetto delle terapie anti-retrovirali ed
    in misura minore agli effetti della prevenzione. I sistemi di
    sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da HIV, attivi in
    alcune Regioni italiane, suggeriscono che l'incidenza di nuove
    infezioni si e' stabilizzata negli ultimi anni e a differenza di
    quanto accadeva tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90
    non tende piu' alla diminuzione.
    Le altre malattie a trasmissione sessuale piu' frequentemente
    diagnosticate in Italia sono i condilomi acuminati, le infezioni
    genitali non specifiche (uretriti batteriche non gonococciche ne'
    causate da Clamidia), la sifilide latente e l'Herpes genitale. Altre
    classiche malattie veneree, come gonorrea e sifilide primaria o
    secondaria, sono rispettivamente al settimo e nono posto per
    frequenza.
    Secondo l'obiettivo definito dall'OMS nel 1999, ciascuno Stato
    dovrebbe attuare, entro l'anno 2015, una riduzione dell'incidenza
    della mortalita' e delle conseguenze negative dell'infezione da HIV e
    delle altre malattie a trasmissione sessuale.
    A tal fine, le azioni prioritarie da attuare sono:
    il miglioramento della sorveglianza e del monitoraggio
    dell'infezione da HIV;
    il contrasto della trasmissione dell'HIV e degli altri agenti
    infettivi;
    il miglioramento della qualita' della vita delle persone
    infette da HIV;
    la riduzione di comportamenti sessuali a rischio e la
    promozione di campagne di promozione della salute specialmente nella
    popolazione giovanile;
    lo sviluppo del vaccino con interventi a favore della ricerca
    che prevedano il co-finanziamento pubblico-privato;
    il reinserimento sociale dei pazienti con infezione da HIV.
    L'inserimento sociale delle persone affette da AIDS trattate
    precocemente e la cui attesa di vita e' molto prolungata, e' un
    problema che dovremo affrontare con maggior energia nel prossimo
    futuro.
    Queste persone infatti costruiscono ora un progetto di vita, in
    quanto la loro sopravvivenza viene assicurata dai farmaci per molti
    anni. Il progetto di vita comprende il completo reinserimento nel
    mondo del lavoro e della societa' in genere. Per queste persone e'
    quindi necessario sviluppare programmi di accompagnamento su questo
    percorso con adeguati sostegni e misure utili allo scopo.
    3.3. Ridurre gli incidenti e le invalidita'
    Le cause esterne di morte e disabilita', che includono gli
    incidenti nell'ambiente sociale e sul lavoro, i disastri naturali e
    quelli provocati dall'uomo, gli avvelenamenti, gli incidenti durante
    le cure mediche e la violenza, costituiscono, particolarmente
    nell'eta' adulta, un'importante causa di morte.
    I dati relativi agli incidenti stradali, indicano un incremento a
    partire dalla fine degli anni '80, soprattutto nel Nord dell'Italia,
    con un quadro che comporta circa 8.000 morti, 170.000 ricoveri,
    600.000 prestazioni di pronto soccorso ogni anno, cui fanno riscontro
    circa 20.000 invalidi permanenti. Il fenomeno costituisce ancora la
    prima causa di morte per i maschi sotto i 40 anni e una delle cause
    maggiori di invalidita' (piu' della meta' dei traumi cranici e
    spinali sono attribuibili a questi eventi).
    Gli incidenti stradali sono pertanto un'emergenza sanitaria che
    va affrontata in modo radicale al fine di rovesciare l'attuale
    tendenza e pervenire, secondo l'obiettivo fissato dall'OMS per l'anno
    2020, ad una riduzione almeno del 50% della mortalita' e disabilita'.
    Gli interventi principali di prevenzione riguardano:
    la utilizzazione del casco da parte degli utenti di veicoli a
    motore a due ruote;
    gli standard di sicurezza dei veicoli;
    l'uso corretto dei dispositivi di sicurezza (cinture e
    seggiolini);
    le migliori condizioni di viabilita' (segnaletica stradale,
    illuminazione, condizioni di percorribilita) nelle zone ad alto
    rischio di incidenti stradali;
    la promozione della guida sicura mediante campagne mirate al
    rispetto dei limiti di velocita' e della segnaletica stradale nonche'
    alla riduzione della guida sotto l'influsso dell'alcool;
    il potenziamento del trasporto pubblico.
    Anche il fenomeno degli incidenti domestici e del tempo libero
    mostra un andamento in continua crescita, con un numero di casi di
    circa 4.000.000 per anno, che coinvolgono soprattutto
    ultrasessantacinquenni e donne. Si stima che circa la meta' di questi
    incidenti avvenga in casa o nelle pertinenze (incidenti domestici).
    Gli incidenti domestici rappresentano dunque un fenomeno di grande
    rilevanza nell'ambito dei temi legati alla prevenzione degli eventi
    evitabili e particolare attenzione deve essere dedicata agli
    incidenti che coinvolgono gli anziani, soprattutto
    istituzionalizzati. Per quanto riguarda l'obiettivo di ridurre in
    modo significativo la mortalita' e la disabilita' da incidenti
    domestici, gli aspetti prioritari sono quelli connessi
    all'informazione e comunicazione nonche' alla:
    incentivazione delle misure di sicurezza domestica strutturale
    ed impiantistica e dei requisiti di sicurezza dei complementi di
    arredo;
    predisposizione di programmi intersettoriali volti a favorire
    l'adattamento degli spazi domestici alle condizioni di disabilita' e
    di ridotta funzionalita' dei soggetti a rischio;
    costruzione di un sistema di sorveglianza epidemiologica del
    fenomeno infortunistico e individuazione di criteri di misura degli
    infortuni domestici.
    Per gli incidenti negli ambienti esterni, durante il tempo
    libero, gli uomini sono piu' a rischio delle donne, anche per il
    maggiore consumo di alcool. Le piscine, i laghi ed altri bacini
    d'acqua dolce contribuiscono in modo significativo alle statistiche
    sugli annegamenti, specialmente nei bambini, con 500-600 morti
    all'anno.
    3.4. Sviluppare la riabilitazione
    La domanda di riabilitazione negli ultimi anni ha registrato un
    incremento in parte imputabile all'aumento dei gravi traumatismi
    accidentali e ai progressi della medicina che consentono la
    sopravvivenza a pazienti un tempo destinati all'exitus. In questo
    contesto particolare rilevanza assumono le lesioni del midollo
    spinale e i gravi traumi cranioencefalici per le conseguenze
    altamente invalidanti che possono comportare. Dati recenti indicano
    l'incidenza delle mielolesioni pari a circa 1500 nuovi casi l'anno,
    di cui il 67% imputabile ad eventi traumatici. L'incidenza dei gravi
    traumatismi cranioencefalici, e' di circa 4.500 nuovi casi l'anno su
    tutto il territorio nazionale. Di questi la mortalita' in fase acuta
    incide per il 34%, il 40% dei pazienti presenta esiti invalidanti
    modesti, il 25% e' affetto da danni o complicanze di gravita' tale da
    richiedere il ricovero in strutture di terapia intensiva e
    neuroriabilitazione e l'1% (45 casi per anno) permane in stato
    vegetativo dopo 12 mesi dall'evento.
    La riabilitazione del soggetto gravemente traumatizzato deve
    essere garantita con tempestivita' gia' durante le fasi di ricovero
    nelle strutture di emergenza. Non appena cessino le condizioni che
    richiedono un ricovero nell'area della terapia intensiva, deve essere
    garantita l'immediata presa in carico del paziente da parte delle
    Unita' Operative di alta specialita' riabilitativa per assicurare la
    continuita' del processo terapeutico assistenziale.
    Quale che sia la natura dell'evento lesivo che causa la
    necessita' di interventi di riabilitazione, gli obiettivi da
    perseguire sono la garanzia dell'unitarieta' dell'intervento mediante
    un approccio multidisciplinare e la predisposizione ed attuazione di
    un progetto riabilitativo personalizzato, al fine di consentire al
    paziente il livello massimo di autonomia fisica, psichica e
    sensoriale. Cio' implica l'attivazione di un percorso in cui si
    articolano competenze professionali diverse, funzionamento in rete
    dei servizi e strutture a diversi livelli e con diverse modalita' di
    offerta (ospedaliera, extrospedaliera, residenziale, semiresidenziale
    e domiciliare) e di integrazione tra aspetti sanitari e sociali.
    3.5. Migliorare la medicina trasfusionale
    Le attivita' di medicina trasfusionale sono parte integrante dei
    livelli essenziali di assistenza garantiti dal Servizio Sanitario
    Nazionale e si fondano sulla donazione volontaria, e non remunerata,
    del sangue e dei suoi componenti.
    Considerando che gli attuali sistemi di coordinamento a livello
    regionale e nazionale sono riusciti solo in parte a raggiungere gli
    obiettivi previsti dai precedenti Piani Sanitari e dai Piani Sangue,
    si pone l'urgenza di riformare la legge 4 maggio 1990, n. 107, anche
    alla luce dei cambiamenti conseguenti all'organizzazione federalista
    dello Stato. La nuova legge dovra' razionalizzare il sistema a
    livello regionale, indicando i rispettivi ruoli del Ministero della
    Salute, delle Regioni, dei Centri Regionali di Coordinamento e
    Compensazione e del Centro Nazionale Trasfusione Sangue da istituirsi
    presso l'Istituto Superiore di Sanita'.
    L'introduzione di nuovi test sierologici ed in particolare delle
    tecniche di biologia molecolare ha ridotto il rischio di trasmissione
    dei virus dell'epatite o dell'AIDS mediante la trasfusione del sangue
    e dei suoi prodotti a livelli molto bassi, inferiori al rischio di
    infezione associato ad altre manovre invasive ospedaliere. Malgrado
    questo notevole incremento della sicurezza della trasfusione, per
    realizzare il quale sono necessarie ingenti risorse economiche, molto
    resta ancora da fare per assicurare l'appropriatezza della richiesta
    e della trasfusione. Per diffondere la cultura del buon uso del
    sangue sono state emanate Linee Guida ed istituiti in tutto il Paese
    Comitati ospedalieri per il buon uso del sangue, ma il risultato e'
    stato molto modesto: tra le cause di questo insuccesso vi e' da un
    lato la scarsa attenzione dei clinici per le problematiche della
    donazione e trasfusione di sangue, dall'altro l'inquadramento del
    servizio trasfusionale in un'area quasi esclusivamente di
    laboratorio. Gli obiettivi primari dell'autosufficienza regionale e
    nazionale, i piu' elevati livelli di sicurezza uniformi su tutto il
    territorio nazionale e la definizione dei Livelli Essenziali di
    Assistenza trasfusionale possono essere ottenuti attraverso un nuovo
    modello di sistema trasfusionale, con criteri di funzionamento e di
    finanziamento definiti sulla base:
    delle attivita' di produzione, comprendenti la selezione ed i
    controlli periodici del donatore, la raccolta, la lavorazione, la
    validazione, la conservazione ed il trasporto del sangue e degli
    emocomponenti, comprese le cellule staminali da sangue periferico e
    placentare (sangue da cordone ombelicale), nonche' la raccolta di
    plasma da destinare alla preparazione degli emoderivati;
    attivita' di servizio, quali l'assegnazione e la distribuzione
    del sangue e dei suoi prodotti, anche per l'urgenza.
    Con l'intervento insostituibile delle Associazioni di Donatori
    Volontari di Sangue, e delle relative Federazioni, va incrementato in
    tutto il territorio nazionale il numero dei donatori volontari
    periodici e non remunerati per eliminare le carenze di sangue ancora
    esistenti in alcune Regioni.
    Per i prossimi anni occorre perseguire i seguenti obiettivi:
    raggiungere l'autosufficienza regionale e nazionale del sangue
    e dei suoi prodotti;
    conseguire piu' elevati livelli di sicurezza nell'ambito di
    tutto il processo finalizzato alla trasfusione;
    assicurare al sistema trasfusionale un sistema di garanzia di
    qualita' e sviluppare l'emovigilanza, articolata a livello locale,
    regionale e nazionale;
    stipulare fra le Regioni e le Aziende ubicate sul territorio
    dell'Unione Europea convenzioni per la produzione di emoderivati
    (specialita' medicinali) nel rispetto delle norme per le gare ad
    evidenza pubblica.
    3.6. Promuovere i trapianti di organo
    Per quanto riguarda i trapianti di organo, e' noto che i vantaggi
    prevalgono sulle complicanze (rigetto, infezioni e loro conseguenze)
    con una sopravvivenza a cinque anni compresa tra il 70% e l'80%,
    secondo l'organo trapiantato. E', comunque, necessario continuare a
    perseguire il reperimento degli organi in tutte le Regioni. Nel
    nostro Paese, tuttavia, i livelli di attivita' sono disomogenei tra
    le diverse Regioni, sia in termini di donazioni sia in termini di
    trapianti, e cio' non contribuisce certamente a garantire quella
    parita' di accesso alle cure cui i pazienti hanno diritto.
    Nel corso dell'ultimo triennio l'incremento complessivo del
    numero di donazioni e della qualita' dei trapianti in Italia ha
    portato il nostro Paese al livello delle principali Nazioni europee,
    e il numero dei donatori di organo e' aumentato del 42,3%, con un
    incremento complessivo del 27,4% del numero dei trapianti.
    Sono obiettivi strategici in questo campo:
    promuovere la valutazione di qualita' dell'attivita' di
    trapianto di organi, tessuti e cellule staminali;
    favorire la migliore utilizzazione degli organi disponibili,
    attraverso la diffusione di tecniche avanzate, addestrando gli
    operatori e favorendo lo svolgimento di queste attivita' in Centri di
    Eccellenza;
    predisporre un Piano nazionale per prelievo, conservazione,
    distribuzione e certificazione dei tessuti;
    verificare la possibilita' che nei casi opportuni vengano
    utilizzati organi anche da donatore vivente, dopo una attenta
    valutazione dell'applicazione della normativa in vigore e delle Linee
    Guida, formulate dal Centro Nazionale Trapianti. Va comunque
    ricordato che la donazione da vivente non e' scevra da pericoli
    sanitari e sociali ed e' quindi da considerarsi residuale rispetto
    alla donazione da cadavere che deve restare l'obiettivo principale
    del Servizio Sanitario Nazionale;
    attivare algoritmi oggettivi e trasparenti per l'assegnazione
    degli organi da trapiantare e per il monitoraggio dei pazienti
    trapiantati, uniforme su tutto il territorio nazionale;
    prevedere che il flusso informativo dei dati relativi ai
    trapianti di cellule staminali emopoietiche sia integrato nell'ambito
    del Sistema Informativo Trapianti, anche attraverso la collaborazione
    con il Gruppo Italiano per il Trapianto di Midollo Osseo (GITMO) e
    l'organizzazione GRACE (Gruppo di Raccolta e Amplificazione delle
    Cellule Staminali Emopoietiche) che riunisce le banche di cellule
    staminali placentari;
    definire la Carta dei Servizi dei Centri di trapianto,
    prevedendo aggiornamenti continui;
    estendere lo sviluppo del Sistema Informativo Trapianti;
    incrementare l'informazione ai cittadini circa le attivita'
    quali-quantitative dei Centri di trapianto.
    Per il prossimo futuro, inoltre, occorre procedere a:
    ridurre il divario fra le Regioni in termini di attivita' di
    reperimento donatori per raggiungere il numero delle 30 donazioni per
    milione di abitanti;
    predisporre, per i familiari dei soggetti sottoposti ad
    accertamento di morte, un supporto psicologico e di aiuto;
    attuare il finanziamento per funzione, come individuato
    nell'articolo 8-sexies del Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n.
    229, superando il finanziamento per DRG;
    sorvegliare il rispetto delle Linee Guida per i trapianti da
    donatore vivente attivando in particolare l'organismo di parte terza
    ivi previsto per informare correttamente le parti in causa sui
    vantaggi e svantaggi delle procedure;
    monitorare l'attivita' delle singole Regioni circa i prelievi
    di tessuti umani e la loro utilizzazione, l'attivazione di banche dei
    tessuti regionali o interregionali, il loro accreditamento e la loro
    funzionalita';
    inserire anche i trapianti di cellule staminali emopoietiche
    tra i trapianti d'organo e da tessuti, raccogliendo i dati presso il
    Centro Nazionale Trapianti, e collegando quest'ultimo con il registro
    dei donatori viventi di midollo osseo istituito presso l'Ospedale
    Galliera di Genova;
    favorire lo sviluppo di attivita' di ricerca connesse alle
    attivita' di trapianto;
    supportare l'attivazione di procedure informatiche
    standardizzate, soprattutto per la gestione delle liste di attesa;
    promuovere adeguate campagne di informazione rivolte ai
    cittadini, con il concorso delle Associazioni dei pazienti e dei
    volontari;
    realizzare la selezione dei riceventi il trapianto con
    algoritmi condivisi e procedure informatizzate, documentando ogni
    passaggio del processo decisionale ai fini di un controllo superiore;
    valutare e rendere pubblici i risultati delle attivita' di
    prelievo e trapianto di organi;
    rendere sempre piu' oggettivi e trasparenti i criteri di
    ammissione del paziente al trapianto.
    4. L'ambiente e la salute
    Sono in molti casi ben accertate le interazioni fra i fattori di
    rischio ambientali e la salute, anche se la ricerca delle possibili
    soluzioni resta talvolta problematica particolarmente per le
    complesse implicazioni socio-economiche sottostanti. In questo
    settore importanti benefici sono prevedibili attraverso l'efficace
    collaborazione fra i settori che, a livello nazionale e territoriale,
    sono responsabili per la salute o per l'ambiente.
    4.1. I cambiamenti climatici e le radiazioni ultraviolette
    La difesa dalle eccessive radiazioni UV e dalle variazioni nelle
    condizioni climatiche che possano colpire particolari gruppi
    vulnerabili, rende prioritaria l'attuazione di programmi di
    informazione ed educazione sanitaria.
