Diffamazione dipendente in malattia sorpreso a guidare un'ambulanza di un ente concorrente

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     Like  
     
    .
    Avatar

    Coeslazio

    Group
    Administrator
    Posts
    5,320
    Reputation
    +13
    Location
    ROMA

    Status
    Offline
    TEDIYG


    Reato di diffamazione - Il Gup emette sentenza di non luogo a procedere

    Corte di Cassazione Sez. Qunta Pen. Sent. del 21.09.2012, n. 36374


    Presidente Oldi - Relatore Settembre

    Ritenuto in fatto

    1. Ricorre C.V. avverso la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare di Tribunale di Savona, che ha prosciolto R.D. dal reato di diffamazione a mezzo stampa e via Internet con la formula più ampia.
    Il Pubblico ministero, su ordine del Giudice delle indagini preliminari, aveva formulato l’imputazione perché R.D. , legale rappresentante della cooperativa “C. 1″ presso cui la C. lavorava come dipendente, aveva pubblicato sul proprio account Internet ed aveva diffuso presso giornalisti (La Repubblica, IVG) del materiale fotografico che ritraeva la C. alla guida di un’ambulanza della Croce Rossa mentre era assente dal lavoro per malattia, accompagnandolo con espressioni del tipo: “in urgenza col certificato di malattia” e “che bello avere dei dipendenti”.
    Il Giudice dell’udienza preliminare ha motivato la propria decisione sul rilievo che la C. era effettivamente dipendente della società rappresentata dal R. e corrispondeva a verità che, sebbene assente per malattia, s’era posta alla guida di un’ambulanza appartenente ad un ente che era in concorrenza con quello da cui dipendeva. La successiva condotta dell’imputato, che aveva reso pubblica la vicenda nella maniera sopra descritta, pur se intaccava la reputazione della C. non poteva dirsi diffamatoria, in quanto espressione di una critica legittima, anche in considerazione del “rilevante interesse pubblico” connesso alla conoscenza del fatto. Inoltre, aggiungeva il giudice, la condotta doveva ritenersi scriminata ai sensi dell’art. 599 cod. pen., in quanto il R. aveva agito in stato d’ira, essendosi attivato, nel modo sopra detto, subito dopo la conoscenza del fatto.
    La ricorrente deduce la violazione degli artt. 425 cod. proc. pen., 51 e 599 cod. pen. e 167 Dlgs 196 del 2003, in quanto sarebbe stata distorta la natura dell’udienza preliminare, che ha lo scopo di evitare dibattimenti inutili e non di accertare l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato, che sono rimesse alla valutazione del giudice del dibattimento. Contesta, poi, che la notizia avesse un rilievo pubblico, data la natura privatistica del rapporto intercorrente tra i due, e che fosse stato rispettato il limite della continenza, anche in considerazione della pubblicazione on-line dei dati medici relativi al suo stato di salute.
    Contesta l’applicabilità al caso di specie della scriminante prevista dall’art. 599 cod. pen., per mancanza di prova sullo stato d’ira e per l’inapplicabilità al caso di specie della scriminante in parola. In ogni caso, ove questa fosse ritenuta esistente, la formula di proscioglimento non poteva essere quella dell’insussistenza del fatto, ma della mancanza dell’elemento soggettivo.

