Norme a tutela dalla sindrome di burnout

Legislatura 15º - Disegno di legge N. 386

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    Legislatura 15º - Disegno di legge N. 386


    SENATO DELLA REPUBBLICA

    ———– XV LEGISLATURA ———–

    N. 386




    DISEGNO DI LEGGE

    d’iniziativa del senatore COSTA

    COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 18 MAGGIO 2006

    ———–

    Norme a tutela dei mestieri e delle professioni
    di aiuto alla persona dalla sindrome di burnout


    ———–

    Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge si rivolge a tutte le figure professionali che operano in stretto e prolungato contatto con persone bisognose di continua assistenza a causa di disagi patologici psico-fisici e sensoriali che richiedono l’assidua presenza di quelli che possiamo definire gli operatori dell’aiuto. Li incontriamo nei più diversi settori della vita sociale: nel mondo scolastico e sanitario, oppure nel campo giudiziario e carcerario, lavorano per la pubblica amministrazione e il settore no profit oppure sono liberi professionisti. Come migliaia tra loro potrebbero testimoniare, anche l’aiuto al prossimo ha un prezzo: i lavori usuranti, in una società moderna che cerca di ricostruire l’orizzonte dello Stato sociale, non sono solo quelli che comportano uno sforzo fisico-muscolare e si svolgono a contatto con luoghi o con sostanze pericolose.