    Inoltre, vi e' la forte necessita' di ulteriori ricerche per
    valutare meglio:
    l'effetto del riscaldamento globale sui trends stagionali delle
    maggiori cause di malattia e mortalita';
    l'effetto del riscaldamento globale sulla variabilita'
    climatica e valutazione delle capacita' di adattamento specialmente
    tra le fasce di popolazione particolarmente vulnerabile come gli
    anziani;
    l'effetto del riscaldamento globale sulle patologie trasmesse
    da virus e batteri e stima degli andamenti dell'incidenza di queste
    malattie;
    l'impatto potenziale della radiazione UV-B in relazione alla
    deplezione dell'ozono in termini di aumento dell'incidenza dei casi
    di cataratta, delle affezioni cutanee e del cancro della pelle;
    il rischio di riduzione di risposta immunitaria ai vaccini ed
    alle malattie infettive a causa dell'aumento della radiazione UV-B.
    Per quanto riguarda gli aspetti connessi all'«effetto-serra» e
    alla deplezione dell'ozono stratosferico, e' indispensabile, da una
    parte, continuare la politica di collaborazione internazionale
    dell'Italia a sostegno degli sforzi congiunti per rimuovere le cause
    di queste modificazioni climatiche, e dall'altra, operare a livello
    territoriale per il conseguimento degli obiettivi di abbattimento
    delle emissioni nocive concordati a livello internazionale.
    4.2. L'inquinamento atmosferico
    L'inquinamento atmosferico derivante dal traffico veicolare,
    impianti di riscaldamento e sistemi di produzione industriale, e' un
    noto fattore di rischio per la salute (vedi tabella 1, pag. 99 e 100
    - tratta dal Prof. Antonio Ballarin Denti «Aggiornamenti Sociali» n.
    3, 2002, pag. 209-220).
    Secondo una serie di studi e valutazioni condotte dalle agenzie
    ambientali europee e nazionale, il trasporto su strada contribuisce
    mediamente in Europa al 51% delle emissioni degli ossidi di azoto, al
    34% di quelle composti organici volatili e al 65% di quelle del
    monossido di carbonio.
    I due principali inquinanti secondari, le polveri fini e l'ozono,
    che sono prodotti, attraverso una serie complessa di reazioni
    chimiche, dai tre inquinanti prima citati, sono pertanto imputabili,
    anch'essi in misura preponderante, al traffico su strada.
    Le emissioni prodotte dagli autoveicoli (al di la' del loro
    contributo complessivo) sono inoltre fortemente dipendenti dal tipo
    di motore. A parita' di condizioni di manutenzione, un motore diesel
    tradizionale (come quello di gran parte dei veicoli commerciali) puo'
    emettere una quantita' di polveri fini anche dieci volte superiore a
    quelle emesse da un diesel «ecologico»; e questo e' a sua volta molto
    piu' inquinante di un motore a benzina. Un veicolo non catalizzato
    emette fino a dieci volte piu' di un'auto con marmitta catalitica. Un
    motore a due tempi (come quello dei ciclomotori) emette molto piu' di
    un analogo motore a quattro tempi: pertanto un motorino medio puo'
    inquinare piu' di un'auto di grossa cilindrata di recente
    omologazione. Anche tra le automobili catalizzate ci sono forti
    differenze (a prescindere da quelle determinate da una cattiva
    carburazione del motore) dovute alle diverse classi di omologazione
    dei motori in funzione delle loro emissioni che l'Unione Europea sta
    imponendo da qualche anno alle industrie automobilistiche. Ad esempio
    un veicolo classificato EURO 3 (del tipo cioe' oggi in commercio)
    emette fino a quattro volte di meno di un veicolo, pur catalizzato,
    del tipo EURO 1 (cioe' prodotto e venduto piu' di sei anni fa).
    Asserire quindi che globalmente il comparto del trasporto su
    strada contribuisce in misura maggioritaria all'inquinamento e'
    affermazione vera, ma, come tale, troppo generica per farne scaturire
    adeguate politiche di intervento, a meno che si entri nel merito
    delle singole tipologie di motore e sulle loro condizioni di
    esercizio.
    Il peso del traffico non deve comunque far dimenticare che un
    contributo all'inquinamento atmosferico urbano, minore in valore
    percentuale ma pur sempre alto in valore assoluto, deriva dagli
    impianti di riscaldamento; questo comparto, ora che l'industria
    pesante ha praticamente abbandonato l'ambiente urbano, resta, insieme
    al traffico, di fatto l'unica sorgente di inquinamento. In questo
    settore il diffondersi degli oli combustibili leggeri e soprattutto
    del metano (che, a parte gli ossidi di azoto, non emette praticamente
    altri inquinanti) e il rafforzamento delle politiche di controllo
    sugli impianti in esercizio da parte delle Autorita' istituzionali
    (Province e Comuni) hanno portato a marcati miglioramenti, anche se
    molto ancora potrebbe e dovrebbe essere fatto (e' oggi
    realisticamente immaginabile, grazie ad una ulteriore estensione
    dell'impiego del metano e a politiche di obblighi di manutenzione, un
    dimezzamento delle emissioni da impianti di riscaldamento entro un
    periodo di 3-5 anni).
    Il particolato atmosferico, indicato con il termine di
    particolato totale sospeso (PTS), e' un inquinante la cui origine e'
    molto diversificata derivando dall'erosione del suolo e degli
    edifici, dall'attivita' umana (agricoltura, edilizia, industrie), dai
    processi di combustione (impianti di riscaldamento e traffico
    autoveicolare) e da reazioni chimiche di processi gassosi. Nelle aree
    urbane l'aereosol atmosferico e' costituito dal 30% circa di
    particelle naturali e dal 60% di particelle derivanti dalla
    combustione delle quali piu' del 50% attribuibili al traffico. La
    composizione del particolato e' estremamente variabile in base
    all'origine delle particelle (piombo, nichel, zinco, rame, cadmio,
    fibre di amianto, solfati, nitrati, idrocarburi policiclici pesanti,
    polvere di carbone e cemento). La frazione di polveri considerata
    piu' pericolosa per l'uomo e' quella in grado di superare le barriere
    delle vie aeree superiori ovvero i PM10 e i PM2,5, particelle di
    polvere con diametro inferiore a 10 e a 2,5 micron rispettivamente.
    E' stato dimostrato da vari studi che il particolato PM10 origina
    soprattutto dalla combustione, permane nell'aria qualche giorno e la
    sua concentrazione viene abbattuta solo per dilavamento da parte
    della pioggia. Questo inquinante reagisce chimicamente nell'atmosfera
    con altre sostanze.
    I danni addebitabili alle particelle inalate sono dovuti al fatto
    che tali particelle, raggiungendo gli alveoli polmonari, rilasciano
    sostanze tossiche e possono ostruire gli alveoli stessi. Ne consegue
    un effetto irritante per le vie respiratorie e la possibilita' di
    indurre alterazioni nel sistema immunitario, favorendo il
    manifestarsi di malattie croniche, quali maggior sensibilita' agli
    agenti allergizzanti. L'effetto irritante e' strettamente dipendente
    dalla composizione chimica del particolato. E' anche ormai accertato
    il diretto rapporto tra elevata concentrazione di particolato e tasso
    di mortalita' per complicanze polmonari che si verificano nei giorni
    successivi ad elevate concentrazioni: sono soprattutto gli anziani, i
    bambini e le persone con malattie croniche dell'apparato respiratorio
    ad essere maggiormente colpite. Inoltre, alcuni studi epidemiologici
    hanno dimostrato che elevate concentrazioni di PM10 non solo
    determinano anticipi sulla mortalita' (ovvero decessi in soggetti
    compromessi che sarebbero comunque avvenuti a breve) ma causano in
    soggetti sani patologie polmonari che possono cronicizzare e portare
    a morte i soggetti stessi. L'aumento della morbilita' inoltre porta
    ad un incremento della spesa sanitaria (maggiore numero di visite
    mediche, di ricoveri ospedalieri, di assenze dal lavoro per
    malattia).
    Recenti studi epidemiologici indicano che l'inquinamento
    atmosferico nell'ambiente esterno delle 8 maggiori citta' italiane ha
    un impatto sanitario rilevante in termini di mortalita', ricoveri
    ospedalieri per cause cardiovascolari e respiratorie e prevalenza di
    malattie respiratorie (WHO-ECEH, 2000). I dati raccolti su numerosi
    inquinanti (monossido di carbonio, biossido di azoto, biossido di
    zolfo, ozono, benzene e polveri sospese) sono stati impiegati per
    misurare il trend dell'inquinamento negli anni, mentre per la stima
    dell'impatto sulla salute l'OMS si e' avvalsa delle concentrazioni di
    PM10. Le concentrazioni medie di PM10 misurate nelle citta' oggetto
    di studio sono superiori all'attuale obiettivo di qualita' dell'aria,
    che e' pari a 40\mu g/m3, valore attualmente in corso di revisione in
    diminuzione. Lo studio ha preso in considerazione la mortalita' a
    lungo termine ed altri effetti a medio e breve termine osservati nel
    corso di un anno (come i ricoveri ospedalieri, i casi di bronchite
    acuta e gli attacchi d'asma nei bambini) ed e' stato stimato il
    carico di malattia potenzialmente prevenibile qualora si riuscisse ad
    abbattere le concentrazioni medie di PM10 a 30\mu g/m3. E' stato
    stimato che riducendo il PM10 ad una media di 30\mu g/m3 si
    potrebbero prevenire circa 3.500 morti all'anno nelle 8 citta'
    studiate. Inoltre, riducendo le concentrazioni medie di PM10 a 30\mu
    g/m3, migliaia di ricoveri per cause respiratorie e cardiovascolari,
    e decine di migliaia di casi di bronchite acuta e asma fra i bambini
    al di sotto dei quindici anni, potrebbero essere evitati. In aggiunta
    all'onere legato al ricovero e cura dei casi di malattia legati
    all'inquinamento, il numero stimato di giorni di attivita'
    compromessa a causa di disturbi respiratori (per persone di eta'
    superiore ai venti anni) e' di oltre 2,7 milioni, cioe' il 14,3% del
    totale.
    Anche la qualita' dell'aria negli ambienti confinati ha
    ripercussioni per la salute, in particolare nei bambini, negli
    anziani e per persone gia' affette da alcune patologie croniche.
    Molti materiali da costruzione liberano nell'ambiente il gas radon,
    sorgente di radiazioni ionizzanti, con una stima di possibile
    riduzione di 2-3% di casi di tumore polmonare a seguito di bonifica.
    Un'indagine campionaria nazionale ha stimato un valore medio nelle
    abitazioni italiane (e scuole) di 70-75 Bq/mc, piu' alta che negli
    USA (46 Bq/mc) e in Germania (50 Bq/mc). Valori di 200 e 100 Bq/mc
    erano raggiunti rispettivamente nel 4% e nell'1% delle abitazioni. Si
    stima che alle esposizioni a radon in Italia siano attribuibili
    1.500-6.000 casi annui di cancro polmonare. Le evidenze di effetti
    cancerogeni su altri organi bersaglio sono contraddittorie e non
    consentono alcuna stima.
    Oltre a cio', in Italia sono stimati in:
    oltre 200.000 i casi prevalenti di asma bronchiale in bambini e
    adolescenti, causati da allergeni (acari, muffe, forfore animali) e
    da esposizione a fumo di tabacco ambientale;
    oltre 50.000 i casi incidenti di infezioni acute delle vie
    aeree (principalmente da fumo di tabacco ambientale);
    circa un migliaio gli infarti del miocardio da fumo di tabacco
    ambientale;
    oltre 200 i decessi per intossicazione acuta da CO.
    Materiali da arredo e un grande numero di prodotti di consumo
    liberano sostanze tossiche, come i composti organici volatili, e
    possono essere causa di fenomeni allergici. Anche il microclima
    caldo-umido delle abitazioni, favorisce la crescita degli acari e dei
    funghi nella polvere domestica. Infine, alcuni composti chimici,
    anch'essi presenti negli ambienti confinati, sono noti o sospettati
    quali cause di irritazione o stimolazione dell'apparato sensoriale e
    possono dare vita ad una serie di sintomi comunemente rilevati nella
    cosiddetta «Sindrome da Edificio Malato» .
    Per quanto riguarda gli aspetti essenziali di prevenzione e
    protezione ambientale nelle aree urbane e' prioritario assicurare il
    rispetto delle vigenti normative in materia di livelli consentiti di
    inquinanti atmosferici e adoperarsi per abbattere ulteriormente i
    livelli del PM10 e degli altri inquinanti. Il conseguimento di questo
    obiettivo richiede una serie complessa di interventi essenzialmente
    relativi al traffico automobilistico e agli impianti di
    riscaldamento.
    In particolare, e' importante:
    ridurre l'inquinamento atmosferico da fonti mobili, utilizzando
    strumenti legislativi e fiscali, migliorando le caratteristiche
    tecniche dei motori dei veicoli e la qualita' dei carburanti;
    ridurre l'inquinamento atmosferico da fonti fisse,
    identificando le fonti inquinanti, migliorando i processi tecnici e
    cambiando i combustibili.
    A causa della struttura particolare delle citta' italiane, questi
    due tipi di interventi dovrebbero prevedere restrizioni severe e
    regolamentazione del traffico nelle aree urbane, tenendo in
    considerazione tutte le tipologie di veicoli esistenti compresi i
    ciclomotori. Questi ultimi contribuiscono significatamene all'aumento
    delle concentrazioni di inquinanti pericolosi, come il benzene.
    Per quanto riguarda l'inquinamento dell'aria negli ambienti
    confinati, significativi benefici per la salute sono prevedibili
    dall'attuazione di programmi di riduzione all'esposizione al radon,
    basati prioritariamente sull'aumento del numero di edifici pubblici
    sottoposti a misurazioni e a bonifica.
    Il recente accordo approvato dalla Conferenza Stato-Regioni
    (27 settembre 2001, n. 252) indica le Linee Guida per la tutela e la
    promozione della salute negli ambienti confinati, e rappresenta
    quindi il documento di riferimento per gli obiettivi e gli interventi
    in questo settore.
    Tabella 1
    Gli inquinanti dell'aria: origini, sorgenti, effetti
    sulla salute e sull'ambiente
    Benzene: da un punto di vista tossicologico e' classificato come
    un potente cancerogeno. Viene emesso quasi integralmente dal
    trasporto su strada, per lo piu' direttamente (85%) e in parte per
    evaporazione durante il rifornimento di benzina o dai serbatoi delle
    automobili.
    Biossido di zolfo: noto anche come anidride solforosa, si forma
    per reazione tra lo zolfo contenuto in alcuni combustibili fossili
    (carbone, oli minerali pesanti) e l'ossigeno atmosferico. Le fonti di
    emissione sono soprattutto gli impianti industriali o di
    riscaldamento. Il composto irrita e, ad alte concentrazioni,
    danneggia gli epiteli delle vie respiratorie superiori predisponendo
    ad episodi infettivi acuti e cronici.
    Idrocarburi non metanici (composti organici volatili): nascono da
    processi di combustione incompleta o sono emessi da molti prodotti
    chimici (ad esempio solventi e vernici). I contributi principali
    vengono dal traffico veicolare e dalle industrie. Alcune classi di
    composti hanno marcati effetti cancerogeni (ad esempio gli
    idrocarburi policiclici aromatici).
    Monossido di carbonio: si forma per combustione incompleta dei
    combustibili a base carboniosa (naturali e fossili). Deriva da
    sorgenti industriali, ma soprattutto dal traffico (marmitte non
    catalizzate). E' un potente agente tossico perche' blocca la
    capacita' di trasporto di ossigeno nel sangue. Ad alte concentrazioni
    provoca dapprima malessere, disorientamento e infine stato di coma e
    morte.
    Ossidi di azoto: sono composti di azoto e ossigeno generati nei
    processi di combustione ad alta temperatura, per reazione dell'azoto
    e dell'ossigeno naturalmente presenti in atmosfera. Vengono prodotti
    dagli impianti di riscaldamento, dai cicli termici industriali, dalle
    centrali termoelettriche e, in misura oggi considerevole dagli
    autoveicoli. Provocano disturbi alle vie respiratorie profonde e
    causa maggiore predisposizione alle infezioni soprattutto nei
    soggetti affetti da patologie polmonari.
    Ozono: si origina per processi fotochimica (dipendenti cioe'
    dalla radiazione solare) partendo da ossidi di azoto e da composto
    organici volatili (idrocarburi non metanici). E' un inquinante
    secondario cioe' non e' emesso in quanto tale, ma si forma a partire
    da altri inquinanti (primari). Essendo un potente ossidante attacca i
    tessuti delle vie aree, provoca disturbi alla respirazione, aggrava
    gli episodi di asma. E' particolarmente dannoso alla vegetazione,
    producendo cali di rese in molte colture agricole e defoliazione
    nelle foreste.
    Particolato aerodisperso: conosciuto anche come «polveri totali
    sospese» (PTS); puo' avere origini naturali (erosione dei suoli) o
    antropiche (combustibili legneo-cellulosici o fossili, eccetto il gas
    naturale). Il particolato entra nelle vie respiratorie spingendosi
    tanto piu' verso quelle profonde quanto minore e' il diametro delle
    particelle che lo costituiscono. Ha azione irritante nelle vie
    respiratorie superiori (faringe), ma nel sistema broncopolmonare puo'
    rilasciare composti tossici producendo o aggravando patologie
    respiratorie o svolgendo anche azione cancerogena.
    Piombo: veniva impiegato come additivo delle benzine tradizionali
    sotto forma di composti metallo-organici (piombo tetraetile) usati
    come anti detonanti. Il piombo viene rintracciato nel particolato
    aerodisperso e proviene in prevalenza dalle vecchie benzine «rosse».
    E' un elemento tossico e provoca alterazioni nel sistema nervoso e
    patologie neurologiche.