    Considerato in diritto

    Il ricorso è fondato.
    Rileva giustamente la persona offesa che il Giudice dell’udienza preliminare ha adottato la decisione impugnata rifacendosi ad una regola di giudizio tipica della fase dibattimentale, e dunque non utilizzabile dal giudice dell’udienza preliminare.
    Come più volte affermato da questa Corte, la sentenza di non luogo a procedere, ex art. 425 c.p.p., ha natura prevalentemente processuale, e non di merito; essa non è diretta ad accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato, ma ha essenzialmente lo scopo di evitare che giungano alla fase del giudizio vicende in relazione alle quali emerga l’evidente infondatezza dell’accusa, allorché vi sia in atti la prova dell’innocenza dell’imputato (comma 1), ovvero l’insufficienza o la contraddittorietà degli elementi probatori acquisiti depongano per un giudizio prognostico negativo circa la loro idoneità a sostenere l’accusa in giudizio (comma 3).
    Il giudice dell’udienza preliminare è, in altri termini, chiamato, non ad accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato, bensì a formulare una diagnosi di sostenibilità dell’accusa, alla stregua del materiale probatorio raccolto in istruttoria. Solo ove detta tesi si presenti insostenibile ed insuperabile in dibattimento - in ragione dell’evidente infondatezza della stessa, ovvero per l’insufficienza o contraddittorietà delle fonti di prova e per la loro inidoneità a subire concreti sviluppi nella sede dibattimentale, attraverso l’acquisizione di nuovi elementi probatori ovvero una possibile diversa valutazione dei compendio probatorio già acquisito - legittimamente il giudice può emettere sentenza di proscioglimento dell’imputato.
    Orbene, a tali principi non si è attenuto, nel caso di specie, il giudice del merito. Egli, invero, non ha limitato il proprio intervento alla verifica della tenuta dell’accusa in dibattimento, ma è andato oltre il compito al quale avrebbe dovuto attendere, essendosi dilungato nell’esame di questioni e tematiche la cui risoluzione è affidata al giudice del dibattimento. Peraltro, attraverso un percorso argomentativo che non si qualifica per completezza delle argomentazioni elaborate e che, anche sotto tale profilo, presta il fianco alle critiche mosse nell’atto d’impugnazione.
    Infatti:
    Le valutazioni effettuate dal Giudice dell’udienza preliminare - che lo hanno portato ad emettere la sentenza di proscioglimento - sono essenzialmente due:
    la verità del fatto addebitato alla C. e l’esercizio del diritto di critica riconosciuto in capo al R. Come motivo ulteriore il Giudice dell’udienza preliminare ha individuato la causa di non punibilità prevista dall’art. 599 cod. pen.
    Ebbene, posto che la materialità del fatto non è contestata nemmeno dalla ricorrente e non è discutibile l’esistenza del diritto di critica - in capo a R. come a qualsiasi altra persona - l’indagine giudiziale doveva riguardare le modalità della critica effettuata nel caso concreto, posto che, per costante giurisprudenza, il diritto di critica, espressione del più generale diritto di manifestazione del pensiero, soggiace, quando si scontra con altri diritti costituzionalmente rilevanti, a precisi limiti, costituiti - oltre che dalla verità del fatto - dalla continenza delle espressioni usate. Allorché, poi, la critica viene accompagnata dalla diffusione pubblica della notizia potenzialmente lesiva dell’onore, un ulteriore limite è costituito dall’interesse pubblico alla conoscenza della stessa, posto che non può essere consentita la lesione di un interesse costituzionalmente rilevante se non per assicurare tutela ad un interesse di grado pari o superiore.
    Nel caso di specie, per i mezzi usati, è stato dato grande rilievo mediatico ad un fatto essenzialmente privato, senza che venga spiegato quale sia l’interesse pubblico sotteso alla conoscenza dello stesso, in tutti i suoi aspetti oggettivi e soggettivi. Dall’esposizione del giudice a quo sembra di comprendere, infatti, che la vicenda è maturata nell’ambito di un rapporto di lavoro di natura privatistica, che ha riguardato soggetti altrimenti sconosciuti alle cronache, privi di notorietà e di rilievo pubblico, le cui relazioni personali non hanno connotazioni che possano interessare i lettori di giornali o i fruitori dei servizi di rete. Per contro, di sicuro interesse pubblico è la notizia di un dipendente che, mentre si dichiara impossibilitato a effettuare la prestazione cui è tenuto a favore del proprio datore di lavoro, mette le proprie energie lavorative a disposizione di un’altra impresa, peraltro in concorrenza con quella da cui dipende.
    Pertanto, due sono gli aspetti che andavano approfonditi; l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto e l’interesse pubblico alla conoscenza dei protagonisti. E se il primo può dirsi correttamente esaminato nella sentenza impugnata, lo stesso non può dirsi per il secondo, mancando ogni riferimento, nella sentenza, ai motivi per cui è stato reso di pubblico dominio - nel modo sopra detto e con effetti certamente lesivi dell’integrità morale - l’identità di un soggetto che non viene in considerazione per il ruolo o la funzione pubblica esercitata, ma solo come privato autore di un illecito. Questo in un caso in cui la divulgazione del fatto non necessitava, apparentemente, per la sua comprensione ed il suo apprezzamento, della divulgazione del nome del protagonista.
    In ordine alla causa di non punibilità prevista dall’art. 599 cod. pen., poi, il Giudice dell’udienza preliminare ha ritenuto “ragionevole” che il R. versasse in stato d’ira sulla base del dato temporale rappresentato dalla divulgazione della notizia a poche ore dalla sua apprensione. Non è dato però comprendere dalla sentenza se questa causa sia stata invocata dall’interessato e quale indagine sia stata fatta intorno alla sua concreta sussistenza. Anche per questo si rendeva necessaria la verifica dibattimentale.
    Per questi motivi si impone l’annullamento della sentenza e il rinvio per nuovo esame al Tribunale di Savona.