    L’espressione burnout compare per la prima volta negli anni Trenta nel gergo sportivo per indicare il fenomeno per il quale un atleta, dopo alcuni anni di successi, si esaurisce, si brucia e non può più dare nulla agonisticamente. La trasposizione terminologica in ambito lavorativo avviene negli anni Settanta quando comincia a svilupparsi la letteratura specifica sulle «malattie delle professioni d’aiuto».
    Più precisamente il burnout (tra le cui cause possono annoverarsi eccessivo impegno, dedizione sacrificale, non consapevolezza dei propri limiti, mancato riconoscimento, confusione tra vita lavorativa e vita privata, assenza di supporto, non realizzazione delle aspettative) è una sindrome di esaurimento emozionale, di spersonalizzazione e di riduzione delle capacità professionali che può presentarsi in soggetti che per mestiere si occupano degli altri, e si esprime in una costellazione di sintomi quali somatizzazioni, apatia, eccessiva stanchezza, risentimento, incidenti. Si tratta di una reazione alla tensione emozionale cronica creata dal contatto continuo con l’utenza, in particolare quando questa è portatrice di problemi o di motivi di sofferenza, sia essa fisica, psichica o sociale. Il nucleo del burnout è uno schema di sovraccarico emozionale seguito dall’esaurimento emozionale.
    Quando quest’ultimo si è installato, l’operatore sente di non essere più in grado di dare qualcosa di sé agli altri e risponde tentando di sottrarsi al coinvolgimento, riducendo al minimo indispensabile il contatto. Di conseguenza, solitamente, adotta atteggiamento «burocratico», si attiene al «mansionario» e inizia a «classificare» la gente in varie categorie (diagnostiche, sociali, epidemiologiche) per poi rispondere alla categoria, anziché all’individuo. Applicando una formula anziché una risposta specifica, l’operatore pensa di evitare l’obbligo di conoscere l’altro e di coinvolgersi emotivamente. Un’altra modalità difensiva è la fuga dal lavoro (aspettative, malattie, ferie, congedi, e così via) o la pratica sopravvivenziale delle rotazioni sullo stesso «caso», laddove le persone seguite diventano «utenti del servizio», in un processo di anonimia che va contro ogni principio della cura. Il burnout si configura quindi, oltre che come sofferenza per l’operatore, come un vero e proprio danno inferto all’utenza e alla qualità del lavoro. Fino ad oggi questi mestieri usuranti sono stati dimenticati dalla normativa previdenziale.
    Perché questo disegno di legge? Innanzitutto va chiarito che il burnout va prevenuto, nel senso che è necessario apprestare tutta una serie di misure preventive per eludere l’instaurarsi e il cronicizzarsi della sindrome in oggetto. Ad esempio, nei servizi va potenziata la varietà, l’autonomia, la significatività del lavoro che, peraltro, va affiancato dalla presenza costante di sostegno e stimolo. In tale prospettiva le strutture organizzative devono essere rese abbastanza flessibili tanto da adattarsi all’individuo e non viceversa. Va consolidata la condivisione tra gli operatori e il lavoro d’équipe, quali antidoti alla solitudine, e garantita una supervisione di buona qualità, esaustiva ma non permanente, intesa nella dimensione di una relazione d’aiuto (per chi fa un mestiere d’aiuto) che sappia raggiungere l’obiettivo ultimo di formare gruppi di autosupervisione. Inoltre non va sottovalutato l’aspetto economico, e più specificamente la bassa retribuzione di questi mestieri, soprattutto nell’aspetto simbolico di agente di conflitto di ruolo («sono utile e forse importante ma valgo poco ... »). Vanno, insomma, garantite ed attuate tutta una serie di norme ecologiche nei mestieri di aiuto, rispetto alle quali il presente disegno di legge serve anche a promuovere un dibattito intorno alla necessità di istituzionalizzare la rotazione, intesa non nel già citato senso di più presenze intorno al medesimo utente, ma come norma ecologica di introduzione di un cambiamento contestuale capace di bilanciare l’effetto usurante dei mestieri d’aiuto. Noi siamo contrari ad ogni forma di terapia invasiva (e ne sono testimonianza le nostre battaglie contro l’elettroshock e l’uso massiccio, indiscriminato e consumistico, di psicofarmaci) e riteniamo che la cura vada affidata al positivo rapporto operatore-paziente e non alle medicine miracolistiche o alle «scorciatoie» chimiche, ragione per cui le persone vanno tutelate sotto ogni profilo anche perché la bassa qualità delle relazioni (che sono l’anima dell’aiuto non invasivo), e di conseguenza il fallimento dell’intervento, gioca a favore del ripristino dei modelli organicistici. Oggi in Italia si vendono già in un anno 42 milioni di confezioni di psicofarmaci che, essendo divenuti gratuiti, potrebbero essere prescritti con maggiore disinvoltura e in modo indiscriminato per «contenere» la malattia creando assuefazione e dipendenza, inibendo le risorse psicologiche dei pazienti, annullando il faticoso lavoro di psicoterapia tra paziente e medico che resta fondamentale per risolvere le cause della malattia. La somministrazione di psicofarmaci ai giovani è particolarmente rischiosa in quanto legittima l’assunzione di sostanze chimiche per risolvere problemi del disagio giovanile, il che potrebbe legittimare anche l’uso di droghe. Inoltre tutelare l’operatore significa, in prima istanza, tutelare e garantire l’utente, il paziente, l’assistito, altrimenti costretto a pagare un prezzo altissimo che, in alcuni casi, può colludere psicologicamente con le stesse premesse del suo disagio (la colpa, il rifiuto, la disconferma, il mancato ascolto).
    Infine l’idea del riconoscimento del burnout come malattia professionale introduce per gli operatori, per i servizi, per lo Stato, il concetto di limite dell’operatore, contro pericolose e, a volte, strumentali ipotesi onnipotenziali che fanno leva sull’entusiasmo e sulla dedizione che caraterizzano la scelta di tali mestieri. L’idea di limite si fonda sull’assunto di compatibilità e di sostenibilità, ormai nota per quanto riguarda gli assetti urbanistici e ambientali, ma ancora tutta da valorizzare a livello umano e relazionale. Credere in una forma di aiuto compatibile, nell’ecologia della mente, significa creare le condizioni perché queste possano realizzarsi, tutelando sincronicamente operatore e paziente. Il riconoscimento del burnout come malattia professionale è un primo passo in questa direzione. Un’ultima considerazione economica: allo Stato costa di più pagare due malattie o evitarne una? Noi crediamo che farsi carico del disagio degli operatori scongiuri la degenerazione della malattia degli utenti, rifuggendo oneri di ricoveri ospedalieri, lungodegenze e spese farmacologiche aggiuntive. L’introduzione, nei mestieri di aiuto, di parametri ecologici quali il rispetto e il limite, consente anche un più corretto uso delle risorse umane ed economiche della collettività.


    DISEGNO DI LEGGE

    Art. 1.