    PM10: Le cosiddette «polveri fini» sono costituite dalle
    particelle aerodisperse di diametro inferiore ai 10 micrometri (10
    millesimi di millimetro) e pertanto classificate come PM10 (da
    Particulate Matter < 10 micrometri). Data la loro piccola massa
    restano piu' a lungo sospese in atmosfera e, a causa del loro piccolo
    diametro, sono in grado di penetrare nelle vie aeree profonde
    (bronchi e polmoni) depositandovi gli elementi e i composti chimici
    da cui sono costituite, quali metalli pesanti e idrocarburi. Il
    rischio tossicologico associato al PM10 e' percio' elevato. Da un
    recente studio epidemiologico condotto su un campione di citta'
    statunitensi e' emerso che un incremento di 10 microgrammi/metro cubo
    nella concentrazione atmosferica di PM10 provoca un aumento dallo
    0,5% allo 0,7% delle cause generali di morte. E' un corrispondente
    incremento dei decessi dovuti a patologie cardio respiratorie.
    Analoghi studi condotti su citta' europee, hanno evidenziato dati che
    se applicati (con tutte le incertezze e cautele del caso) a una
    citta' media europea di un milione di abitanti che registri una
    concentrazione media di polveri fini di 50 microgrammi/metro cubo
    rispetto al valore limite indicato dalla recente direttiva europea di
    40 microgrammi/metro cubo (tale e' il caso di alcune tra le
    principali citta' italiane), implicherebbero un incremento di 500
    decessi annui e un controvalore economico per le giornate lavorative
    perdute di almeno 20 milioni di euro per anno.
    4.2.1. L'amianto
    Ogni anno circa 1000 italiani muoiono per mesotelioma pleurico o
    peritoneale causati prevalentemente dall'esposizione ad amianto e
    altri 1000 per cancro polmonare attribuibile all'amianto. Nello
    stesso periodo di tempo si verificano circa 250 casi di asbestosi. E'
    documentata anche la comparsa di mesoteliomi a seguito di esposizione
    ambientale non lavorativa in residenti in aree prossime a pregressi
    impianti di lavorazione dell'amianto o a cave in soggetti che non
    sono mai stati addetti alla lavorazione dell'amianto. Dati i lunghi
    periodi di latenza, gli effetti dell'amianto, in misura simile a
    quella riscontrata negli anni '90, sono destinati a prolungarsi nel
    tempo anche se, per effetto della legge 27 marzo 1992, n. 257, in
    Italia non sono piu' consentite attivita' di estrazione,
    importazione, commercio e esportazione di amianto e materiali
    contenenti amianto.
    Vi e', poi, un numero difficilmente stimabile di lavoratori
    esposti per la presenza di amianto come isolante in una molteplicita'
    di luoghi di lavoro (quali ad esempio industria chimica, bellica,
    raffineria, metallurgia, edilizia, trasporti, produzione di energia),
    ed un numero anch'esso difficilmente stimabile di soggetti residenti
    in prossimita' di stabilimenti nei quali e' stato lavorato l'amianto.
    Il censimento di queste situazioni, previsto dalla citata legge del
    1992, procede con lentezza, ed in assenza di dati attendibili sulla
    mappa delle esposizioni, anche le attivita' di risanamento ambientale
    procedono in modo relativamente frammentario ed episodico.
    E' quindi prioritaria una piu' idonea strategia per la bonifica
    dei siti dove si lavorava amianto e una verifica della presenza di
    residui di amianto nelle vicinanze degli stessi.
    E' necessario, poi, elaborare ed adottare d'intesa con le
    Regioni, Linee Guida che indirizzino l'attivita' delle strutture
    sanitarie a fini di prevenzione secondaria e sostegno psico-sociale
    delle persone esposte in passato ad amianto. Presentano anche
    carattere prioritario l'aggiornamento e l'estensione degli studi
    epidemiologici che, insieme alla mappatura delle esposizioni attuali
    e pregresse, possano fornire basi piu' solide agli interventi di
    risanamento ambientale e criteri per il sostegno sanitario e
    psicologico alle popolazioni esposte.
    4.2.2. Il benzene
    Per quanto riguarda il benzene, nota sostanza cancerogena per
    l'uomo, l'esposizione avviene principalmente nell'ambiente esterno
    urbano a causa degli scarichi dei motori a combustione a benzina. Il
    benzene puo' essere emesso sia come prodotto di combustione (che si
    forma a partire dai componenti della benzina, in particolare
    idrocarburi aromatici), sia in forma di sostanza incombusta, per
    evaporazione dal carburatore, dal serbatoio e da altre parti dei
    veicoli.
    Un'altra sorgente di rilievo in ambito urbano e' rappresentata
    dalla distribuzione, dall'immagazzinamento e dalla manipolazione di
    carburanti contenenti benzene.
    Per quanto concerne specificamente gli ambienti interni degli
    edifici, le sorgenti di maggior rilievo risultano essere alcuni
    prodotti di consumo, come adesivi, materiali di costruzione e
    vernici. L'emissione di tali prodotti e' funzione della temperatura
    e, in particolare nel caso delle vernici, decresce con il tempo.
    Inoltre, il fumo di sigaretta contiene quantitativi di benzene
    significativi e considerevolmente variabili.
    L'evaporazione del benzene ha anche influenza sulle
    concentrazioni indoor attribuibili a parcheggi interni agli edifici e
    sull'esposizione all'interno delle auto. Uno dei problemi tipici
    degli ambienti urbani italiani e' quello della elevatissima densita'
    di auto parcheggiate in quasi tutte le strade, a cui corrisponde una
    considerevole emissione evaporativa dai serbatoi e altre parti delle
    auto.
    Ulteriori condizioni nelle quali si puo' realizzare l'esposizione
    al benzene sono quelle particolari di alcuni ambienti di lavoro
    quali, ad esempio, l'industria della gomma.
    L'obiettivo di ridurre l'esposizione al benzene e' stato
    perseguito con successo attraverso la riduzione del benzene nella
    benzina, ma e' indispensabile continuare con determinazione gli
    sforzi intrapresi. I dati disponibili non indicano in modo chiaro
    quanto la catalizzazione delle auto abbia contribuito a ridurre
    l'emissione di benzene, anche se certamente vi sono stati dei
    significativi benefici. Una valutazione appropriata della possibile
    riduzione futura delle emissioni in rapporto al cambiamento del parco
    auto e' essenziale a fini strategici per comprendere quali obiettivi
    siano effettivamente conseguibili in tal modo. Appare, comunque,
    importante prevedere un qualche sistema di controllo della
    funzionalita' dei dispositivi di abbattimento. In base ai dati oggi
    forniti dai sistemi di monitoraggio, non sembra al momento possibile
    prescindere da una riduzione e razionalizzazione del traffico,
    quantomeno nelle aree critiche.
    Le concentrazioni indoor, oltre che dall'ovvia eliminazione del
    fumo di tabacco dagli ambienti di vita e di lavoro, potrebbero essere
    prevedibilmente ridotte da un'ottimizzazione dei sistemi di
    parcheggio delle auto all'interno degli edifici, con sistemi di
    ventilazione ed aerazione e altri metodi utili a ridurre la
    penetrazione del benzene nelle abitazioni a partire dai luoghi in cui
    sono posteggiate le auto.
    E', infine, indispensabile realizzare idonee reti di rilevazione
    per il benzene con particolare riferimento alle aree urbane.
    4.3. La carenza dell'acqua potabile e l'inquinamento
    In Italia solo i due terzi della popolazione riceve quantita'
    sufficienti di acqua per tutto l'anno, circa il 13% degli Italiani
    non riceve sufficienti quantita' di acqua per un quarto dell'anno e
    circa il 20% per due/tre quarti dell'anno.
    Inoltre, in molte parti d'Italia, per le quali vi sono dati
    disponibili, i caratteri organolettici dell'acqua come torbidita',
    colore, odore o sapore sono di bassa qualita'. La proporzione della
    popolazione che non beve o beve raramente acqua di rubinetto e'
    elevata in tutte le aree, soprattutto nelle Isole e nel Nord-Ovest.
    Per quanto riguarda l'inquinamento, sono quasi scomparse le
    epidemie idriche causate dai tradizionali patogeni quali Salmonella,
    Shigella e Vibrio, ma permane problematica la valutazione del rischio
    microbiologico di altri agenti biologici patogeni diffusibili
    attraverso l'acqua potabile. Inoltre, la popolazione italiana resta
    esposta, attraverso l'acqua potabile, a bassi livelli di numerosi
    composti chimici, fra i quali vi sono i residui dei prodotti
    fitosanitari, i nitrati, i sottoprodotti della disinfezione delle
    acque a fini di potabilizzazione e le cessioni da parte dei materiali
    con i quali sono state realizzate le reti di captazione, adduzione e
    distribuzione dell'acqua all'utenza.
    Problemi di miglioramento delle caratteristiche delle acque si
    pongono, inoltre, per il parametro boro e per il parametro arsenico
    poiche' in alcune situazioni, peraltro limitate e localizzate, e'
    accertata la presenza di dette sostanze nelle acque in concentrazioni
    superiori alle concentrazioni massime ammissibili, per cause connesse
    alla natura geologica dei suoli.
    Per il prossimo futuro occorrera' promuovere le seguenti azioni:
    riduzione della quantita' di prodotti impiegati in agricoltura
    e autorizzazione dei preparati fitosanitari a minor impatto
    sull'ambiente e sulla salute umana;
    adozione di norme per la buona pratica agricola, al fine di
    ottimizzare l'impiego dei fertilizzanti e minimizzare il loro impatto
    sull'ambiente;
    promozione di un adeguato monitoraggio ambientale ed indagini
    epidemiologiche mirate, con particolare riferimento ai potenziali
    effetti dei contaminanti chimici dell'acqua potabile sulle funzioni
    riproduttive umane;
    miglioramento delle tecnologie acquedottistiche;
    ottimizzazione della gestione e incentivazione della ricerca di
    disinfettanti integrativi/alternativi del cloro e suoi composti;
    incremento della tutela delle acque dai processi di
    contaminazione urbana, agricola o industriale;
    intensificazione dell'attivita' di controllo dei contaminanti
    chimici, fisici e biologici delle acque potabili con l'esclusione
    dell'erogazione delle acque non conformi.
    4.4. Le acque di balneazione
    La normativa italiana relativa al controllo delle acque di
    balneazione ha fissato, per gli indicatori microbiologici di
    contaminazione fecale, valori limite piu' restrittivi rispetto alla
    direttiva europea attualmente in vigore. Inoltre, la normativa
    italiana considera «acque di balneazione» le acque nelle quali la
    balneazione e' espressamente autorizzata dalle Autorita' e non
    vietata, mentre la direttiva europea stabilisce che «acque di
    balneazione» sono da considerarsi quelle dove la balneazione e'
    praticata da «un congruo numero di bagnanti». Questo comporta che in
    Italia, tranne le zone non idonee per motivi diversi
    dall'inquinamento e quelle verificate non idonee per inquinamento,
    tutte le acque siano considerate «acque di balneazione».
    A causa di cio' il nostro Paese ha un numero di punti di
    campionamento controllati di gran lunga superiore a qualsiasi altro
    Paese dell'Unione Europea.
    L'osservazione dei dati raccolti negli ultimi anni, durante le
    campagne di controllo svolte in base al Decreto del Presidente della
    Repubblica 8 giugno 1982, n. 470, porta a riconoscere un generale
    miglioramento della qualita' delle acque delle zone costiere
    italiane, valutato in funzione dei chilometri di costa controllata.
    L'ulteriore miglioramento della qualita' delle acque di
    balneazione passa attraverso la riduzione della contaminazione
    ambientale, un opportuno ed idoneo trattamento di tutti gli scarichi,
    urbani e non, un'adeguata progettazione degli impianti di
    depurazione, ed il censimento regolare e continuativo degli scarichi.
    4.5. L'inquinamento acustico
    L'inquinamento acustico causato dal traffico, dalle industrie,
    dalle attivita' ricreative interessa circa il 25% della popolazione
    europea, provocando sia disagi che danni alla salute. Infatti, anche
    se le conseguenze dell'esposizione al rumore a bassi livelli variano
    da individuo ad individuo, un'esposizione prolungata nel tempo, che
    raggiunge determinati valori di pressione sonora, e' causa, in tutta
    la popolazione, di effetti nocivi sull'organo dell'udito e
    sull'intero organismo. Per un'esposizione ad elevati livelli,
    protratta per anni, quale puo' riscontrarsi in alcuni ambienti di
    lavoro, si registra un abbassamento irreversibile della soglia
    uditiva. Anche in relazione a esposizione a piu' bassi livelli di
    rumore si registrano nell'intero organismo, secondo il perdurare
    dello stimolo, una serie di modificazioni a carico di vari organi ed
    apparati.
     
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    Numerose indagini dimostrano che nella maggior parte delle citta'
    italiane esaminate i livelli di rumore sono superiori ai livelli
    massimi previsti dalle norme vigenti sia di giorno che di notte. Per
    quanto riguarda l'esposizione al rumore negli ambienti di lavoro, si
    puo' stimare, in maniera conservativa, che la popolazione dei
    lavoratori esposti a piu' di 90 dB(A) di Leq (Livello Equivalente di
    pressione sonora) sia pari almeno alle 100.000 unita', e le ipoacusie
    professionali rimangono di gran lunga la prima tecnopatia in Italia,
    contribuendo con piu' del 50% al totale delle malattie professionali
    indennizzate.
    Da quanto esposto scaturisce con urgenza la necessita' di
    interventi, sia negli ambienti di lavoro che negli ambienti di vita,
    finalizzati alla riduzione dell'esposizione al rumore.
    Per quanto riguarda gli ambienti di vita, la limitazione del
    traffico veicolare e' soltanto uno degli strumenti per migliorare la
    qualita' ambientale, e deve essere integrata con altre azioni
    individuabili a livello locale, nazionale, comunitario: dalla
    pianificazione urbanistica, alla viabilita' e conseguente
    regolamentazione dei flussi di traffico, al potenziamento
    dell'attivita' di controllo e repressione dei comportamenti
    eccessivi, agli incentivi economici per lo svecchiamento dei mezzi di
    trasporto pubblici e privati, al finanziamento dell'attivita' di
    ricerca per lo sviluppo di veicoli a basse emissioni di inquinanti,
    alla zonizzazione acustica (classificazione del territorio comunale
    in 6 classi in base ai livelli di rumore), al piano di risanamento
    acustico comunale.
    Per quanto riguarda l'esposizione negli ambienti di lavoro,
    quattro sono i livelli di azione da intraprendere per ridurre
    l'incidenza sulla salute di questo fattore di rischio:
    migliorare gli standard di sicurezza e tutela aziendali tramite
    una piu' corretta e puntuale applicazione della vigente legislazione;
    incrementare l'azione di vigilanza a livello territoriale sulla
    corretta applicazione della vigente legislazione in materia;
    completare l'emanazione dei decreti attuativi previsti dal
    Decreto Legislativo 15 agosto 1991, n. 277;
    attuare una politica di incentivazione e di sostegno alle
    aziende che vogliono attuare interventi di riduzione della
    rumorosita' negli ambienti di lavoro.
    I macrosettori produttivi ai quali dovrebbero essere indirizzati
    i maggiori sforzi sono quello metalmeccanico, quello edile e quello
    estrattivo.

    4.6. I campi elettromagnetici
    Negli ultimi anni si e' verificato un aumento senza precedenti
    del numero e della varieta' di sorgenti di campi elettrici, magnetici
    ed elettromagnetici utilizzate a scopo individuale, industriale e
    commerciale. Tali sorgenti comprendono, oltre le linee di trasposto e
    distribuzione dell'energia elettrica, apparecchiature per uso
    domestico, personal computers (dispositivi operanti tutti alla
    frequenza di 50 Hz), telefoni cellulari con le relative stazioni
    radio base, forni a microonde, radar per uso civile e militare
    (sorgenti a radio frequenza e microonde), nonche' altre
    apparecchiature usate in medicina, nell'industria e nel commercio.
    Tali tecnologie, pur di grande utilita', generano continue
    preoccupazioni per i possibili rischi sanitari della popolazione.
    Per quanto riguarda i campi a frequenza estremamente bassa (ELF),
    l'esposizione dell'uomo e' principalmente collegata alla produzione,
    alla distribuzione ed all'utilizzazione dell'energia elettrica. Nel
    1998, il gruppo di esperti internazionali del National Institute of
    Environmental Health Sciences (USA) ha affermato che, usando i
    criteri stabiliti dalla Agenzia Internazionale per la Ricerca sul
    Cancro (IARC), i campi ELF dovrebbero essere considerati come
    «possibili cancerogeni». Possibile cancerogeno per l'uomo significa
    che esistono limitate evidenze scientifiche sulla possibilita' che
    l'esposizione a campi ELF possa essere associata all'insorgenza dei
    tumori. Sulla base di queste valutazioni di esposizioni e della stima
    del livello di rischio di leucemia per l'infanzia, e' stato calcolato
    che ogni anno si potrebbero verificare 1,3 (95% intervallo di
    certezza: 0 - 4,1) casi aggiuntivi di leucemia infantile collegabili
    alla vicinanza delle abitazioni a linee elettriche ad alta tensione e
    26,7 casi (95% intervallo di certezza: 3,9 - 57,3) collegabili
    all'esposizione nelle case. Tali dati corrisponderebbero
    rispettivamente a valori che variano da 0,3% a 6,1% del totale dei
    432 casi di leucemia infantile che si verificano ogni anno in Italia.
    Restano, tuttavia, ovvie incertezze sul rapporto causa-effetto.
    4.7. Lo smaltimento dei rifiuti
    Il rischio per la salute si manifesta anche quando risultano
    assenti o inadeguati i processi di raccolta, trasporto, stoccaggio,
    trattamento o smaltimento finale dei rifiuti, nonche' quando lo
    smaltimento avviene senza il rispetto delle norme sanitarie rigorose
    previste dalle norme vigenti. La mancata raccolta dei rifiuti
    costituisce una causa importante di deterioramento del benessere e
    dell'ambiente di vita. I rifiuti, qualora non vengano adeguatamente
    smaltiti, possono contaminare il suolo e le acque di superficie.