    P.Q.M.

    Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Savona per nuovo esame.

    Depositata in Cancelleria il 21.09.2012

    www.studiolegalelaw.net/consulenza-legale/45093

    -------------------------------------------------------

    Reato di diffamazione
    Settembre 21, 2012 · Categoria Articoli e Pubblicazioni


    Il Gup emette sentenza di non luogo a procedere



    La sentenza di non luogo a procedere, ex art. 425 c.p.p., ha natura prevalentemente processuale, e non di merito e non è diretta a accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato, ma ha essenzialmente lo scopo di evitare che giungano alla fase del giudizio vicende in relazione alle quali emerga l’evidente infondatezza dell’accusa, allorché vi sia in atti la prova dell’innocenza dell’imputato, ovvero l’insufficienza o la contraddittorietà degli elementi probatori acquisiti depongano per un giudizio prognostico negativo circa la loro idoneità a sostenere l’accusa in giudizizio. Il giudice dell’udienza preliminare è, in altri termini, chiamato, non a accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato, ma a formulare una diagnosi di sostenibilità dell’accusa, alla stregua del materiale probatorio raccolto in istruttoria.

    Solo ove tale tesi si presenti insostenibile e insuperabile in dibattimento, in ragione dell’evidente infondatezza della stessa, ovvero per l’insufficienza o contraddittorietà delle fonti di prova e per la loro inidoneità a subire concreti sviluppi nella sede dibattimentale, attraverso l’acquisizione di nuovi elementi probatori ovvero una possibile diversa valutazione dei compendio probatorio già acquisito, legittimamente il giudice può emettere sentenza di proscioglimento dell’imputato. Questa la precisazione sulla natura dell’udienza preliminare, ribadita dalla Cassazione con la Sentenza n. 36374/2012.Il caso in esame riguarda il legale rappresentante di una cooperativa presso cui lavorava una dipendente che, in una giornata in cui avrebbe dovuto essere in malattia, era stata vista dallo stesso legale rappresentante alla guida un’autoambulanza e, il legale rappresentante aveva diffuso la notizia tramite i media. Tuttavia, il Gup aveva emesso sentenza assolutoria, motivando la propria decisione sul rilievo che la dipendente era effettivamente dipendente della società e corrispondeva a verità che, sebbene assente per malattia, s’era posta alla guida di un’ambulanza appartenente ad un ente che era in concorrenza con quello da cui dipendeva. La successiva condotta dell’imputato, che aveva reso pubblica la vicenda, pur se intaccava la reputazione della dipendente non poteva dirsi diffamatoria, in quanto espressione di una critica legittima, anche in considerazione del “rilevante interesse pubblico” connesso alla conoscenza del fatto. Inoltre, aggiungeva il giudice, la condotta doveva ritenersi scriminata ai sensi dell’art. 599 cod. pen., in quanto il legale rappresentante della cooperativa aveva agito in stato d’ira, essendosi attivato subito dopo la conoscenza del fatto. Avverso la pronuncia del Gup, la dipendente ha promosso ricorso per Cassazione, accolto dalla Suprema Corte. La ricorrente deduce che sarebbe stata distorta la natura dell’udienza preliminare, che ha lo scopo di evitare dibattimenti inutili e non di accertare l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato, che sono rimesse alla valutazione del giudice del dibattimento. Contesta, poi, che la notizia avesse un rilievo pubblico, data la natura privatistica del rapporto intercorrente tra i due e che fosse stato rispettato il limite della continenza, anche in considerazione della pubblicazione on-line dei dati medici relativi al suo stato di salute.