    (Ambito di applicazione)

    1. La presente legge è rivolta a tutte le figure professionali che operano a contatto con soggetti bisognosi di intense cure e assistenza per disagi patologici particolarmente gravi o aventi decorso prolungato nel tempo, quindi soggette alla sindrome di burnout, ed in particolare:

    a) medici, infermieri e capo sala operanti in reparti di rianimazione, pronto soccorso, chirurgia d’urgenza, cliniche psichiatriche e terapia intensiva;

    b) assistenti sociali;
    c) psicologi;
    d) psicoterapeuti;
    e) assistenti domiciliari;
    f) psichiatri;
    g) educatori professionali;
    h) psicopedagogisti;
    i) insegnanti di sostegno e assistenti educativi comunali;
    l) terapisti della riabilitazione e terapisti occupazionali;
    m) infermieri professionali, assistenti sanitari e vigilatrici d’infanzia.

    2. La presente legge si applica comunque a tutte le altre categorie che operano nel mondo scolastico, sanitario, giudiziario e carcerario, nei settori dell’assistenza alla persona, in cooperative sociali e organismi non lucrativi di utilità sociale, che siano in possesso dei requisiti di cui ai commi 1 e 3.

    3. Le categorie di cui ai commi 1 e 2 beneficiano dei trattamenti disposti dalla presente legge a condizione che dimostrino di svolgere l’attività professionale in situazione di contatto diretto e continuativo per lunghi periodi.
    4. Possono accedere ai trattamenti previsti dalla presente legge gli operatori che svolgono l’attività di aiuto in regime di lavoro:

    a) dipendente, pubblico o privato;

    b) senza vincolo di subordinazione, a condizione dell’iscrizione in appositi albi e dell’avvenuto adempimento degli obblighi di cui al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103.

    Art. 2.

    (Dichiarazione di attività usurante)

    1. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale adotta, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite le rappresentanze sindacali e gli ordini professionali delle categorie interessate, un decreto che inserisce le attività di cui all’articolo 1, caratterizzate da un impegno psicofisico particolarmente intenso e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee, tra le tipologie dei lavori particolarmente usuranti ai sensi della tabella A allegata al decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374.

    2. Le categorie elencate nell’articolo 1 hanno diritto ai benefici in materia di età pensionabile stabiliti dall’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374, e successive modificazioni.

    Art. 3.

    (Malattia da lavoro)

    1. I lavoratori appartenenti alle categorie di cui all’articolo 1, che svolgano le attività di assistenza secondo le modalità richiamate dal comma 3 del medesimo articolo, hanno diritto ai trattamenti di tutela previdenziale, per l’invalidità e la malattia professionale, nei seguenti casi:

    a) riscontrata diminuzione o annullamento delle capacità professionali dipendenti da grave forma di esaurimento psicofisico;

    b) riscontrata connessione causale tra l’insorgenza della sindrome e le modalità di esercizio della attività professionale di aiuto.

    2. Le previsioni di cui al comma 1 possono essere integrate e modificate sulla base di valutazioni tecnico-scientifiche secondo la procedura individuata dall’articolo 3 del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374, e successive modificazioni.

    Art. 4.

    (Prevenzione)

    1. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della salute e dell’università e della ricerca, organizza corsi di formazione permanente mirati alla prevenzione del disagio degli operatori dei mestieri e delle professioni di aiuto, prevedendo attività di tirocinio per l’adeguamento e l’aggiornamento delle tecniche professionali teoriche e pratiche, partecipazione programmata a gruppi esperienziali per affrontare le problematiche delle diverse figure professionali, possibilità di alternare i periodi di lavoro con un anno sabbatico di formazione.

    2. Il sostegno e la supervisione dell’attività professionale è svolta da esperti nel settore psicologico e da personale specializzato della medesima area professionale, garantendo il lavoro di rete e la collaborazione tra istituzione e professionisti dell’aiuto.

    Art. 5.

    (Disposizioni finanziarie)

    1. Il decreto di cui all’articolo 2, comma 1, istituisce un contributo la cui aliquota è definita secondo criteri attuariali, ai sensi della legge 8 agosto 1995, n. 335, e del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, in misura tale da assicurare la copertura degli oneri derivanti dall’attuazione della presente legge.

    http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/fram...eg=15&id=209058
     
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