    L'esalazione di metano dai siti di interramento non idonei
    rappresenta un rischio di incendio ed esplosioni. Tuttavia, se
    trattati adeguatamente, i rifiuti possono costituire una fonte
    combustibile. Le emissioni in atmosfera in strutture atte alla
    produzione di compost e negli impianti di incenerimento dei rifiuti,
    qualora non opportunamente abbattute, sono state identificate quali
    fattori di rischio per la salute dei lavoratori addetti.
    La discarica rimane il sistema piu' diffuso di smaltimento dei
    rifiuti, sia perche' i costi sono ancora oggi competitivi con quelli
    degli altri sistemi sia perche' l'esercizio e' molto piu' semplice.
    La discarica controllata, se ben condotta, non presenta particolari
    inconvenienti, purche' sia ubicata in un idoneo sito e sia dotata
    degli accorgimenti atti ad evitare i pericoli di inquinamento che i
    rifiuti possono provocare in via diretta ed indiretta.
    I principali obiettivi in questo settore sono:
    l'adozione di un regime di smaltimento dei rifiuti urbani ed
    industriali, che minimizzi i rischi per la salute dell'uomo ed
    elimini i danni ambientali;
    l'attivazione di azioni educative per ridurre la produzione dei
    rifiuti;
    l'incentivazione della gestione ecocompatibile dei rifiuti, con
    particolare riferimento al riciclaggio;
    l'incremento delle attivita' di tutela ambientale per
    l'individuazione delle discariche abusive e delle altre forme di
    smaltimento non idonee;
    il monitoraggio accurato delle emissioni inquinanti degli
    impianti di incenerimento.
    4.8. Pianificazione e risposta sanitaria in caso di eventi
    terroristici ed emergenze di altra natura
    Negli ultimi anni, ed in particolare nel corso del 2001, si e'
    presentato in forme nuove la minaccia del terrorismo con uso di armi
    non convenzionali. Gli episodi di bioterrorismo sono diventati un
    rischio piu' plausibile per molti Paesi occidentali, ivi inclusa
    l'Italia.
    Risposte rapide ed efficaci a questo tipo di emergenze, come
    d'altra parte ad altre emergenze associate, ad esempio, a gravi
    incidenti chimici o a disastri naturali, non possono essere
    assicurate se non esiste un'attivita' di preparazione continua a
    monte dell'evento. Questo e' particolarmente vero per il Servizio
    Sanitario, specie nelle grandi citta' ove e' piu' elevato il rischio,
    e dove i servizi sono, di norma, gia' saturi di richieste e spesso
    troppo rigidi per adattarsi in tempi brevi alle emergenze.
    Anche se la risposta ad eventuali attacchi terroristici e ad
    altre emergenze non e' solo di competenza del settore sanitario, e'
    ovvia la necessita' di preparare e, quando necessario, mobilitare il
    servizio sanitario alla cooperazione con le forze di soccorso, di
    difesa e di ordine interno, a seconda del caso.
    Il sistema di emergenza 118, gli Ospedali e le ASL, i
    dipartimenti di prevenzione, i laboratori diagnostici, i Centri
    anti-veleni e le Agenzie regionali per l'ambiente, unitamente all'ISS
    ed all'ISPESL, sono alcuni dei soggetti che devono collaborare per
    sviluppare un'adeguata rete di difesa e protezione sanitaria. In sede
    locale, un piano di interventi sanitari contro il terrorismo ed altri
    gravi eventi non puo' pertanto che risultare dalla progettualita' di
    ciascuna Regione e dall'efficacia e dall'efficienza delle attivita'
    svolte dalle diverse articolazioni in ciascuna Azienda Sanitaria.
    Per garantire una pronta risposta sanitaria di fronte a possibili
    aggressioni terroristiche di natura chimica, fisica e biologica ai
    danni del nostro Paese sono state gia' assunte iniziative a livello
    centrale e locale, che hanno consentito di superare il primo momento
    dell'emergenza.
    Fra le iniziative piu' importanti assunte immediatamente a
    ridosso dei tragici eventi dell'11 settembre 2001:
    e' stata costituita, con Decreto Ministeriale 24 settembre 2001
    un'apposita Unita' di crisi che, fra l'altro, ha elaborato il
    protocollo operativo per la gestione della minaccia terroristica
    derivante da un eventuale uso del bacillo dell'antrace;
    sono stati individuati, d'intesa con le Regioni, l'ISS e
    l'ISPESL, come Centri di consulenza e supporto, rispettivamente, per
    gli eventi di natura biologica e chimico-fisica e per gli ambienti di
    lavoro; l'Ospedale L. Sacco di Milano, l'IRCSS L. Spallanzani di
    Roma, il Policlinico di Bari e il Presidio Ascoli Tomaselli di
    Catania, quali Centri nosocomiali di riferimento per il supporto
    clinico nonche' l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Foggia
    quale centro di riferimento per il controllo analitico del materiale
    sospetto (alla data del 15 febbraio 2002 sono stati analizzati 1876
    campioni di materiale sospetto);
    e' stato istituito un numero telefonico verde dedicato tanto
    agli operatori sanitari quanto ai singoli cittadini che, alla data
    del 15 febbraio 2001, ha dato riscontro a 4.239 richieste pervenute;
    si e' provveduto al reperimento dei vaccini e altri medicinali
    ritenuti essenziali;
    si e' fattivamente collaborato in sede UE e G8 al necessario
    coordinamento per la costruzione di una elevata capacita' di risposta
    sanitaria.
    Contestualmente, si e' reso necessario predisporre altre misure
    sanitarie utili per far fronte ad altre situazioni ipotizzabili,
    stabilendo l'idonea pianificazione degli interventi.
    In linea con il Piano nazionale di difesa da attacchi
    terroristici di tipo biologico, chimico e radiologico, emanato dalla
    Presidenza del Consiglio dei Ministri, e' stato, percio', redatto un
    documento di Piano che si articola in due parti: nella prima e' presa
    in considerazione la minaccia biologica; nella seconda, e' trattata
    la minaccia chimica e radiologica. Ognuna di dette parti puo', a sua
    volta, essere considerata come sostanzialmente suddivisa in due
    capitoli. Nel primo, di tipo divulgativo, vengono fornite
    informazioni sui criteri essenziali per l'identificazione di eventi
    dannosi a seguito di atto terroristico, sui siti bersaglio, sugli
    aggressivi presumibilmente utilizzabili in tali scenari, sulle
    modalita' patogenetiche di detti aggressivi, ipotizzando, in ultimo,
    una scala di gravita' riferita alle caratteristiche specifiche di
    ciascun aggressivo e rapportata alle varie tipologie di siti
    bersaglio ed al numero di individui colpiti; nel secondo, a carattere
    eminentemente operativo, vengono enunciate considerazioni di massima
    di tipo organizzativo in base alle quali possono essere sviluppate in
    sede locale le procedure di intervento piu' idonee. Nell'allegato
    sono riportate le schede tecniche relative ad agenti biologici,
    chimici e fisici nonche' approfondimenti su alcuni temi
    particolarmente critici, che riprendono, sviluppano ed integrano
    argomenti ed informazioni gia' esposti nella prima e nella seconda
    parte del Piano.
    Il documento di Piano, redatto con l'apporto dell'ISS,
    dell'ISPESL e della Direzione generale della Sanita' Militare, tiene
    conto della linea organizzativa prevista dalle vigenti disposizioni
    in materia di gestione delle crisi, che individuano nel Presidente
    del Consiglio dei Ministri, nel Consiglio dei Ministri e nel Comitato
    Politico Strategico gli organismi decisionali nazionali, nel Nucleo
    Politico Militare il massimo organo di coordinamento nazionale, nella
    Commissione Interministeriale Tecnica per la Difesa Civile l'organo
    di coordinamento tecnico delle attivita' di difesa civile al momento
    dell'emergenza e nel Prefetto l'autorita' di coordinamento della
    difesa civile a livello periferico. Nel rispetto dell'autonomia
    organizzativa e gestionale delle Istituzioni centrali e territoriali
    che potrebbero essere chiamate ad attivare operazioni di soccorso ai
    cittadini, il documento di Piano vuole offrirsi come un punto di
    riferimento per le successive fasi di pianificazione e di messa in
    atto, a livello territoriale, delle azioni volte alla tutela della
    salute.
    Gli obiettivi strategici in questo settore sono sostanzialmente
    riconducibili a:
    programmare le misure preventive;
    definire le misure di sorveglianza, ovvero attivare
    preventivamente le funzioni specifiche e modellarle rispetto alla
    minaccia;
    pianificare le misure di soccorso e trattamento, al fine di
    ripristinare le condizioni di salute dei soggetti eventualmente
    colpiti, bonificare gli ambienti colpiti e/o i materiali contaminati
    nonche' contenere e/o inattivare il rischio residuo;
    diffondere la cultura dell'emergenza e migliorare la capacita'
    degli operatori a risposte pronte ed adeguate;
    incrementare la capacita' informativa a favore della
    popolazione (anche attraverso l'accesso al numero telefonico verde),
    al fine di accrescere la fiducia del cittadino e la conoscenza dei
    comportamenti piu' opportuni da adottare.
    Conseguentemente, le principali azioni da realizzare sono:
    predisporre piani operativi regionali, articolati in ciascuna
    Azienda Sanitaria, che individuino le funzioni da esperire,
    specifichino le modalita' di svolgimento ed identifichino i diversi
    livelli di responsabilita';
    approntare adeguate attrezzature, risorse e protocolli per
    affrontare i diversi scenari di emergenza;
    adottare procedure operative standard per la risposta a falsi
    allarmi;
    intensificare l'aggiornamento e la formazione di operatori
    sanitari;
    sviluppare le indagini epidemiologiche e potenziare il
    collegamento e l'integrazione tra diversi sistemi informativi.
    4.9 Salute e sicurezza nell'ambiente di lavoro
    Una profonda trasformazione delle condizioni di lavoro e' in atto
    in tutti i settori lavorativi a causa dell'impiego di nuove
    tecnologie e del conseguente cambiamento dei modelli di produzione.
    Inoltre la competitivita' del mercato ha determinato la graduale
    introduzione di nuovi modelli organizzativi e operativi.
    Nel settore della sicurezza e della salute occupazionale cio' sta
    determinando la comparsa di nuovi rischi e induce una progressiva
    modificazione dei modelli tradizionali di esposizione al rischio.
    La mutata organizzazione del lavoro (telelavoro,
    esternalizzazione della produzione), la comparsa e il rapido
    incremento di nuove tipologie di lavoro flessibile (lavori atipici,
    lavoro interinale) e le diverse caratteristiche della forza lavoro,
    introducono modifiche nella distribuzione e diffusione dei rischi.
    Nel frattempo permangono in numerosi settori lavorativi i rischi
    tradizionali, non sempre e non diffusamente risolti.
    Negli ultimi anni si e' inoltre profondamente modificata la
    normativa di riferimento, con l'avvento delle direttive comunitarie
    ed in particolare con il decreto legislativo n. 626 e successive
    modifiche che hanno introdotto varie innovazioni nell'organizzazione
    della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro ma la cui
    applicabilita' non sempre e' risultata agevole, soprattutto nella
    Piccola e Media Impresa (PMI). Ciononostante il ruolo centrale
    dell'impresa nei processi di valutazione dei rischi e di
    organizzazione e gestione della sicurezza e' risultato rafforzato.
    Cio' comporta quindi nuove dinamiche anche nei rapporti tra il
    sistema delle imprese e quello dello Stato e delle Regioni. Per
    quanto concerne il primo, e' necessario che sia completato il
    processo di adeguamento alle norme e siano potenziati gli strumenti
    della partecipazione previsti dal decreto legislativo n. 626.
    Per quanto concerne il sistema pubblico, cui compete il ruolo di
    promozione, regolazione, verifica e controllo, si pone l'esigenza di
    una strategia di pianificazione e intervento in ordine a una reale
    promozione della sicurezza e della salute nelle Piccole e Medie
    Imprese. Altrettanto significativa e' la necessita' di una migliore
    integrazione con l'attivita' delle Agenzie Regionali per l'ambiente.
    Gli infortuni
    Il fenomeno infortunistico, nonostante mostri una complessiva
    affermazione se osservato sul lungo periodo, appare ancora rilevante
    in termini sia di numero di eventi sia di gravita' degli effetti
    conseguenti. L'andamento infortunistico dell'anno 2000 mostra una
    modesta crescita del numero degli infortuni nell'Industria e Servizi
    (+1,2%), con riduzione peraltro degli infortuni mortali, e una
    diminuzione in Agricoltura (-7,4%). Tale andamento e' in linea con la
    crescita occupazionale registrata nell'ultimo periodo.
    I settori a maggior incidenza infortunistica (tenendo conto sia
    della frequenza sia della gravita' delle conseguenze), pur con
    andamenti non costanti in tutte le regioni, rimangono l'industria del
    legno, quella dei metalli, l'industria della trasformazione ed il
    settore delle costruzioni.
    A conferma di una tendenza degli ultimi anni, una parte assai
    rilevante (piu' del 50%) dei 1.354 infortuni mortali e degli
    infortuni particolarmente gravi e' stata legata a mezzi di trasporto
    e ad incidenti stradali.
    Per quel che riguarda il 2001, i dati relativi al primo
    trimestre, mostrano un ulteriore crescita degli infortuni
    nell'industria e nei servizi, in prevalenza nella popolazione
    femminile. Permane il decremento generalizzato in agricoltura.
    Altro aspetto rilevante e' quello relativo alla sicurezza dei
    lavoratori in «nero». Applicando gli indici infortunistici della
    popolazione regolarmente occupata ai dati ISTAT sull'occupazione non
    regolare (anno '97) e' stato stimato che il numero degli infortuni
    nel «sommerso» sia pari a 165.000 casi. Tale stima appare
    conservativa in quanto e' presumibile che le attivita' non regolari
    vengano svolte senza alcuna applicazione delle norme di prevenzione.
    I dati relativi agli infortuni, su base regionale mostrano il
    seguente andamento (Tab. 2):
    Tabella 2
    Frequenze relative di infortunio (x 1.000 addetti) per
    regione e tipo di conseguenza (media triennio 1997-1999)


    =====================================================================
    Tipo di conseguenza
    =====================================================================
    | Inabilita' | |
    Regioni | temporanea |Inabilita' permanente|Morte
    =====================================================================
    Industria e Servizi | | |
    ---------------------------------------------------------------------
    Umbria | 52.92 | 3.82 |0.08
    ---------------------------------------------------------------------
    Emilia | 49.63 | 2.21 |0.09
    ---------------------------------------------------------------------
    Marche | 48.81 | 3.01 |0.10
    ---------------------------------------------------------------------
    Friuli-Venezia | | |
    Giulia | 49.12 | 2.10 |0.09
    ---------------------------------------------------------------------
    Basilicata | 46.94 | 2.80 |0.14
    ---------------------------------------------------------------------
    Veneto | 47.90 | 1.60 |0.09
    ---------------------------------------------------------------------
    Abruzzo | 43.83 | 2.55 |0.12
    ---------------------------------------------------------------------
    Liguria | 42.57 | 2.69 |0.06
    ---------------------------------------------------------------------
    Puglia | 42.27 | 2.83 |0.15
    ---------------------------------------------------------------------
    Toscana | 41.53 | 2.44 |0.08
    ---------------------------------------------------------------------
    Trentino-Alto Adige | 41.36 | 1.74 |0.07
    ---------------------------------------------------------------------
    Molise | 37.83 | 2.43 |0.15
    ---------------------------------------------------------------------
    Sardegna | 34.81 | 2.21 |0.12
    ---------------------------------------------------------------------
    Valle d'Aosta | 33.92 | 1.51 |0.11
    ---------------------------------------------------------------------
    Piemonte | 33.69 | 1.44 |0.07
    ---------------------------------------------------------------------
    Lombardia | 33.07 | 1.40 |0.06
    ---------------------------------------------------------------------
    Calabria | 28.89 | 2.38 |0.14
    ---------------------------------------------------------------------
    Sicilia | 26.64 | 1.92 |0.10
    ---------------------------------------------------------------------
    Campania | 25.12 | 2.55 |0.13
    ---------------------------------------------------------------------
    Lazio | 25.45 | 1.41 |0.07
    ---------------------------------------------------------------------
    Italia | 37.99 | 1.90 |0.09

    Le malattie professionali
    Per quanto riguarda le malattie professionali, la loro
    valutazione include un rapporto stretto tra lo studio dei rischi
    attuali e pregressi e le tendenze in atto nelle patologie legate al
    lavoro.
    Accanto alle patologie da rischi noti (prevalentemente in
    attenuazione), acquistano sempre maggior rilievo le patologie da
    rischi emergenti, non necessariamente legate a rischi nuovi, rispetto
    alle quali sono iniziati approfondimenti soprattutto negli ultimi
    anni. Tra queste si segnalano le patologie dell'arto superiore da
    sovraccarico meccanico, le patologie da fattori psico-sociali
    associate a stress e la cancerogenesi professionale Tab. 3). Per
    quanto riguarda quest'ultima, il recente studio multicentrico europeo
    CAREX stima che i lavoratori potenzialmente esposti in Italia a
    sostanze cancerogene siano pari al 24% degli occupati, ed e' stimato
    in 160.000 il numero di morti per anno dovute a cancro e correlabili
    a esposizioni lavorative.