    Contesta l’applicabilità al caso di specie della scriminante prevista dall’art. 599 cod. pen., per mancanza di prova sullo stato d’ira e per l’inapplicabilità al caso di specie della scriminante in parola. In ogni caso, ove questa fosse ritenuta esistente, la formula di proscioglimento non poteva essere quella dell’insussistenza del fatto, ma della mancanza dell’elemento soggettivo. La Corte osserva che la ricorrente rileva giustamente che il Giudice dell’udienza preliminare ha adottato la decisione impugnata rifacendosi a una regola di giudizio tipica della fase dibattimentale e, pertanto non utilizzabile dal giudice dell’udienza preliminare. Orbene, a principi di cui sopra, non si è attenuto, nel caso di specie, il giudice del merito. Egli non ha limitato il proprio intervento alla verifica della tenuta dell’accusa in dibattimento, ma è andato oltre il compito al quale avrebbe dovuto attendere, essendosi dilungato nell’esame di questioni e tematiche la cui risoluzione è affidata al giudice del dibattimento. Carente anche il percorso argomentavo del Gup che ha fondato la sua pronuncia su tre soli punti, la verità del fatto addebitato alla dipendente, l’esercizio del diritto di critica riconosciuto in capo all’imputato e la causa di non punibilità prevista dall’art. 599 cod. pen. Laddove l’indagine giudiziale doveva riguardare le modalità della critica effettuata nel caso concreto, posto che, per costante giurisprudenza, il diritto di critica, espressione del generale diritto di manifestazione del pensiero, soggiace, quando si scontra con altri diritti costituzionalmente rilevanti, a precisi limiti, costituiti - oltre che dalla verità del fatto, dalla continenza delle espressioni usate. Quando poi la critica viene accompagnata dalla diffusione pubblica della notizia potenzialmente lesiva dell’onore, un ulteriore limite è costituito dall’interesse pubblico alla conoscenza della stessa, posto che non può essere consentita la lesione di un interesse costituzionalmente rilevante se non per assicurare tutela a un interesse di grado pari o superiore. Nel caso di specie, per i mezzi usati, è stato dato grande rilievo mediatico a un fatto essenzialmente privato, senza che venga spiegato quale sia l’interesse pubblico sotteso alla conoscenza dello stesso, in tutti i suoi aspetti oggettivi e soggettivi. I soggetti in questione erano sconosciuti alle cronache, privi di notorietà e di rilievo pubblico, le cui relazioni personali non hanno connotazioni che possano interessare i lettori di giornali o i fruitori dei servizi di rete. Pertanto, due sono gli aspetti che andavano approfonditi e che dovrà approfondire il giudice del rinvio, l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto e l’interesse pubblico alla conoscenza dei protagonisti.

    Anna Teresa Paciotti

    www.studiolegalelaw.net/consulenza-legale/45116
     
    .
0 replies since 16/10/2012, 09:25   52 views
  Share  
.