    Tabella 3a
    Patologie da rischi noti

    =====================================================================
    Industria | Agricoltura
    =====================================================================
    Ipoacusie da rumore |Broncopneumopatie
    Malattie cutanee |Asma bronchiale
    Pneumoconiosi |Alveoliti allergiche

    Tabella 3b
    Patologie da rischi emergenti
    Patologie dell'arto superiore da sovraccarico meccanico
    Patologie da fattori psico-sociali associate a stress (burn-out,
    mobbing, alterazioni delle difese immunitarie e patologie
    cardiovascolari)
    Patologie da sensibilizzazione
    Patologie da agenti biologici
    Patologie da composti chimici (effetti riproduttivi e cancerogeni)
    Tumori di origine professionale
    Effetti sulla salute dei fattori organizzativi del lavoro
    Obiettivi:
    riduzione dei rischi per la sicurezza in particolare in quei
    settori contrassegnati da un maggior numero di eventi infortunistici
    e da una maggiore gravita' degli effetti;
    riduzione dei rischi per la salute e progressivo miglioramento
    delle condizioni di lavoro;
    riduzione dei costi umani ed economici conseguenti ai danni
    alla salute dei lavoratori;
    riordino, coordinamento e semplificazione in un testo unico
    delle norme vigenti in materia di igiene e la sicurezza del lavoro,
    nel rispetto delle normative comunitarie e delle prerogative
    regionali, al fine dello snellimento delle procedure di applicazione;
    promozione di linee guida per l'applicazione della normativa in
    settori specifici (PMI, agricoltura, lavori atipici);
    potenziamento e coordinamento delle attivita' di prevenzione e
    vigilanza rispetto ai processi ed alle procedure di lavoro anche
    attraverso il monitoraggio dell'applicazione del decreto legislativo
    n. 626;
    programmazione delle priorita' d'intervento nei settori piu' a
    rischio in funzione degli studi epidemiologici e dei dati provenienti
    da un adeguato sistema informativo;
    attuazione di programmi per il contrasto del lavoro sommerso e
    la tutela della sicurezza e la salute sul lavoro degli impiegati in
    lavori atipici;
    azioni per la specificita' di genere sul lavoro a tutela delle
    lavoratrici;
    azioni per l'inserimento o reinserimento lavorativo di
    particolari tipologie di lavoratori come i minori, i disabili, i
    tossicodipendenti, gli immigrati;
    integrazione dei sistemi informativi;
    azioni per la formazione dei soggetti deputati alla attuazione
    della sicurezza nei luoghi di lavoro (datori di lavoro, addetti alla
    sicurezza, medici competenti rappresentanti dei lavoratori) ivi
    compreso il personale del Servizio Sanitario Nazionale addetto alla
    prevenzione e vigilanza nei luoghi di lavoro;
    promozione di programmi di formazione nella scuola;
    miglioramento progressivo dei processi di verifica della
    qualita' e dell'efficacia delle azioni di prevenzione basata
    sull'evidenza;
    miglioramento dell'accertamento e dell'evidenziazione delle
    malattie professionali;
    individuazione di strumenti adeguati di carattere informativo,
    tecnico ed economico per la corretta implementazione delle norme.
    5. La sicurezza alimentare e la sanita' veterinaria
    L'impatto della globalizzazione dei mercati sia sulla sicurezza
    degli alimenti sia sulla salute delle popolazioni animali e' stato
    considerevole. Il sistema Italia ha registrato notevoli difficolta'
    di adattamento rispetto agli scenari che si sono venuti delineando in
    seguito alla stipula dell'Accordo sulle misure sanitarie e
    fitosanitarie (Accordo SPS) nell'ambito dell'Organizzazione Mondiale
    del Commercio. Questi accordi hanno modificato de facto in modo
    radicale una serie di impostazioni tradizionali nella gestione della
    sicurezza igienico-sanitaria. Tali difficolta' sono, per certi
    aspetti, comuni a tutta l'Unione europea, ma in Italia l'adattamento
    e' risultato, sotto diversi aspetti, piu' difficile.
    Molte energie sono state assorbite dalla necessita' di gestire
    una serie di emergenze che si sono succedute negli ultimi anni.
    Zoonosi causate da nuovi patogeni ed, in particolare, l'encefalopatia
    spongiforme bovina (BSE) hanno costituito un serio problema negli
    ultimi anni in Italia e in numerosi altri Stati europei. Altre
    recenti crisi sanitarie hanno investito il sistema
    agrozootecnico-alimentare, quali la contaminazione da PCB, diossina e
    altre sostanze chimiche, nonche' la febbre catarrale degli ovini, la
    peste suina classica e l'influenza aviaria.
    Nonostante i successi registrati nel fronteggiare questi ed altri
    problemi, la realizzazione di una rete di sorveglianza epidemiologica
    nazionale (come componente primaria di una politica di gestione del
    rischio adeguata alla sfida posta dall'internazionalizzazione dei
    mercati), malgrado l'impegno profuso da parte di diverse componenti
    del sistema di Sanita' pubblica veterinaria nazionale, non e' ancora
    sufficientemente sviluppata.
    Una politica di sicurezza degli alimenti, soprattutto per un
    Paese come l'Italia, che e' membro della Unione Europea e forte
    importatore sia di animali e loro derivati sia di vegetali da tutto
    il mondo, deve assumere come riferimento imprescindibile la realta'
    del mercato globale delle materie prime e dei prodotti trasformati.
    Inoltre, le grandi trasformazioni dei sistemi di produzione e
    distribuzione degli alimenti richiedono anche sul piano nazionale e
    locale che i metodi e l'organizzazione dei controlli si rinnovino e
    si adeguino continuamente.
    Il controllo igienico-sanitario degli alimenti, in un contesto di
    questo tipo, assume connotati completamente diversi rispetto alla
    realta' esistente fino alla meta' degli anni '90. In particolare, i
    controlli non sono piu' concentrati sul prodotto, ma sono distribuiti
    lungo tutto il processo di produzione «dall'aratro al piatto» e le
    garanzie date dal produttore sono parte non esclusiva, ma certamente
    determinante del sistema della sicurezza.
    In questo senso deve essere inquadrato il recente accordo tra il
    Ministro della Salute e la Federazione Italiana Pubblici Esercizi -
    Confcommercio, che ha portato alla elaborazione di Linee Guida per la
    Certificazione delle imprese di somministrazione di alimenti e
    bevande, con l'obiettivo di garantire una maggiore e piu' diffusa
    sicurezza alimentare. L'accordo prevede che le aziende di
    ristorazione commerciale e collettiva si sottopongano ad una
    periodica verifica di conformita' da parte di organismi accreditati,
    al cui superamento consegue il rilascio di un marchio, denominato
    «Bollino Blu»: questo certifica il rispetto dei requisiti di
    sicurezza alimentare e di igiene sanciti dall'accordo, nonche'
    l'attivazione della Carta dei Servizi nel cui contesto rientra
    l'informazione puntale sugli alimenti nonche' la disponibilita' ad
    adattare le preparazioni a corretti stili di vita per la prevenzione
    delle malattie metaboliche e delle intolleranze alimentari.
    La sicurezza degli alimenti, pertanto, assume in concreto una
    dimensione internazionale e puo' essere assicurata solo attraverso
    un'azione che non solo si basi su accordi commerciali bi- o
    multi-laterali, ma sia capace di influire sulle istanze comunitarie
    ed internazionali dove si discutono e si approvano le norme che
    regolano la sicurezza e la tutela igienico-sanitaria, degli scambi di
    animali, vegetali e prodotti derivati. Paradossalmente, a fronte di
    una sempre piu' marcata domanda di autonomia istituzionale dei
    livelli locali dei sistemi di controllo, la sicurezza degli alimenti
    diventa sempre piu' dipendente dalla capacita' di azione a livello
    internazionale.
    Per l'Italia che fonda parte importante del successo economico
    delle proprie imprese agro-alimentari sulla capacita' di trasformare
    materie prime nazionali e di importazione in prodotti di alto pregio
    qualitativo da collocare sul mercato dei Paesi piu' avanzati, la
    capacita' di assicurare alti livelli di sicurezza delle filiere
    produttive diventa non solo elemento determinante per la sicurezza
    dei propri consumatori, ma anche per lo sviluppo economico. La
    mancanza o la percezione di mancanza di sicurezza igienico-sanitaria
    degli alimenti puo' indurre, infatti, sconvolgimenti profondi del
    mercato agro-alimentare. La mancanza di fiducia dei consumatori, nel
    contesto di una forte competizione, puo' portare a perdite
    significative di quote di mercato.
    Il sistema dei controlli deve assicurare nel concreto delle
    azioni quotidiane la qualita' dei processi, dalla produzione delle
    materie prime alla somministrazione, per consentire la libera
    circolazione delle merci e la concorrenza sui mercati. In
    particolare, i pericoli insiti nei sistemi di produzione devono
    essere individuati e eliminati o minimizzati mediante processi
    trasparenti e documentati di analisi e gestione del rischio secondo
    le norme internazionali e comunitarie che regolano in modo molto
    puntuale il controllo della sicurezza degli alimenti, della salute e
    del benessere degli animali.
    La strategia e gli obiettivi da perseguire, in materia di
    sicurezza degli alimenti e delle popolazioni animali, dunque, devono
    necessariamente tener conto del contesto internazionale, comunitario
    e nazionale. Essi, pertanto, da un lato devono essere tali da
    garantire che i fornitori comunitari ed internazionali di animali,
    materie prime e prodotti, operino secondo criteri di sicurezza
    equivalenti a quelli attesi dai produttori e consumatori italiani.
    Dall'altro, l'Italia deve essere in grado di garantire ai consumatori
    nazionali ed a quelli dei Paesi che importano le derrate alimentari
    prodotte in Italia livelli di sicurezza omogenei del piu' alto
    tenore, su tutto il territorio nazionale.
    La sicurezza degli alimenti oggi puo' essere assicurata solo
    attraverso azioni di prevenzione, eliminazione e mitigazione del
    rischio che iniziano nella fase di produzione agricola e si estendono
    in modo integrato nelle fasi di trasformazione, distribuzione,
    conservazione e somministrazione. Livelli di sicurezza adeguati non
    sono raggiungibili se non si adottano misure operative integrate
    concertate e verificate a livello internazionale, comunitario,
    nazionale e locale.
    Gli obiettivi prioritari sono i seguenti:
    definire una politica della sicurezza degli alimenti e della
    salute e del benessere degli animali basata sulla valutazione e la
    gestione del rischio che consenta di uscire gradualmente dalla logica
    dell'emergenza, realizzando una politica fondata su obbiettivi di
    sicurezza e di salute misurabili e verificati;
    ridurre i rischi connessi al consumo degli alimenti ed alle
    zoonosi, assicurando alti livelli di sicurezza igienico-sanitaria
    degli alimenti ai consumatori italiani;
    ridurre l'incidenza delle zoonosi e delle malattie diffusive
    nelle popolazioni degli animali domestici, con particolare
    riferimento alle infezioni della lista A dell'OIE, alla brucellosi
    bovina, ovi-caprina e bufalina ed alla tubercolosi, nonche' alle
    encefalopatie spongiformi trasmissibili.
    Il perseguimento degli obiettivi posti richiede l'attenzione agli
    strumenti organizzativi e l'attuazione di numerosi programmi
    operativi. In particolare, e' necessario garantire un sistema che:
    fornisca la consulenza ed il supporto tecnico e scientifico per
    le attivita' di pianificazione e legislazione nei settori che hanno
    un impatto diretto o indiretto sulla sicurezza degli alimenti
    destinati all'uomo ed agli animali, nonche' sulla salute ed il
    benessere degli animali;
    rappresenti l'interfaccia operativa nazionale dell'Autorita'
    europea degli alimenti, che ha visto l'avvio con l'inizio del 2002, e
    costituisce un importante modello di coordinamento istituzionale dei
    diversi soggetti tenuti a collaborare in vista del raggiungimento
    dell'obiettivo di sicurezza alimentare nell'Unione Europea.
    All'Autorita' europea, soggetto indipendente che agisce secondo il
    principio dell'elevata qualita' scientifica e della trasparenza, e'
    attribuito il compito fondamentale dell'analisi scientifica del
    rischio su cui fondare le decisioni politiche e amministrative.
    L'Autorita' Europea cura in particolare l'analisi scientifica e la
    valutazione del rischio, la comunicazione del rischio per consentire
    una chiara comprensione dello stesso e delle implicazioni sottostanti
    e il sistema di allerta;
    raccolga e analizzi i dati che permettono la caratterizzazione
    ed il monitoraggio dei rischi per la sicurezza alimentare che hanno
    un impatto diretto o indiretto sulla sicurezza degli alimenti
    destinati all'uomo ed agli animali e sulla salute ed il benessere di
    questi ultimi;
    assicuri le analisi e valutazioni scientifiche che servono come
    base scientifica per l'azione legislativa e regolamentare nei campi
    della sicurezza degli alimenti, della salute e del benessere degli
    animali;
    realizzi un sistema di auditing per la verifica dell'efficacia
    del sistema nazionale del controllo ufficiale degli alimenti e delle
    popolazioni animali, conformemente ai requisiti stabiliti da norme
    riconosciute a livello internazionale (OIE, Codex, ISO EN) che
    permettono di misurare la qualita' del servizio/prodotto;
    organizzi un sistema per la gestione delle emergenze
    veterinarie, soprattutto per quelle ad andamento prevalentemente
    diffusivo, coordinato a livello nazionale ed in grado di mobilitare
    le risorse necessarie ove occorrano, nei tempi e nei modi adeguati
    alle esigenze. Particolare attenzione dovra' essere rivolta agli
    strumenti di mobilitazione delle risorse umane ed al reperimento
    delle attrezzature necessarie, anche, ove indispensabile, mediante la
    mobilitazione della protezione civile ed ai sistemi di abbattimento e
    distruzione delle carcasse animali;
    migliori in modo significativo il sistema di sorveglianza
    epidemiologica nazionale nel settore della sicurezza degli alimenti,
    della salute e del benessere degli animali e delle zoonosi,
    attui concretamente un programma di formazione straordinario
    per favorire la realizzazione di sistemi di gestione ed assicurazione
    della qualita' nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale e
    assumere comportamenti che assicurino omogeneita' di prestazioni su
    tutto il territorio nazionale. In particolare deve essere assicurato
    l'accreditamento dei servizi di Sanita' pubblica secondo norme di
    assicurazione della qualita' riconosciute a livello internazionale.
    L'accreditamento e' indispensabile per poter continuare nel
    medio-lungo termine le attivita' di certificazione, indispensabili
    per la libera circolazione degli animali e degli alimenti in ambito
    internazionale. Le attivita' di formazione devono, inoltre, essere
    indirizzate all'introduzione e utilizzazione della sorveglianza
    epidemiologica e dell'analisi del rischio.
    Nel settore della sicurezza alimentare, piu' che in molti altri
    settori, il raggiungimento degli obbiettivi posti e' fortemente
    condizionato dal contesto internazionale e comunitario. E'
    indispensabile, pertanto, creare le condizioni, sia a livello
    nazionale che a livello comunitario ed internazionale, che consentano
    il perseguimento degli obbiettivi e delle azioni identificate. In
    particolare:
    gli obiettivi di sicurezza degli alimenti e di salute e
    benessere degli animali devono essere individuati in modo esplicito e
    trasparente e verificati sistematicamente, assicurando l'efficace
    integrazione del controllo pubblico con l'effettiva attribuzione di
    responsabilita' agli operatori economici della produzione primaria,
    della trasformazione, e del commercio degli alimenti;
    l'attuale revisione delle politiche di sicurezza degli
    alimenti, in ambito dell'Unione Europea deve tenere conto delle
    peculiarita' del sistema di produzione agro-alimentare dell'Italia;
    la partecipazione dell'Italia alle attivita' delle
    Organizzazioni internazionali che operano nel campo della sicurezza
    degli alimenti e della salute e al benessere degli animali deve
    essere rafforzata;
    la collaborazione dell'Italia con i Paesi dai quali il sistema
    agro-industriale italiano si approvvigiona, deve essere rafforzata,
    dando alla cooperazione internazionale un ruolo piu' importante ed
    organico.
    6. La salute e il sociale
    Nessun sistema sanitario, per quanto tecnicamente avanzato, puo'
    soddisfare a pieno la propria missione se non e' rispettoso dei
    principi fondamentali di solidarieta' sociale e di integrazione
    socio-sanitaria.
    6.1. Le fasce di poverta' e di emarginazione
    Numerosi studi hanno documentato che la mortalita' in Italia,
    come in altri Stati, cresce con il crescere dello svantaggio sociale.
    Alcuni studi mostrano che le diseguaglianze nella mortalita' non si
    riducono nel tempo, anzi sembrano ampliarsi, almeno tra gli uomini
    adulti.
    Effetti diretti della poverta' e dell'emarginazione sono
    misurabili sulla mortalita' delle persone e delle famiglie assistite
    dai servizi sociali per problemi di esclusione (malattie mentali,
    dipendenze, poverta', disoccupazione), che in alcune zone presentano
    uno svantaggio nella aspettativa di vita di 13 anni per gli uomini e
    7 per le donne, rispetto al resto della popolazione.
    Le cause di morte e di malattia piu' frequentemente associate
    alle differenze sociali sono quelle correlate alle dipendenze e al
    disagio sociale (droga, alcool e fumo), quelle legate a storie di
    vita particolarmente svantaggiate (malattie respiratorie e tumori
    allo stomaco), quelle che hanno a che fare con la prevenzione nei
    luoghi di lavoro o sulla strada (incidenti), quelle correlate con la
    scarsa qualita' dell'assistenza sanitaria (morti evitabili) e, in
    minore misura, quelle ischemiche del cuore.
    Un'associazione con la condizione socio-economica, misurata in
    base al livello d'istruzione della madre, e' stata osservata anche
    per il peso alla nascita; la probabilita' di mettere al mondo un
    bambino sotto peso risulta 1,5 volte maggiore per le madri con un
    basso livello di istruzione (scuola elementare), rispetto alle madri
    con un livello di studi universitari.
    Per quanto riguarda il ruolo del sistema sanitario sono
    documentati svantaggi sociali sia nell'accesso alla prevenzione
    primaria e alla diagnosi precoce, sia nell'accesso a cure tempestive
    ed appropriate. Per quanto riguarda la prevenzione primaria si
    possono citare le diseguaglianze fra il Nord e il Sud d'Italia nella
    prevenzione della carie dentaria e nella pratica delle vaccinazioni
    obbligatorie nei bambini tra i 12 e i 24 mesi.
    Nel campo della prevenzione secondaria occorre ricordare il
    minore ricorso allo screening dei tumori femminili delle donne meno
    istruite.
    Rispetto all'accesso alle cure, merita ricordare le
    diseguaglianze nella sopravvivenza per tumori a favore delle sedi che
    dispongono di strutture sanitarie in grado di erogare trattamenti
    piu' efficaci.
    Altri indizi di discriminazione sono ricavabili dall'esame
    dell'accesso al by-pass coronarico o alle cure per l'AIDS, o del
    ricorso ad una ospedalizzazione inappropriata, che risultano a
    vantaggio delle persone di piu' alto stato sociale.
    In generale, i gruppi di popolazione che meritano piu'
    attenzione, per gli svantaggi sociali che li caratterizzano sono: i
    bambini e i ragazzi poveri (0-18 anni), gli anziani poveri (piu' di
    65 anni), le madri sole con figli a carico, i disoccupati di lunga
    durata (piu' di un anno), i disoccupati giovani (15-24 anni), gli
    stranieri immigrati da Paesi poveri a forte pressione migratoria, i
    tossicodipendenti, gli alcoolisti e i senza fissa dimora, cioe' da un
    lato i gruppi che sono piu' esposti alla marginalita' sociale (si
    tratta di bambini, adulti e anziani in difficolta' e in poverta),
    dall'altro gli emarginati estremi (i senza fissa dimora), e nel mezzo
    le categorie come quelle delle persone affette da una dipendenza (gli
    alcoolisti o i tossicodipendenti) e quelle degli stranieri immigrati
    che cercano di inserirsi nella societa' italiana con un nuovo
    progetto di vita.
    Secondo gli obiettivi adottati dall'OMS nel 1999, il divario
    nella salute tra diversi gruppi socio-economici dovrebbe essere
    ridotto, entro l'anno 2020, di almeno un quarto. In particolare il
    divario in termini di aspettativa di vita tra i vari gruppi
    socio-economici dovrebbe essere ridotto di almeno il 25%, e i valori
    dei principali indicatori di morbilita', disabilita' e mortalita' nei
    diversi gruppi socio-economici dovrebbero essere distribuiti piu'
    uniformemente. Inoltre, dovrebbero essere migliorate le condizioni
    socio-economiche che possono produrre effetti dannosi per la salute,
    quali il basso reddito, bassi livelli di istruzione e limitato
    accesso al mondo del lavoro, cosi' da ridurre la percentuale di
    persone che vivono in poverta'. Infine, i soggetti che hanno bisogni
    speciali, in ragione delle proprie condizioni di salute, dovrebbero
    essere protetti dall'esclusione e fruire di un agevole accesso a cure
    appropriate.
    Le azioni prioritarie per conseguire questi obiettivi riguardano
    in primo luogo gli interventi sulle cause che generano le
    disuguaglianze nella salute soprattutto per quanto riguarda i bambini
    in poverta' e le madri sole con figli a carico, i disoccupati, gli
    stranieri immigrati ed altri gruppi.
    E' ben noto che la lotta alla poverta' e' uno degli strumenti
    piu' efficaci per migliorare lo stato di salute. Si tratta, quindi,
    di misure di carattere sociale tipiche dello Stato assistenziale per
    contrastare la poverta' le quali non rientrano direttamente nella
    competenza del Servizio Sanitario Nazionale. E', quindi, molto
    importante l'efficace collegamento delle politiche finalizzate alla
    riduzione delle disuguaglianze nello stato di salute derivanti dalla
    poverta' con le politiche di sviluppo economico e sociale.
    Nell'ambito piu' specificamente sanitario si tratta, in
    particolare, di assicurare l'accesso ai servizi sanitari superando,
    attraverso idonee modifiche organizzative ed appositi programmi di
    attivita', le barriere di conoscenza ed, in alcuni casi, linguistiche
    che si frappongono alla fruibilita' dei servizi sanitari. Specifici
    programmi di formazione e obiettivi di qualita' per il personale
    addetto sono auspicabili.
    Un'altra serie di interventi di carattere piu' strettamente
    sanitario riguarda quelli finalizzati al contenimento dei danni delle
    disuguaglianze (specie per gli anziani poveri e i soggetti dipendenti
    da sostanze o alcool), nonche' ad interrompere i processi di
    esclusione che nascono da problemi di salute, quali
    l'istituzionalizzazione degli anziani poveri e la segregazione dei
    malati poveri.
    Si richiamano qui, in quanto rilevanti, integralmente le analisi
    e le proposte sviluppate nel presente Piano in materia di: (i) malati
    cronici, anziani e disabili (Parte I, Sezione 2.2); (ii) stili di
    vita salutari, prevenzione e comunicazione pubblica sulla salute
    (Parte I, Sezione 2.9); (iii) salute mentale (Parte II, Sezione 6.3);
    (iv) tossicodipendenze (Parte II, Sezione 6.4); e (v) salute degli
    immigrati (Parte II, Sezione 6.6). Prezioso in tale ambito e
    specialmente per l'assistenza dei senza fissa dimora, e' la
    collaborazione tra le strutture del Servizio Sanitario Nazionale e le
    Organizzazioni del volontariato che dispongono di una maggiore
    flessibilita' e capacita' di integrazione con questo gruppo di
    emarginati. La messa a punto di incentivi a carattere settoriale ed
    intersettoriale per facilitare azioni congiunte e' fortemente
    auspicabile.
    Infine, e' molto importante continuare l'approfondimento dei
    determinanti sociali, economici ed ambientali piu' direttamente
    collegati con i problemi della salute, associati alla poverta', e la
    sistematica valutazione delle diverse iniziative ed opportunita' per
    alleviare o rimuovere le difficolta' esistenti.
    6.2. La salute del neonato, del bambino e dell'adolescente
    Premesso che il Progetto Obiettivo Materno-Infantile del PSN
    1998-2000 ancora non ha avuto piena applicazione, pur conservando in
    linea di massima la sua validita', vengono focalizzati in questo
    capitolo solo alcuni aspetti che riguardano la salute del bambino.
    Dal 1975 ad oggi il tasso di mortalita' infantile (morti entro il
    primo anno di vita per 1.000 nati vivi) in Italia e' sceso di piu'
    del 76%, dal 20,5 del 1975 al 4,9/1.000 del 1999. Si tratta di uno
    dei piu' significativi miglioramenti registrati nell'Europa
    occidentale durante questo periodo. Tuttavia vi sono ancora notevoli
    differenze tra le Regioni italiane: in alcune Regioni meridionali
    (Puglia, Sicilia, Basilicata) il tasso di mortalita' infantile nel
    1999 era di 7,33/1.000 nati vivi, rispetto al 3,0 delle Regioni con
    il tasso di mortalita' piu' basso (Friuli-Venezia Giulia, Liguria,
    Lombardia). La mortalita' neonatale (entro le prime quattro settimane
    di vita, ed in particolare entro la prima) piu' elevata nelle Regioni
    del Centro-Sud, e' responsabile della maggior parte di tale
    mortalita'.
    Obiettivo fondamentale e' quindi innanzitutto ridurre le
    disparita' regionali nei tassi di mortalita' neonatale, avvicinando
    la media nazionale a quella della regione con indice di mortalita'
    piu' basso. Per quanto riguarda la mortalita' nel primo anno di vita,
    le malformazioni congenite rappresentano, insieme alla prematurita',
    l'83% di tutte le cause. Confronti sulla base dei registri della
    popolazione in alcune aree d'Italia che partecipano alla rete EUROCAT
    («European Registration of Congenital Anomalies»), indicano che il
    tasso di malformazioni congenite in Italia e' simile a quello di
    altre aree d'Europa.
    Nella valutazione dello stato di salute della popolazione
    infantile un importante indicatore e' il peso alla nascita dei
    neonati a termine. Esso e' influenzato dallo stato sociale e da altri
    fattori come il fumo. In Italia il tasso di basso peso alla nascita
    nel 1995 era del 4,7% (4,1% maschi e 5,3% femmine, dati ISTAT).
    L'incidenza di basso peso alla nascita non e' cambiata in maniera
    significativa nel corso degli ultimi 15 anni.
    Per raggiungere l'obiettivo adottato dall'OMS per l'anno 2020, la
    prevalenza dei bambini sottopeso alla nascita dovrebbe diminuire al
    valore globale di 3,8% (3,3% per i maschi e 4,2% per le femmine).
    La tutela della salute del prodotto del concepimento deve
    iniziare gia' in epoca preconcezionale e deve realizzarsi gia' con il
    coinvolgimento dei medici di famiglia, dei pediatri di libera scelta,
    della scuola, dei centri di aggregazione sociale e dei mezzi di
    comunicazione di massa.
    La promozione della salute consiste nel dare corrette
    informazioni sul possibile rischio genetico, sulla contraccezione,
    sulla necessita' di abolire il fumo, l'alcool e le droghe, sulle
    problematiche della nutrizione, sulla necessita' di profilassi con
    acido folico e di un supporto sociale ed emozionale tempestivo. Vanno
    inoltre date precise informazioni sull'esistenza nel territorio di
    reparti e centri ostetrici-neonatologici specificamente indirizzati
    all'assistenza delle gravidanze normali e ad alto rischio.
    Infatti, un fattore molto importante per prevenire le patologie
    del prodotto del concepimento e' certamente la promozione
    dell'assistenza preconcezionale al fine di ridurre i fattori di
    rischio ed in particolare la prematurita'. L'educazione a
    comportamenti corretti in gravidanza, soprattutto per quanto riguarda
    il fumo, e' a tal riguardo di fondamentale importanza. Esistono,
    inoltre, molte disuguaglianze sul piano organizzativo e gestionale
    nelle strutture dove avviene la nascita e questo pesa negativamente
    sulla mortalita' perinatale e sugli esiti a distanza (handicap).
    Occorre anche ridurre le morti improvvise in culla, prima causa
    di mortalita' infantile dopo la prima settimana di vita, attraverso
    campagne informative atte a ridurre i fattori di rischio.
    Per quanto riguarda il gruppo di eta' tra 1 e 14 anni, il tasso
    di mortalita' ha mostrato un importante declino negli ultimi 25 anni,
    da 49,9/100.000 all'attuale 19,7. Le maggiori cause di morte in
    questo gruppo di eta' sono gli incidenti (5/100.000) e il cancro
    (5/100.000). Le differenze geografiche riscontrate in Italia nel 1997
    indicano una mortalita' piu' elevata (+14% circa) al Sud che al Nord.
    L'obiettivo della riduzione della mortalita' per incidenti, sia
    domestici che stradali, deve prevedere misure legislative, di
    controllo, ed una forte campagna di prevenzione con misure di
    educazione stradale e di sicurezza in casa e nelle scuole.
    Le condizioni morbose croniche prevalenti nei bambini e negli
    adolescenti sia in Italia che nel resto dell'Europa, con un andamento
    in continua crescita, sono l'asma e l'obesita'. E' significativo che
    le due condizioni morbose piu' frequenti siano legate a problematiche
    ambientali e a comportamenti alimentari errati, rispettivamente: la
    prevenzione, in termini di salvaguardia ambientale (con lotta
    all'inquinamento e al fumo passivo) e di educazione alimentare nella
    popolazione, deve essere l'obiettivo fondamentale della politica
    sanitaria per l'immediato futuro.
    In Italia si riscontra una bassa percentuale di gravidanze in
    eta' adolescenziale (2,25%), paragonabile ai tassi osservati in altri
    Paesi europei quali Germania, Danimarca, Finlandia, Svezia e Francia.
    I dati riguardanti le Regioni italiane relativi al 1995 mostrano
    marcate differenze geografiche: nelle Regioni meridionali si registra
    una percentuale piu' elevata di gravidanze in eta' adolescenziale in
    confronto alle Regioni del Nord anche se questo avviene nel contesto
    di unioni legali.
    Obiettivo di questo settore dovra' essere la prevenzione primaria
    delle gravidanze non desiderate in eta' adolescenziale con una
    appropriata educazione sessuale, che deve vedere coinvolti tutti gli
    educatori e il personale sociosanitario, accanto alle famiglie,
    nell'ambito di un progetto di educazione volto alla procreazione
    responsabile e alla prevenzione delle malattie trasmissibili per via
    sessuale.
    La rete ospedaliera pediatrica, malgrado i tentativi di
    razionalizzazione, appare ancora decisamente ipertrofica rispetto ad
    altri Paesi europei, con un numero di strutture pari a 504 nell'anno
    1999, mentre la presenza del pediatra dove nasce e si ricovera un
    bambino e' garantita nel 50% degli Ospedali, l'attivita' di pronto
    soccorso pediatrico e' presente solo nel 30% degli Ospedali. La
    guardia medico-ostetrica 24 ore su 24 nelle strutture dove avviene il
    parto e' garantita solo nel 45% dei reparti. Inoltre, malgrado la
    forte diminuzione della natalita', il numero dei punti nascita e'
    ancora molto elevato, 605 in strutture pubbliche o private
    accreditate: tra queste poco meno della meta' ha meno di 500 parti
    all'anno, soprattutto nelle Regioni del Sud del Paese.
    L'attuale organizzazione ospedaliera, insieme alla mancanza di
    una continuita' assistenziale sul territorio, ha determinato, nel
    1999 un tasso di ospedalizzazione del 119 %, un valore
    significativamente piu' elevato rispetto a quello dei Paesi europei,
    quali ad esempio il Regno Unito (51 %) e la Spagna (60 %). E'
    necessario aggiungere che i fattori sopra indicati hanno una
    distribuzione geografica diversa, e sono tra i piu' importanti
    determinanti delle differenze interregionali nei tassi di mortalita'
    infantile e neonatale a sfavore delle Regioni del Sud, anche sulla
    base di differenti sistemi organizzativi e gestionali delle unita'
    operative pediatriche.
    Gli stessi fattori condizionano anche l'elevato numero di parti
    per taglio cesareo nel nostro Paese, ben il 33% nel 1999, piu'
    frequenti nelle strutture del Centro-Sud con un basso numero di nati,
    fino a raggiungere in Campania il 51%, mentre le Regioni Trentino
    Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia hanno una percentuale di parti per
    taglio cesareo pari al 20%, valori di poco superiori a quelli
    riportati dalla maggior parte dei Paesi dell'Unione Europea. Fattori
    economici relativi al sistema di rimborso delle prestazioni come
    anche fattori organizzativi del sistema sanitario hanno contribuito
    in questi anni ad incrementare il ricorso al parto cesareo, a scapito
    di quello per via naturale.
    Peraltro, va notato che la pratica del parto indolore ancora non
    e' garantita in Italia dal Servizio Sanitario Nazionale, e cio'
    induce alcune gravide ad effettuare parto cesareo o a recarsi
    all'estero per partorire.
    Malgrado la Convenzione Internazionale di New York e la Carta
    Europea dei bambini degenti in ospedale (con la risoluzione del
    Parlamento Europeo del 1986), ancora piu' del 30% dei pazienti in
    eta' evolutiva viene ricoverato in reparti per adulti e non in area
    pediatrica. L'area pediatrica e' «l'ambiente in cui il Servizio
    Sanitario Nazionale si prende cura della salute dell'infanzia con
    caratteristiche peculiari per il neonato, il bambino e
    l'adolescente».
    Gli obiettivi strategici:
    attivare i programmi specifici per la protezione della maternita'
    e migliorare l'assistenza ostetrica e pediatrico/neonatologica nel
    periodo perinatale;
    educare alla salute e all'igiene i giovani e le famiglie, col
    contributo essenziale della scuola e degli enti territoriali e dei
    servizi socio-assistenziali competenti con particolare riguardo alla
    prevenzione dei maltrattamenti, abusi e sfruttamento minorile,
    dell'obesita', delle malattie sessualmente trasmesse, con particolare
    riguardo alla prevenzione della tossicodipendenza, e degli infortuni
    ed incidenti;
    valorizzare la centralita' di ruolo del pediatra di libera scelta
    e del medico di base nella definizione di percorsi
    diagnostico-terapeutici e la sua funzione di educazione sanitaria
    individuale;
    attivare in ogni Regione il Servizio di trasporto di emergenza
    dei neonati e delle gestanti a rischio;
    ridurre il tasso di ospedalizzazione con l'obiettivo di ridurlo
    del 10% per anno;
    elaborare Linee Guida e percorsi diagnostico-terapeutici
    condivisi anche in ambito locale con particolare attenzione alle
    patologie che comportano il maggior numero di ricoveri in eta'
    pediatrica e alle patologie chirurgiche piu' a rischio di interventi
    inappropriati;
    diminuire la frequenza dei parti per taglio cesareo, e ridurre le
    forti differenze regionali attualmente esistenti, arrivando entro il
    triennio ad un valore nazionale pari al 20%, in linea con i valori
    medi degli altri Paesi europei, anche tramite una revisione dei DRG
    relativi;
    ottimizzare il numero dei punti nascita;
    riqualificare i consultori-ambulatori che operino sul
    territorio ed in ospedale gia' in epoca preconcezionale per una
    promozione attiva di tutte le iniziative atte a ridurre i rischi
    durante la gravidanza;
    promuovere campagne informative rivolte alle gestanti e alle
    puerpere sulle norme comportamentali di prevenzione quali la
    promozione dell'allattamento al seno, l'estensione delle
    vaccinazioni, il corretto trasporto in auto del bambino, ricordando
    l'importanza della prevenzione della morte in culla del lattante:
    posizione nel sonno supina, evitare il fumo di sigaretta e
    temperature ambientali elevate.
    6.3. La salute mentale
    I problemi relativi alla salute mentale rivestono, in tutti i
    Paesi industrializzati, un'importanza crescente, perche' la loro
    prevalenza mostra un trend in aumento e perche' ad essi si associa un
    elevato carico di disabilita' e di costi economici e sociali, che
    pesa sui pazienti, sui loro familiari e sulla collettivita'.
    Numerose evidenze tratte dalla letteratura scientifica
    internazionale segnalano che nell'arco di un anno il 20% circa della
    popolazione adulta presenta uno o piu' dei disturbi mentali elencati
    nella Classificazione Internazionale delle Malattie
    dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'.
    Tra i disturbi mentali piu' frequenti vi sono i disturbi d'ansia,
    il cui tasso di prevalenza supera il 15%, con un incremento degli
    attacchi di panico e delle forme ossessivo-compulsive.
    La depressione nelle sue varie forme cliniche colpisce tutte le
    fasce d'eta' e il tasso di prevalenza supera il 10%. Spesso
    depressione e disturbi d'ansia coesistono. Significativa anche la
    prevalenza dei disturbi della personalita' e dei disturbi
    dell'alimentazione (anoressia e bulimia). Il tasso di prevalenza
    delle psicosi schizofreniche, che rappresentano senza dubbio uno dei
    piu' gravi disturbi mentali, e' pari a circa lo 0,5%.
    Occorre considerare, inoltre, i disturbi mentali che affliggono
    la popolazione anziana, soprattutto le demenze nelle loro diverse
    espressioni. Va segnalata, infine, la complessa problematica relativa
    alle condizioni di comorbidita' tra disturbi psichiatrici e disturbi
    da abuso di sostanze e tra disturbi psichiatrici e patologie
    organiche (con particolare riferimento alle patologie
    cronico-degenerative: neoplasie, infezione da HIV, malattie
    degenerative del Sistema Nervoso Centrale).
    Recenti studi hanno documentato che molti disturbi mentali
    dell'eta' adulta sono preceduti da disturbi dell'eta'
    evolutiva-adolescenziale. In particolare, l'8% circa dei bambini e
    degli adolescenti presenta un disturbo mentale, che puo' determinare
    difficolta' interpersonali e disadattamento; non va dimenticato che
    il suicidio rappresenta la seconda causa di morte tra gli
    adolescenti.
    Le condizioni cliniche citate presentano un differente indice di
    disabilita': i disturbi ansioso-depressivi, pur numerosi, possono,
    quando appropriatamente trattati, presentare una durata e gradi di
    disabilita' non marcati, anche se alcuni casi di sindrome
    ossessivo-compulsiva o di agorafobia sono seriamente invalidanti.
    D'altro canto le psicosi (schizofreniche, affettive e le
    depressioni maggiori ricorrenti) impegnano i servizi sanitari e
    sociali in maniera massiccia, per via della gravita', del rischio di
    suicidio, della lunga durata e delle disabilita' marcate che le
    caratterizzano.
    Nel nostro Paese, il processo di adeguamento dell'assistenza
    psichiatrica alle necessita' reali dei malati ed agli orientamenti
    piu' attuali della sanita' pubblica, avviato con la legge 23 dicembre
    1978, n. 833, ha determinato l'integrazione dell'assistenza
    psichiatrica nel Servizio Sanitario Nazionale, l'orientamento
    comunitario dell'assistenza alle persone con disturbi mentali, il
    superamento del modello custodialistico rappresentato dall'Ospedale
    Psichiatrico.
    Le aree critiche che si rilevano nella tutela della salute
    mentale, al momento attuale, sono:
    la disomogenea distribuzione dei Servizi sul territorio
    nazionale, con particolare riferimento ai Servizi Psichiatrici di
    Diagnosi e Cura ospedalieri, ai Centri Diurni ed alle Strutture
    Residenziali per attivita' riabilitative, insieme ad una mancanza di
    coordinamento fra i servizi sociali e sanitari per l'eta' evolutiva,
    i servizi per gli adulti ed i servizi per i soggetti anziani;
    la mancanza di un numero adeguato di Strutture residenziali per
    le condizioni psichiatriche che prevedono una piu' elevata intensita'
    e durata dell'intervento riabilitativo;
    la carenza di sistemi informativi nazionali e regionali per il
    monitoraggio quali-quantitativo delle prestazioni erogate e dei
    bisogni di salute della popolazione;
    la scarsa diffusione delle conoscenze scientifiche in materia
    di interventi basati su prove di efficacia e la relativa adozione di
    Linee Guida da parte dei servizi, nonche' di parametri per
    l'accreditamento delle strutture assistenziali pubbliche e private;
    la presenza di pregiudizi ed atteggiamenti di esclusione
    sociale nella popolazione;
    la scarsa attenzione alla prevenzione primaria e secondaria, ai
    problemi della salute mentale in eta' evolutiva e nell'eta' «di
    confine», che si concretizza in un'offerta di servizi insufficiente
    ed alla quale e' utile rispondere anche con il contributo, almeno in
    fase sperimentale, di strutture accreditate del privato sociale ed
    imprenditoriale;
    la carente gestione delle condizioni di comorbidita' tra
    disturbi psichiatrici e disturbi da abuso di sostanze, e tra disturbi
    psichiatrici e patologie organiche;
    la scarsa attenzione alla presenza di disturbi mentali nelle
    carceri. Tale evidenza segnala l'importanza della sperimentazione in
    corso in alcune Regioni sulla base di quanto previsto dal Decreto
    Legislativo 22 giugno 1999, n. 230, e dal relativo progetto
    obiettivo, anche ai fini della valutazione della rispondenza del
    modello organizzativo ivi delineato.
    Gli obiettivi strategici da realizzare sono rappresentati da:
    la riduzione dei comportamenti suicidari, con particolare
    attenzione all'eta' adolescenziale e a quella anziana;
    la riduzione delle interruzioni non concordate di trattamento,
    mediante attuazione di programmi terapeutico-riabilitativi
    multidisciplinari integrati in risposta ai bisogni di salute mentale
    dei pazienti e delle famiglie;
    la riduzione dei tempi d'attesa per l'accesso ai trattamenti,
    ivi compresi quelli psicoterapici;
    il miglioramento delle conoscenze epidemiologiche sui bisogni
    di salute mentale nella popolazione e sull'efficacia degli
    interventi;
    la promozione della salute mentale nell'intero ciclo della
    vita, garantendo l'integrazione tra servizi sanitari e sociali -
    pubblici e del privato sociale ed imprenditoriale - con particolare
    riferimento agli interventi a favore dei soggetti maggiormente a
    rischio;
    la cooperazione dei servizi di salute mentale con soggetti non
    istituzionali (Associazioni dei familiari, dei pazienti,
    volontariato, Associazioni di Advocacy), il privato sociale ed
    imprenditoriale;
    la promozione dell'informazione e della conoscenza sulle
    malattie mentali nella popolazione, al fine di:
    1) realizzare interventi di prevenzione primaria e secondaria
    (informazione sui disturbi mentali, sui servizi, collegamenti tra le
    strutture sanitarie, i servizi sociali, le scuole, le associazioni di
    volontariato);
    2) incrementare la lotta allo stigma verso la malattia
    mentale e la promozione di una maggiore solidarieta' nei confronti
    delle persone affette da disturbi mentali gravi;
    3) diffondere e sviluppare la cultura del volontariato,
    dell'associazionismo, dell'auto-aiuto, per uno sforzo congiunto nella
    cura delle malattie mentali.
    Inoltre e' necessario pianificare azioni volte a:
    ridurre le disomogeneita' nella distribuzione dei servizi
    all'interno del territorio nazionale superando le discrepanze
    esistenti tra il nord e il sud del Paese ed all'interno delle singole
    realta' regionali;
    concludere il processo di superamento dei manicomi pubblici e
    privati superando, finalmente, qualunque approccio custodialistico;
    pianificare interventi di prevenzione, diagnosi precoce e
    terapia dei disturbi mentali in eta' infantile ed adolescenziale
    attivando stretti collegamenti funzionali tra strutture a carattere
    sanitario (neuropsichiatria infantile, dipartimento
    materno-infantile, pediatria di base), ed altri servizi sociali ed
    Istituzioni a carattere educativo, scolastico e giudiziario;
    assicurare la presa in carico e la continuita' terapeutica dei
    problemi di salute mentale del paziente, qualunque sia il punto di
    accesso;
    promuovere la formazione e l'aggiornamento continuo di tutto il
    personale operante nel campo della salute mentale;
    attuare interventi di sostegno ai gruppi di auto-aiuto di
    familiari e di pazienti;
    attivare interventi per la prevenzione e cura del disagio
    psichico nelle carceri, secondo quanto previsto dal Decreto
    Legislativo 22 giugno 1999, n. 230;
    aumentare l'accessibilita' dei servizi, superando procedure
    farraginose e burocratiche, per garantire tempestivita' nelle
    risposte;
    migliorare l'assetto del DSM ai fini di una maggiore
    flessibilita' nell'attuazione dei percorsi di cura, soprattutto per i
    pazienti affetti da disturbi mentali gravi;
    rinforzare la rete di interventi domiciliari, anche in
    situazioni di urgenza, e sviluppare una forte continuita'
    terapeutico-assistenziale;
    incrementare la dotazione di strutture semiresidenziali e
    residenziali, a differente gradiente di intensita' riabilitativa e
    assistenziale, finalizzate agli interventi sulle disabilita' ed
    all'integrazione familiare e sociale;
    sviluppare strategie di intervento precoce, al fine di ridurre
    il tempo che intercorre tra l'esordio della patologia e la presa in
    carico, migliorando cosi' sensibilmente le prospettive di guarigione;
    definire in modo piu' appropriato le procedure per gli
    accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori, specificando le
    responsabilita' e le titolarita' dell'intervento, senza abbassare i
    livelli di garanzia per il paziente ma rinforzandoli in relazione al
    diritto all'accesso ad una cura tempestiva ed efficace;
    mettere in atto programmi adeguati per il sostegno alle
    famiglie ai fini di non disperdere risorse e relazioni che sono
    fondamentali nei processi di cura;
    coniugare gli aspetti organizzativi con la possibilita' che il
    paziente sia partecipe ad ogni livello del programma d'intervento,
    anche attraverso la scelta consapevole del luogo di cura e del
    curante per migliorare la adesione al trattamento;
    mettere in campo nuovi strumenti per l'integrazione sociale e
    lavorativa del paziente, nel contesto del tessuto sociale e non in
    surrogati di esso, superando barriere e stigmatizzazioni che ancora
    oggi riducono le opportunita' per pazienti e familiari;
    migliorare il funzionamento in rete dei servizi, pubblici e
    privati, puntando all'integrazione e all'incremento della qualita'
    dell'assistenza erogata;
    favorire il coinvolgimento dei pazienti e delle associazioni
    dei familiari nella individuazione delle priorita' e nella verifica
    di efficienza dei servizi;
    sviluppare adeguate iniziative di formazione ed aggiornamento,
    per migliorare costantemente la competenza e la motivazione degli
    operatori.
    6.4. Le tossicodipendenze
    In un tessuto sociale, educativo e culturale fortemente segnato
    dalla crisi della famiglia e dai modelli di deresponsabilizzazione
    individuale e talora istituzionale, nonche' di solitudine subita e
    talora ricercata, la diffusione dei vari tipi di droghe interessa un
    numero considerevole di giovani e di giovanissimi troppo spesso
    inconsapevoli dei pericoli cui vanno incontro, ma anche privi di
    stimoli ed orientamenti positivi per la propria vita.
    Adeguate strategie pubbliche contro la droga richiedono che le
    Amministrazioni dello Stato promuovano una cultura istituzionale
    idonea a contrastare l'idea della sostanziale innocuita' delle droghe
    e l'atmosfera di «normalita» in cui il loro uso, non di rado, si
    diffonde determinando un pericoloso abbassamento dell'allarme
    sociale, fattori questi che contribuiscono a determinare un oggettivo
    vantaggio per il mercato criminale nell'offerta di droghe.
    Asse portante della nuova linea di politica sociale in materia di
    droghe dovra' essere, pertanto, la considerazione che la
    tossicodipendenza e l'uso delle sostanze illecite non possono essere
    fronteggiati con scelte tecnico-politiche fondate sul puro controllo
    farmacologico del problema. Si correrebbe in tal caso, e purtroppo si
    e' corso, il rischio di contribuire al rafforzamento di una
    condizione invalidante e di dipendenza cronica, rinunciando a
    perseguire l'obiettivo del pieno recupero personale e sociale della
    persona.
    Nel corso del mese di novembre 2001, di fronte al Comitato
    Interministeriale di Coordinamento per l'azione anti-droga,
    costituito ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n.
    309 del 1990, si e' insediato il Commissario straordinario di
    Governo, in qualita' di responsabile del Dipartimento Nazionale per
    le Politiche Antidroga, che avra' il compito di coordinare le
    politiche e le competenze oggi distribuite in diversi Ministeri,
    cosi' da progettare un Piano Nazionale piu' incisivo ed efficace.
    Le azioni e gli interventi indicati di seguito sono quelli
    contenuti nel Piano predisposto e approvato dal Governo il
    14 febbraio 2002, che avranno attuazione con il coinvolgimento di
    tutte le componenti istituzionali direttamente interessate.
    Alla luce dei dati piu' recenti e' possibile affermare che il
    fenomeno della tossicodipendenza riguarda oggi, in misura largamente
    prevalente, l'uso contemporaneo di piu' sostanze, dalle cosiddette
    droghe leggere, alle amfetamine, all'eroina e alla cocaina.
    E' anche accertato come l'eta' del primo approccio con le
    sostanze sia in continua e progressiva diminuzione: recenti ricerche
    hanno posto in evidenza come essa sia collocabile, per la stragrande
    maggioranza dei consumatori di droghe, fra gli 11 e i 17 anni, con la
    media della «prima esperienza» stabilizzata ormai al di sotto dei 13
    anni.
    Dai dati ufficiali risulta inoltre che:
    il consumo di eroina, nonostante in alcune zone del Paese il
    trend dei nuovi consumatori di tale sostanza sia in contrazione, e'
    in aumento, specialmente attraverso nuove modalita' di assunzione
    (fumo, inalazione);
    continua il progressivo aumento, peraltro gia' rilevato, del
    consumo di cocaina, che da droga di «elite» si e' trasformata
    rapidamente in una droga di massa. L'assunzione della sostanza
    riguarda, infatti, fasce sempre piu' diversificate e giovani di
    utilizzatori;
    si evidenzia un costante aumento dei consumi di «ecstasy» e di
    amfetamine, come indirettamente confermato dall'aumento esponenziale
    dei sequestri di questo tipo di droghe;
    il consumo di cannabinoidi coinvolge ormai, secondo le
    statistiche piu' attendibili, oltre un terzo degli adolescenti ed e'
    un comportamento considerato «normale» da una parte consistente
    dell'opinione pubblica, dei mezzi di informazione e perfino da alcuni
    soggetti istituzionali.
    Panorama internazionale.
    L'andamento del fenomeno negli altri Paesi dell'Unione Europea
    non si discosta significativamente dalla situazione italiana con
    punte di forte diffusione del consumo di sostanze sintetiche in Gran
    Bretagna e nei Paesi Bassi, di cannabis in Francia e Spagna e di
    eroina in Germania.
    Al fine di contrastare tale situazione, e facendo seguito agli
    impegni sottoscritti in occasione dell'Assemblea generale dell'ONU
    (giugno 1998), il Consiglio Europeo ha adottato ufficialmente (giugno
    2000) un Piano d'Azione sulle droghe per gli anni 2000-2004,
    indicando con precisione i seguenti sei obiettivi strategici ed
    impegnando i Paesi aderenti al loro integrale recepimento:
    ridurre in misura rilevante, nell'arco di cinque anni, il
    consumo di droghe illecite e il numero di nuovi consumatori,
    soprattutto tra i giovani di eta' inferiore ai diciotto anni;
    abbassare in misura sostanziale l'incidenza dei danni causati
    alla salute dall'uso di sostanze stupefacenti nonche',
    conseguentemente, anche il numero di decessi correlati all'uso di
    droghe;
    aumentare in misura rilevante il numero dei tossicodipendenti
    sottoposti con successo a trattamento;
    diminuire considerevolmente la reperibilita' di droghe
    illecite;
    ridurre in misura significativa il numero di reati correlati
    alla droga;
    contrastare in maniera sempre piu' efficace il riciclaggio di
    denaro sporco ed il traffico illecito delle sostanze chimiche
    impiegate nella produzione di droghe.
    Il contesto nazionale.
    Nel nostro Paese risultano attivi 555 SerT (Servizi per le
    Tossicodipendenze), che hanno in carico 150.400 soggetti
    tossicodipendenti; tale dato presenta un aumento di circa il 2,2%
    rispetto all'anno precedente. La maggioranza degli utenti dei SerT
    (81,4 %) e' dipendente principalmente da eroina, mentre i soggetti
    che fanno uso solamente di cannabis, ecstasy e cocaina costituiscono
    una percentuale del tutto irrilevante.
    Nelle strutture socio-riabilitative residenziali e
    semi-residenziali, gestite nella maggioranza dei casi da soggetti del
    privato sociale, risultano invece assistiti 19.465 soggetti; tale
    valore manifesta una diminuzione di circa l'1% rispetto all'anno
    precedente.
    Per quanto riguarda gli utenti dei SerT i dati mostrano una
    costante crescita dei trattamenti farmacologici con metadone,
    trattamenti che superano ormai la meta' dei casi seguiti (51,2%
    rispetto al 49,5% del 1999 e al 43% del 1995). All'interno dei
    trattamenti metadonici aumentano inoltre i casi di «terapia di lunga
    durata» (30,9% nel 2001 rispetto al 27 del 1999) a scapito di quelli
    a breve termine (8,5% nel 2001 rispetto al 10,2% del 1999).
    I dati sopra riferiti evidenziano, in sostanza, come l'approccio
    farmacologico alla tossicodipendenza rappresenti la principale
    attivita' svolta dai SerT.
    Le nuove politiche del Governo in materia di tossicodipendenza.
    Il Governo italiano intende dare piena attuazione al piano di
    azione comunitario e degli indirizzi ONU in materia di riduzione
    della domanda e dell'offerta di droga, potenziando, in coerenza con
    quanto affermato nel DPEF 2002-2006, le iniziative orientate alla
    prevenzione della tossicodipendenza, al recupero del valore della
    persona nella sua interezza e al suo reinserimento a pieno titolo
    nella societa' e nel mondo del lavoro.
    Prevenzione del disagio giovanile e delle dipendenze.
    Gli interventi di prevenzione debbono rappresentare il punto
    centrale delle politiche sociali.
    Occorre, in particolare, ampliare e diversificare le tipologie di
    intervento e rivolgerle in modo efficace ad una piu' vasta platea di
    soggetti destinatari, considerato che il disagio giovanile non
    riguarda ormai piu' «categorie a rischio», ma puo' prodursi in
    maniera del tutto asintomatica e poi esplodere in forme di devianza
    imprevedibile, tra le quali, appunto, l'uso di sostanze stupefacenti
    e/o psicotrope.
    In tale ottica risulta, quindi, indispensabile definire un
    sistema coordinato ed integrato di interventi, che coinvolgano la
    societa' civile nel suo insieme e, in particolare, le principali
    agenzie educative: famiglia e scuola.
    Gli interventi debbono pertanto essere orientati, pur nelle
    differenti specificita' e contesti di riferimento, sia al sostegno
    della progettualita' e dell'autonomia dei giovani (in alternativa al
    modello massificante della droga) e alla realizzazione di un patto di
    intenti tra famiglia e scuola, nell'interesse del futuro dei giovani,
    libero dall'uso di qualunque sostanza.
    I progetti dovranno essere orientati a:
    promuovere lo sviluppo integrale della persona;
    offrire occasioni di miglioramento dei processi di
    partecipazione attiva e di riconoscimento della propria identita';
    contribuire a creare consapevolezza e capacita' decisionali ed
    imprenditoriali nei giovani;
    offrire concrete occasioni di inserimento nel mondo della
    formazione e del lavoro;
    qualificare la vita in termini complessivi, come valore
    insostituibile.
    Per quanto riguarda, poi, le campagne informative, si intende
    fare riferimento a dati e ricerche autorevoli, scientificamente
    credibili e facilmente «acquisibili» dai giovani, evitando messaggi
    approssimativi e contraddittori. Una campagna di prevenzione non puo'
    ovviamente basarsi sulla sola informazione. Non ci si puo', infatti,
    limitare a spiegare la formula chimica di una droga ed i suoi
    effetti, ma occorre promuovere e illustrare stili di vita
    responsabili e rispettosi di se' e degli altri.
    Gli obiettivi della campagna informativa nazionale di prevenzione
    devono pertanto essere quelli di ridurre il consumo di droghe,
    promuovere stili di vita responsabili, valorizzare tra i giovani,
    coloro che non praticano comportamenti a rischio e fornire
    intelligente e valido sostegno a tutte le agenzie educative.
    Strutture socio-riabilitative.
    Le Istituzioni intendono assicurare la disponibilita' dei
    principali trattamenti relativi alla cura e alla riabilitazione
    dall'uso di sostanze stupefacenti e garantire la liberta' di scelta
    del cittadino/tossicodipendente e della sua famiglia di intraprendere
    i programmi riabilitativi presso qualunque struttura autorizzata su
    tutto il territorio nazionale, sia essa pubblica che del privato
    sociale.
    I tossicodipendenti in carcere.
    Un problema prioritario e' rappresentato dalle migliaia di
    detenuti tossicodipendenti ai quali occorre garantire il diritto di
    accedere, se ne fanno richiesta e secondo le normative vigenti, a
    percorsi riabilitativi alternativi alla detenzione. Si dovranno,
    pertanto, snellire le procedure amministrative e potenziare le
    presenze di educatori e volontari all'interno delle strutture
    penitenziarie, per motivare il maggior numero di tossicomani detenuti
    a scegliere la strada del cambiamento e della riabilitazione. Si
    rende, infine, necessaria la realizzazione di specifiche strutture «a
    custodia attenuata», inserite nel quadro del Dipartimento di
    Amministrazione Penitenziaria, gestite in collaborazione con le
    realta' del privato sociale e propedeutiche al successivo inserimento
    delle persone in programmi riabilitativi «drug-free», sia presso il
    carcere che in comunita' vigilate.
    Reinserimento lavorativo.
    Un Piano di azione efficace e completo contro le dipendenze deve
    necessariamente prevedere la fase fondamentale del reinserimento
    lavorativo di coloro che hanno concluso con successo un programma di
    riabilitazione dalla tossicodipendenza. A tal fine il Governo intende
    incentivare i programmi riabilitativi che prevedano e/o includano,
    fra le finalita', azioni di formazione professionale orientate a
    facilitare l'inserimento nel mondo del lavoro degli
    ex-tossicodipendenti.
    Sono stati, in proposito, prioritariamente individuati i seguenti
    interventi:
    applicazione dell'Atto di Intesa Stato-Regioni, laddove esso
    prevede «programmi di formazione ed avviamento al lavoro dei
    tossicodipendenti tramite l'inserimento in attivita' interne alle
    comunita' o in realta' esterne nell'ambito di accordi predefiniti»;
    inclusione degli ex-tossicodipendenti tra le «categorie
    svantaggiate» previste dal comma 1, dell'art. 4 della legge
    8 novembre 1991, n. 381, in materia di Cooperative Sociali;
    incentivazione all'avviamento di attivita' imprenditoriali da
    parte di ex-tossicodipendenti;
    ampliamento e miglioramento della normativa che prevede congrui
    periodi di aspettativa per i lavoratori che si sottopongono ad un
    programma riabilitativo in una struttura riconosciuta, eliminando la
    disparita' di trattamento tra i diversi contratti pubblici e privati.
    In sintesi quindi l'azione in questo campo deve tenere conto di
    due direttrici strategiche:
    la prima direttrice si snoda sulla valorizzazione delle buone
    esperienze gia' in atto nel sistema pubblico e nel privato sociale
    accreditato in materia di prevenzione, trattamento, cura e recupero
    del tossicodipendente;
    la seconda direttrice prevede, da parte del Ministero della
    Salute:
    1) l'assunzione - nell'ambito delle linee strategiche
    definite dal «Programma triennale del Governo per la lotta alla
    produzione, al traffico, allo spaccio ed al consumo di sostanze
    stupefacenti e psicotrope 2002-2004», e degli indirizzi definiti dal
    Dipartimento nazionale per le politiche anti-droga istituito presso
    la Presidenza del Consiglio dei Ministri - di un ruolo di
    coordinamento del settore rispetto agli altri Ministeri coinvolti
    (Lavoro e Politiche Sociali, Istruzione, Beni Culturali,
    Comunicazioni, Giustizia, Interno);
    2) la creazione del necessario raccordo programmatico con le
    Regioni, in quanto titolari di competenza in materia di
    tossicodipendenze; cio' dovra' aver luogo nel rispetto e
    valorizzazione dei legami specifici con il territorio che ciascuna
    Regione ha gia' in atto con il servizio pubblico e privato
    accreditato;
    3) l'attivazione di momenti di verifica, valutazione e
    coordinamento delle informazioni inerenti i dati, gli indicatori
    sanitari e sociali, i risultati, le azioni svolte, sia dal sistema di
    risposta pubblico sia da parte di tutto il privato sociale.
    In conclusione si possono identificare i seguenti obiettivi
    prioritari:
    promuovere la partecipazione delle associazioni delle famiglie
    sin dal momento programmatorio, prevedendone il coinvolgimento nella
    logica dell'integrazione interistituzionale;
    inserire nel programma di abbattimento dell'uso e dell'abuso,
    oltreche' le sostanze illegali, anche la tematica della prevenzione
    dell'alcoolismo (soprattutto giovanile) e del tabagismo e estendere
    l'azione anche a settori innovativi di intervento come le dipendenze
    comportamentali (es.: gioco d'azzardo);
    attivare programmi di prevenzione e informazione nella scuola;
    promuovere e attivare sperimentazioni e ricerche su effetti,
    danni e patologie derivati da uso e abuso di sostanze stupefacenti;
    produrre Linee Guida e protocolli terapeutici per gli
    interventi in campo sociale e sanitario;
    attivare sinergie con le Forze dell'Ordine sia sulla
    repressione del fenomeno sia, soprattutto, sul loro ruolo
    fondamentale di prevenzione attraverso le informazioni, le analisi e
    i collegamenti internazionali;
    concordare con le Regioni le modalita' per il recupero globale
    della persona evitando quando possibile il ricorso esclusivo alla
    terapia farmacologica di lunga durata;
    attivare il monitoraggio delle informazioni e della
    comunicazione dei mass media e delle campagne della stampa
    quotidiana.
    6.5. La sanita' penitenziaria
    Nell'anno 2000 le persone detenute erano 53.340 (51.074 uomini e
    2.266 donne), nonostante le infrastrutture avessero una
    disponibilita' di 35.000 posti distribuiti nei 200 istituti
    esistenti. Dei suddetti detenuti 13.668 (25,63%) erano
    extracomunitari, 14.602 (27,38%) tossicodipendenti, di cui 1.548
    (2,9% dei detenuti) sieropositivi per HIV (9,8% dei sieropositivi in
    AIDS conclamata), oltre 4.000 (7,5%) sofferenti di turbe psichiche e
    695 (1,3%) alcooldipendenti.
    Nel 1999 la sanita' penitenziaria ha subito profonde
    modificazioni a seguito dell'emanazione del Decreto Legislativo
    22 giugno 1999, n. 230, che stabilisce il trasferimento al Servizio
    Sanitario Nazionale delle competenze in tema di assistenza sanitaria
    ai detenuti e agli internati.
    Le funzioni sanitarie svolte dall'amministrazione penitenziaria
    con riferimento ai soli settori della prevenzione e dall'assistenza
    ai detenuti e agli internati tossicodipendenti sono gia' state
    trasferite al Servizio Sanitario Nazionale.
    Tra le problematiche sanitarie di piu' vasto impatto in ambito
    penitenziario, individuate anche dal Progetto Obiettivo, vi sono le
    malattie infettive (specialmente epatiti virali, HIV, tubercolosi,
    scabbia e dermatofitosi), le tossicodipendenze e la salute mentale.
    E' indispensabile prevedere misure di prevenzione, sistemi di
    sorveglianza e modalita' di trattamento. Per contrastare tali
    patologie e' di primaria importanza migliorare la formazione degli
    operatori sanitari e degli agenti di polizia penitenziaria e
    l'informazione dei detenuti.
    La crescente presenza nelle carceri di cittadini provenienti da
    altri Paesi rende opportuno prevedere la presenza di mediatori
    culturali, persone qualificate non soltanto sul piano linguistico, ma
    anche culturale, che consentano di superare le difficolta' nei
    rapporti con i detenuti.
    Obiettivi prioritari in questo campo sono i seguenti:
    attivare programmi di prevenzione primaria per la riduzione del
    disagio ambientale e rendere disponibili programmi di riabilitazione
    globale della persona;
    attivare programmi per la riduzione dell'incidenza delle
    malattie infettive fra i detenuti;
    migliorare la qualita' delle prestazioni di diagnosi, cura e
    riabilitazione a favore dei detenuti.
    6.6. La salute degli immigrati
    Al 1° gennaio 2001 gli stranieri ufficialmente registrati dal
    Ministero dell'Interno erano in Italia 1.338.153. Se si aggiungono ad
    essi i richiedenti il permesso di soggiorno, il numero complessivo di
    stranieri regolarmente presenti sul territorio risulta di 1.686.606
    persone, pari a circa il 2,9% dell'intera popolazione italiana (la
    media europea e' del 5,1%). Il 27% degli immigrati proviene dai Paesi
    dell'Europa centro-orientale, il 29,1% dall'Africa settentrionale, il
    7,3% dall'Asia centro meridionale, il 10,5% dall'Asia orientale. Il
    67% circa ha una eta' compresa tra 19 e 40 anni; il numero dei minori
    e' stimato intorno al 15% e gli ultrasessantenni sono circa il 10%.
    Meno del 45% degli stranieri e' di sesso femminile. La presenza
    irregolare e' stata stimata ufficialmente dal Governo pari a circa
    400.000 unita' sulla base del numero di domande di regolarizzazione
    presentate entro il termine del 15 dicembre 1998 sulla base della
    legge n. 40 del 1998.
    Negli ultimi anni i flussi dall'Europa dell'Est, in particolare
    ex-Yugoslavia, Polonia e Albania, sono fortemente cresciuti,
    superando quelli del Nord Africa, prevalenti fino a poco tempo fa. Il
    fenomeno dei «ricongiungimenti familiari» sta rapidamente
    riequilibrando la composizione per eta' e genere degli stranieri
    immigrati, che ancora agli inizi degli anni '90 era prevalentemente
    rappresentata da giovani adulti maschi.
    Il tempo intercorso dal momento della migrazione configura
    esperienze di svantaggio molto diverse. In prossimita'
    dell'immigrazione prevalgono il trauma del distacco dalla casa e dal
    Paese di origine e le condizioni di estremo disagio nella ricerca di
    un tetto e di un lavoro, di relazioni sociali, di affetti, e di un
    riconoscimento giuridico. In questa fase, gli immigrati condividono
    con gli italiani senza fissa dimora condizioni di svantaggio estremo.
    In un secondo momento, diventano piu' importanti le difficolta'
    di integrazione o di interazione e convivenza con la cultura ospite e
    con il sistema dei servizi e le difficolta' di apprendere la lingua
    accrescono le barriere alla fruizione dei servizi ed alla
    soddisfazione delle necessita' quotidiane.
    Osservando il flusso di utilizzo di alcuni servizi sanitari da
    parte degli stranieri, si evidenzia una sostanziale mancanza di
    elasticita' dell'offerta di servizi, a fronte dei nuovi problemi di
    salute di questi nuovi gruppi di clienti.
    Tra i 25.000 bambini nati da almeno un genitore straniero sono
    piu' frequenti la prematurita', il basso peso alla nascita, la
    mortalita' neonatale e i calendari vaccinali sono effettuati in
    ritardo o in modo incompleto specie nelle popolazioni nomadi.
    Per quanto riguarda la salute della donna, i temi emergenti sono
    l'alto tasso di abortivita', la scarsa informazione (con conseguente
    ridotta domanda di assistenza alla gravidanza), la presenza di
    mutilazioni genitali femminili. Un'indagine coordinata dall'Istituto
    Superiore di Sanita' ha evidenziato che le I.V.G. effettuate da donne
    straniere sono passate da 4.500 nel 1980 a 20.500 nel 1998, con un
    trend fortemente decrescente dalle eta' piu' giovani a quelle in eta'
    piu' avanzate.
    Anche la percentuale dei casi di tubercolosi in cittadini
    stranieri e' in costante aumento; secondo i dati dell'Istituto
    Superiore di Sanita' essa e' passata dall'8,1% nel 1992 al 16,6% nel
    1998. Questa tendenza e' confermata anche da altri studi
    epidemiologici europei effettuati dall'International Centre for
    Migration and Health dell'OMS. Questa patologia colpisce pazienti
    irregolari che vivono in condizioni igienico-abitative peggiori sia
    rispetto alla popolazione generale sia rispetto agli stranieri con
    regolare permesso di soggiorno.
    Una maggiore frequenza, in confronto alla popolazione italiana,
    dei ricoveri causati da traumatismi (5,7% negli stranieri, 4,8% negli
    italiani), segnalata dalle schede di dimissione ospedaliera, potrebbe
    essere la spia di un maggior numero di incidenti sul lavoro ai quali
    vanno incontro i lavoratori immigrati. L'analisi delle schede di
    dimissione ospedaliera mostra, inoltre, tra le cause piu' frequenti
    di ricovero quelle legate alla patologia della gravidanza (7,3% dei
    ricoveri nelle straniere, 3,2% nelle italiane), alle infezioni delle
    vie aeree (3,1% negli stranieri di cui 0,8% per tubercolosi, 1,8%
    negli italiani, di cui 0,1% per tubercolosi), agli aborti indotti
    (1,7% nelle straniere, 0,5% nelle italiane).
    Nel quadro dei molteplici interventi necessari per superare
    l'emarginazione degli immigrati bisognosi, un importante aspetto e'
    quello di assicurare l'accesso delle popolazioni immigrate al
    Servizio Sanitario Nazionale adeguando l'offerta di assistenza
    pubblica in modo da renderla visibile, facilmente accessibile,
    attivamente disponibile e in sintonia con i bisogni di questi nuovi
    gruppi di popolazione, in conformita' a quanto previsto dal testo
    unico sulla immigrazione che ha sancito il diritto alle cure urgenti
    ed essenziali e alla continuita' della cura anche per gli immigrati
    irregolari. In tale contesto, sono necessari, fra l'altro, sia
    interventi di tipo informativo dell'utenza immigrata sull'offerta dei
    servizi da parte delle ASL che l'individuazione all'interno di
    ciascuna ASL di unita' di personale esperte e particolarmente idonee
    per questo tipo di rapporti.
    Altre azioni prioritarie riguardano i seguenti aspetti:
    migliorare l'assistenza alle donne straniere in stato di
    gravidanza e ridurre il ricorso alle I.V.G.;
    ridurre l'incidenza dell'HIV, delle malattie sessualmente
    trasmesse e delle tubercolosi tramite interventi di prevenzione
    mirata a questa fascia di popolazione;
    raggiungere una copertura vaccinale della popolazione infantile
    immigrata pari a quella ottenuta per la popolazione italiana;
    ridurre gli infortuni sul lavoro tra i lavoratori immigrati,
    tramite gli interventi previsti a tal fine per i lavoratori italiani.







     
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